venerdì 14 agosto 2015

Chiesa e politica, una lezione di venti anni fa

Il servizio agli altri


di Robi Ronza
«Se la situazione attuale sollecita il rinnovamento sociale e politico, a noi Pastori tocca richiamarne con forza i necessari presupposti, che si riconducono al rinnovamento delle menti e dei cuori, e dunque al rinnovamento culturale, morale e religioso (cfr. Veritatis splendor, n.98). Proprio qui si colloca la nostra missione pastorale: dobbiamo chiamare tutti ad uno specifico esame di coscienza (…) a un bilancio non solo di carattere politico, ma anche e soprattutto di carattere culturale ed etico (…)». Di fronte all’estemporanea polemica innescata dalle dichiarazioni del segretario della Cei riguardo alla questione dei migranti (clicca qui) mi è tornata alla memoria il documento da cui è tratto questo passaggio. Si tratta della lettera  “circa le responsabilità dei cattolici di fronte alle sfide dell’attuale momento storico” che all’inizio del 1994, il giorno dell’Epifania di quell’anno, Giovanni Paolo II aveva inviato ai vescovi italiani. 
La lettera (reperibile qui) è ricca di insegnamenti anche per il nostro presente. Qui ne citiamo qualche frase, ma consigliandone vivamente la lettura per intero. Si era allora nel pieno della crisi politica passata alla storia come “Tangentopoli”. Senza ignorare il dovere morale e giuridico della condanna di chi si era reso responsabile di furti e malversazioni, Giovanni Paolo II osservava con grande saggezza che  “una società ben ordinata non può mettere le decisioni sulla sua sorte futura nelle mani della sola autorità giudiziaria” e che il potere legislativo e quello esecutivo “hanno le proprie specifiche competenze e responsabilità”. In tale prospettiva riteneva che compito della Chiesa in quella situazione dovesse essere “l'esortazione al rinnovamento morale e ad una profonda solidarietà degli italiani, così da assicurare le condizioni della riconciliazione e del superamento delle divisioni e delle contrapposizioni”. Gli era poi altrettanto chiaro che i laici cristiani avevano nella situazione delle loro specifiche responsabilità cui “non possono sottrarsi”.
Venendo alla cronaca di questi giorni è indubbio che l’intervento del segretario della Cei sia stato purtroppo obiettivamente maldestro. La cosa ci dispiace, e molto, ma proprio in quanto cristiani siamo comunque dalla sua parte. Facendo poi lo “specifico esame di coscienza” cui Giovanni Paolo II invitava, come laici dobbiamo però in primo luogo domandarci che cosa possiamo fare per colmare al più presto il totale vuoto di presenza cristiana attiva e consapevole che oggi caratterizza i maggiori livelli della vita pubblica del nostro Paese.

Per questo è potuto accadere che un vescovo con un ruolo importante nell’episcopato italiano cadesse nelle sabbie mobili dell’attuale dibattito politico, con tutta la superficialità e lo squallore che lo caratterizza. Un sacerdote parla e deve parlare con chiunque, ma è necessario che un vescovo segretario della Cei si imbarchi in una polemica con un personaggio della statura politica di Matteo Salvini? Una polemica che poi è dilagata risvegliando anche in altre figure di primo piano della politica italiana il Matteo Salvini che alberga nella profondità inconfessata della loro rispettiva psiche? Con l’attuale segretario della Lega Nord avrebbero dovuto confrontarsi dei leader politici cristiani di adeguato peso se ci fossero stati, ma non ci sono. 
In Italia, osservava allora Giovanni Paolo II, la Chiesa può “fare molto di più di quanto si ritiene generalmente. Essa è una grande forza sociale che unisce gli abitanti dell' Italia, dal Nord al Sud. Una forza che ha superato la prova della storia”.  E aggiungeva: “La Chiesa è una tale forza prima di tutto attraverso la preghiera, e l'unità nella preghiera. È giunto il momento in cui questa convinzione può e deve essere maggiormente concretizzata. L'esortazione stessa ad una tale preghiera, la sua preparazione programmatica, la sua profonda motivazione in questo momento storico, saranno per tutti gli italiani un invito a riflettere e a comprendere. Saranno forse anche un esempio e uno stimolo per le altre Nazioni. «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5). La parola di Gesù contiene il più convincente invito alla preghiera ed insieme il più forte motivo di fiducia nella presenza del Salvatore in mezzo a noi. Proprio questa presenza è fonte inesauribile di speranza e di coraggio anche nelle situazioni confuse e travagliate della storia dei singoli e dei popoli”.

Anche oggi dalla Chiesa ci aspetteremmo parole come queste piuttosto che schermaglie politiche estive. Perché tutto ciò di nuovo possa accadere la Cei deve fare la sua parte, ma anche noi la nostra.


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Galantino, i migranti e l’ideologia dei diritti

di Eugenia Roccella (L’Occidentale)
Monsignor Galantino, evidentemente compiaciuto della polemica suscitata, oggi rincara la dose.Non solo “piazzisti da quattro soldi” i politici che sono contro  l’accoglienza ai migranti, i Salvini e i Grillo, ma anche il governo, che pure in questi mesi è stato fermo su una posizione umanitaria e responsabile pagata a caro prezzo,  “è del tutto assente sul tema immigrazione”.
Sul Corriere, a commento delle esternazioni del segretario della Cei, due articoli interessanti. Uno, di Galli della Loggia, che, dopo aver chiesto conto alla Lega delle soluzioni irrealizzabili e semplicistiche proposte, rimarca anche l’assenza, da parte della Chiesa, di un doveroso atto d’accusa nei confronti delle molte colpe dei governi africani e dei paesi attraversati dal fenomeno migratorio. E a conferma di questo vuoto, sempre sul Corriere, basta leggere l’intervista a Mons. Semeraro, che ripropone l’analisi secondo cui le cause dei movimenti migratori vanno ricercate nel “rapporto tra un occidente pingue e l’enorme numero di persone che non riescono a sopravvivere in altri continenti.”
Dall’altra parte c’è un’interssante intervista a Marcello Pera, che legge, nelle frasi di Galantino, il rischio di ridurre il cristianesimo a ideologia dei diritti, riscontrando tracce di una teologia della liberazione che sembrava spazzata via dalla storia e da energici interventi papali, in particolare di Giovanni Paolo II. Non so se nelle parole con cui Galantino liquida i politici ci siano residui di teologia della liberazione; ci sono, però, sicuramente, ombre dense di rischi. Il primo, di non dare a Cesare quel che è di Cesare: l’intervento del segretario della Cei si spinge troppo avanti nel giudizio sulla politica, e il giudizio diventa a sua volta politico. Inoltre Galantino non riconosce la generosità e il coraggio con cui questo governo ha mantenuto un difficile atteggiamento di apertura e solidarietà, mentre l’Europa che viene portata ad esempio (“potremmo imparare dalla Germania”) è la stessa che si chiude a riccio, che alza muri ed evita di sostenere uno sforzo che pesa in grandissima parte sull’Italia soltanto (e il ministro Alfano ne sa qualcosa). L’altro rischio è quello, sottolineato sempre da Pera, di ridurre la caritas, cioè l’amore per l’altro, a ideologia dei diritti, fomentando proprio quello scontro ideologico da cui  papa Francesco ha tante volte messo in guardia.
Noi non siamo certo fra i difensori di Salvini o di Grillo, e lo abbiamo dimostrato spesso sull’Occidentale; ma non è possibile nemmeno sottovalutare le paure, le preoccupazioni, le comprensibili ansie degli italiani, che stretti nella morsa di una lunga crisi economica, da cui solo adesso si intravede la via d’uscita, avvertono gli sbarchi senza fine come un’invasione silenziosa. Non è possibile ignorare che il dialogo e l’accoglienza non possono diventare un totale cedimento nei confronti di culture lontane e spesso intolleranti. E’ di ieri la notizia dell’uomo che a Dubai ha impedito ai bagnini di soccorrere la figlia che stava affogando, perché preferiva lasciarla morire che disobbedire ai dettami del Corano, per cui le donne non possono essere toccate da mani maschili estranee. Anche questi sono problemi che ci riguardano, quando testardamente, obbedendo a un principio umano fondamentale, continuiamo a cercare di salvare vite umane nelle acque di casa nostra.
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Il vescovo di periferia che disturba prelati e politici

Che fine ha fatto il cardinale Angelo Bagnasco? Eh sì, perché sarebbe lui il presidente della Conferenza episcopale italiana. Eppure con il passare del tempo è sempre più il segretario generale, quel monsignor Nunzio Galantino fino a poco tempo fa vescovo della sperduta Cassano Jonio, in Calabria, a parlare a nome dei vescovi italiani. O almeno di una parte di essi perché – non è un mistero – ci sono settori e personalità della chiesa non in sintonia con questo papa argentino poco interessato, in apparenza, alla dottrina, pronto a smontare i privilegi ecclesiastici e che spesso, addirittura, parla male del clero o quantomeno ne denuncia i comportamenti poco evangelici o semplicemente troppo aderenti alla mondana ricerca di potere personale.
Tuttavia Galantino, il vescovo che viene dalla periferia, parla chiaro, a volte perfino troppo. Come è successo ultimamente, per poi ricorrere a frettolose e grottesche retromarce. Dietro la confusione però c’è un fatto concreto: la Cei non sa più quale strada seguire, è divisa al suo interno, lo stesso Galantino che “fa” il presidente ma presidente non è, probabilmente non è aiutato da collaboratori esperti di rapporti con i mezzi d’informazione e con la politica.
Così il linguaggio centellinato e sempre in equilibrio retorico tra il dire e non dire, pronto a usare parole grosse quando non si correvano eccessivi rischi – tipico dei vertici ecclesiastici – è esploso in una sarabanda di “fanfaroni” e “piazzisti” rivolto dal vescovo Galantino a leghisti e grillini. Questi, in materia di immigrazione, si dimostrerebbero appunto venditori da strada più che politici responsabili e in grado di rispondere a una crisi umanitaria senza precedenti con la legge universale della solidarietà, con senso politico e diplomatico.
Di più, intervistato dal settimanale Famiglia Cristiana quasi allo zenit estivo del ferragosto italiano, il segretario della Cei ha lanciato nuovi strali contro la Lega nord, contro i cristiani solo a parole, difensori dei crocefissi nelle aule scolastiche ma non del Vangelo nella realtà. E infine – qui il passaggio del Rubicone – ha chiamato in causa pure il governo. Questa è una linea rossa che la Cei negli ultimi decenni ha varcato raramente e solo quando sapeva che l’esecutivo in carica era a rischio o ormai in crisi: allora piazzava la sua zampata, non di rado assestando il colpo finale a un governo già di ombre.
Secondo il segretario-kamikaze, il governo è responsabile di non far niente in materia di integrazione
Altra è stata la scelta di Galantino che ha deciso di criticare un potere politico ancora in sella. Secondo il segretario-kamikaze, il governo è responsabile di non far niente in materia di integrazione e accoglienza limitandosi a evitare tragedie in mare, che va bene ma non serve se poi non si lavora sul piano della convivenza, della crescita civile, delle leggi sulla cittadinanza e così via.
Insomma Galantino aveva svolto fino in fondo il proprio ruolo di pastore menando colpi a destra e a manca senza riguardi, suscitando una discussione intensa ma reale, fino a quando la Cei, nella serata del 12 agosto, ha mandato via email una smentita dell’intervista, scritta però dalla direzione di Famiglia Cristiana che si è, in tal modo, clamorosamente autoaffondata.
Il senso del testo era: abbiamo esagerato le dichiarazioni di Galantino, ce ne scusiamo. Il tutto risultava agli occhi di chi ha seguito in questi anni le vicende ecclesiastiche, poco credibile: l’intervista era di fatto in linea con quanto lo stesso esponente della Cei aveva già detto negli ultimi giorni, con l’eccezione delle critiche al governo.
L’accusa che ne è nata, fondata o meno che sia, è stata inevitabilmente quella di sempre, cioè che la chiesa fa marcia indietro a causa delle troppe cose in ballo con il governo: i soldi alle scuole cattoliche, la contestazione alla legge sulle unioni civili, eccetera. In tal modo la Cei avrebbe messo in atto, per l’ennesima volta, l’esatto contrario di quella testimonianza priva di interessi in favore dei più deboli chiesta anche dal papa. Insomma un autogol in piena regola.
Ma la giravolta Galantino-Famiglia Cristiana-Cei ha soprattutto fatto segnare un punto a Matteo Salvini, Maurizio Gasparri, Francesco Storace e altri che si sono stracciati le vesti in quanto cattolici tutti d’un pezzo colpiti nella loro sensibilità. Un pasticcio colossale insomma, di cui hanno fatto le spese organizzazioni come la Caritas e altre strutture cattoliche che si dedicano all’accoglienza dei disperati provenienti dal mare e sono impegnate in una battaglia civile contro il razzismo diffuso a piene mani da una destra ormai priva di argomenti sostanziali se non quello del muro da alzare contro lo straniero.
La chiesa italiana scricchiola e perde pezzi, incapace com’è di confrontarsi con i mutamenti del mondo
La presidenza della Cei in tutto questo è sparita. Del resto Bagnasco non s’intende con il papa e anzi la distanza tra i due non ha fatto che aumentare con il passare del tempo. Inoltre Galantino svolge da tempo, di fatto, le funzioni di commissario straordinario, ma i risultati sono incerti: la chiesa italiana scricchiola e perde pezzi, incapace com’è di confrontarsi con i mutamenti del mondo.
I vescovi italiani – lo ha spiegato anche lo storico cattolico Andrea Riccardi qualche giorno fa sul Corriere della Sera – hanno rifiutato di ridurre il numero delle diocesi, (quindi, aggiungiamo noi, degli incarichi e dello status che ne derivano in termini di potere sociale).
Nel frattempo settori reazionari e ultraclericali del mondo cattolico, accompagnati da segmenti di un episcopato dai tratti decisamente fondamentalisti (per questo assai diffidente da sempre pure sul tema immigrazione), si sono mobilitati per fermare la legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso.
Tema sul quale lo stesso Galantino ha espresso critiche senza però aderire alle manifestazioni del family day, cercando un difficile equilibrismo tra vecchio e nuovo. D’altro canto, ancora una volta, tra rinvii e ipotesi di annacquamenti della legge, il parlamento ha mostrato una certa sensibilità agli attacchi contro i diritti degli omosessuali portati avanti dagli ambienti del cattolicesimo più retrivo.
Altrove però, anche su Avvenire, il quotidiano della Cei, è nel frattempo cominciato un dibattito senza paraocchi tra cattolici sulla questione del gender, cioè sul senso dell’orientamento sessuale delle persone, sul significato da dare a maschile e femminile uscendo dal recinto ideologico della crociata Dio-patria-e famiglia.
Papa Francesco ha cancellato i princìpi non negoziabili fin dal principio del pontificato e la cosa non è andata giù a molti. Da qui è nato uno scontro molto più articolato e frastagliato di quanto non si creda, e che si svolge nel mondo ecclesiale e cattolico: nelle associazioni, nelle parrocchie, nella società, sulla spiaggia di Lampedusa, nelle aule del parlamento e presto anche in Vaticano, in occasione del prossimo sinodo mondiale sulla famiglia e poi durante l’anno santo della misericordia, indetto da Bergoglio a partire dal dicembre del 2015.
Questa apertura al mondo alla fine produrrà un nuovo corso per il cattolicesimo italiano
Di certo mai come in questa fase è emersa la crisi di leadership e di visione dell’episcopato italiano che, spintonato a forza dal papa nel vasto mondo, portato fuori dai convegni inutili e dalle sacrestie, non sa bene in quale direzione voltarsi, mentre una parte delle gerarchie non nasconde il suo ammutinamento silenzioso e impaurito rispetto a un pontificato che rischia di ridurre drasticamente la centralità romana e italiana nella chiesa universale.
Questa apertura al mondo, sempre secondo Riccardi, che è anche leader storico della Comunità di Sant’Egidio, alla fine produrrà un nuovo corso per il cattolicesimo italiano, che pure attraversa una crisi di visione e di lettura della società. Di certo la scelta radicale di papa Francesco, lo stare dalla parte dei poveri in modo concreto, nell’aiuto e nella richiesta di giustizia, ha selezionato già diversi tipi di chiesa e di credenti, mondi sommersi sono emersi e diventati protagonisti e oggi parlano finalmente con autorevolezza fuori delle catacombe mediatiche in cui erano costretti.
Ma restano incrostazioni profonde, rapporti solidi con il potere duri a morire e privilegi grandi e piccoli ai quali non si rinuncia. E timori nel definire nuove forme e contenuti di partecipazione sociale e, forse, di missione cristiana.