lunedì 20 febbraio 2012

Peccato originale e battesimo dei bambini

 

Continuo oggi 20 febbraio con la presentazione del Decreto sul peccato originale. Vedi per i cann. precedenti:

16 Feb 2012
A proposito di peccato originale... sopra: L'albero della Vita In questo blog una attenzione tutta particolare ho cercato di riservare ai documenti più importanti del magistero della Chiesa sulla dottrina della grazia.(v. tutti i post ...
 
* * *

«Confesso un solo battesimo per la remissione dei peccati»

Decreto sul peccato originale, can. 4

Se qualcuno afferma che i bambini appena usciti dal ventre della madre non devono essere battezzati, anche se nati da genitori battezzati, oppure sostiene che essi vengono sì battezzati per la remissione dei peccati, ma non contraggono da Adamo alcunché del peccato originale che sia necessario purificare col lavacro della rigenerazione per conseguire la vita eterna, da cui consegue che per essi la forma del battesimo “per la remissione dei peccati” non va presa per vera, ma per falsa, sia scomunicato. Infatti quanto dice l’Apostolo: «A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e con il peccato la morte, e così la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato» (Rm 5, 12), non va inteso in modo diverso dal modo in cui la Chiesa cattolica diffusa in tutto il mondo l’ha sempre inteso. È infatti per questa norma di fede che, per tradizione apostolica, anche i bambini, che da sé stessi non hanno ancora potuto commettere alcun peccato, vengono battezzati veramente per la remissione dei peccati, affinché in essi sia purificato con la rigenerazione quello che hanno contratto con la generazione. Infatti «se uno non nasce da acqua e da Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3, 5).


A commento del canone 4 del Decretum de peccato originali del Concilio di Trento (Denzinger 1514), dove, seguendo fedelmente il Credo niceno-costantinopolitano (Confesso un solo battesimo per la remissione dei peccati), si afferma che anche il battesimo dei bambini, i quali non hanno potuto commettere alcun peccato personale, è per la remissione dei peccati, ripubblichiamo, a conforto della fede e come preghiera, i brani del Credo del popolo di Dio di Paolo VI in cui è riproposta questa dottrina di fede.
Sorprende sempre osservare come sant’Agostino, quando accenna al momento in cui il diavolo viene sciolto (cfr. Ap 20, 3. 7) – cioè è scatenato, si scatena –, indichi quale segno della fedeltà del Signore alla Sua Chiesa, e quindi quale segno di speranza, il fatto che genitori cristiani fanno battezzare i propri figli (cfr. De civitate Dei XX, 8, 3).
Per questo, sempre a commento del canone 4 del Decretum de peccato originali del Concilio di Trento, propongo la lettura di alcuni appunti tratti da una lezione di don Giacomo Tantardini su questo brano del De civitate Dei di Agostino. Gli appunti della lezione, tenuta nella Libera Università San Pio V di Roma il 5 maggio 1999, sono stati diffusi tra gli studenti in una dispensa dal titolo Invito alla lettura di sant’Agostino. Appunti dalle lezioni di don Giacomo Tantardini alla Libera Università San Pio V di Roma su “La città di Dio e gli ordinamenti degli Stati”, Anno accademico1998-1999 (pro manuscripto), Associazione San Gabriele, Roma.


Peccato originale e battesimo dei bambini

Paolo VI, Credo del popolo di Dio

Noi crediamo che in Adamo tutti hanno peccato: il che significa che la colpa originale da lui commessa ha fatto cadere la natura umana, comune a tutti gli uomini, in uno stato in cui essa porta le conseguenze di quella colpa, e che non è più lo stato in cui si trovava all’inizio nei nostri progenitori, costituiti nella santità e nella giustizia, e in cui l’uomo non conosceva né il male né la morte. È la natura umana così decaduta, spogliata della grazia che la rivestiva, ferita nelle sue proprie forze naturali e sottomessa al dominio della morte, che viene trasmessa a tutti gli uomini; ed è in tal senso che ciascun uomo nasce nel peccato. Noi dunque professiamo, col Concilio di Trento, che il peccato originale viene trasmesso con la natura umana, «non per imitazione, ma per propagazione», e che esso pertanto è «proprio a ciascuno» (cfr. Denzinger 1513).

Noi crediamo che Nostro Signor Gesù Cristo mediante il Sacrificio della Croce ci ha riscattati dal peccato originale e da tutti i peccati personali commessi da ciascuno di noi, in maniera tale che – secondo la parola dell’Apostolo – «là dove aveva abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5, 20).

Noi crediamo in un solo Battesimo istituito da Nostro Signor Gesù Cristo per la remissione dei peccati. Il Battesimo deve essere amministrato anche ai bambini che non hanno ancor potuto rendersi colpevoli di alcun peccato personale, affinché essi, nati privi della grazia soprannaturale, rinascano «dall’acqua e dallo Spirito Santo» alla vita divina in Gesù Cristo (cfr. Denzinger 1514).





Appunti della lezione di don Giacomo Tantardini
tenuta nella Libera Università San Pio V di Roma il 5 maggio 1999
«Anche quando il diavolo viene sciolto ci saranno genitori così forti
che faranno battezzare i loro piccoli» (De civitate Dei XX, 8, 3)


La bestia che vuole divorare il bambino partorito dalla donna vestita di sole, Battistero di Padova [© Archivi Alinari, Firenze]
La bestia che vuole divorare il bambino partorito dalla donna vestita di sole, Battistero di Padova [© Archivi Alinari, Firenze]
Gli ultimi quattro libri del De civitate Dei descrivono il fine, il termine delle due città. Il terzo brano che oggi leggeremo è tratto dal libro ventesimo del De civitate Dei: è uno dei brani più belli. Nel capitolo ottavo del libro ventesimo1 Agostino commenta alcuni versetti dell’Apocalisse. In particolare comincia a commentare quel versetto (Ap 20, 3) in cui si legge che: «“Post haec oportet eum solvi brevi tempore” / “Dopo queste cose è necessario che quello [il diavolo] sia sciolto per un breve tempo”». Giovanni parla dei mille anni in cui il diavolo è legato; del breve tempo in cui il diavolo viene sciolto; dei mille anni in cui i santi regneranno sulla terra. Agostino dà di queste immagini del discepolo prediletto quella lettura che la Chiesa ha fatto propria e da sempre ha proposto. È interessante notare che c’è tutta una tradizione culturale, che parte da Gioacchino da Fiore, contraria alla lettura di Agostino. C’è un libro molto interessante di Ratzinger su questo argomento2. Agostino dice che tra l’ascensione del Signore e il Suo ritorno glorioso con la risurrezione dei morti e il giudizio finale, c’è solo il tempo della memoria. In questo «breve tempo»3, tra l’ascensione del Signore e il Suo ritorno glorioso, non accade nulla di diverso, di altro4. La memoria è infatti l’accadere sempre nuovo, quale nuovo inizio, di quello stesso unico avvenimento definitivo. Quindi sia i mille anni in cui il diavolo è legato, sia il breve tempo in cui è sciolto, sia i mille anni in cui i santi regnano appartengono tutti a questo tempo della Chiesa prima del giudizio finale, sono espressioni che descrivono condizioni di questo tempo della Chiesa. Sant’Agostino supera in maniera definitiva il millenarismo. I mille anni in cui i santi regneranno sulla terra non saranno un tempo diverso, altro dal tempo della Chiesa. Infatti, dice Agostino in una delle sue osservazioni più belle, già ora regnano, già ora c’è questo regno5. Questo è il contesto in cui vanno collocate le parole di Agostino. E l’interpretazione di Agostino risulta ancora più realistica se accettiamo i suggerimenti che il professor Eugenio Corsini dà per leggere l’Apocalisse6, la quale, secondo lui, si riferisce innanzitutto alla morte e alla risurrezione del Signore, a quei tre giorni in cui si è compiuta una volta per sempre «la rivelazione di Gesù Cristo» (Ap 1, 1). Il tempo della Chiesa vive della memoria di quell’avvenimento e dell’attesa del suo definitivo manifestarsi. Quindi l’Apocalisse è più un libro di memoria che non di prospettive future. Che cosa vuol dire, si domanda dunque Agostino, che il diavolo sarà sciolto per un breve tempo? Quando verrà sciolto potrà sedurre la Chiesa?
«Absit; / Non sia mai; / numquam enim ab illo Ecclesia seducetur / mai infatti da quello [il diavolo] sarà sedotta la Chiesa, / praedestinata et electa ante mundi constitutionem, / che è stata predestinata ed eletta prima della creazione del mondo, / de qua dictum est: “Novit Dominus qui sunt eius”. / della quale è stato detto: “Il Signore conosce chi sono i suoi”».
Nella Quaresima del 1995 ho suggerito di stampare un piccolo cartoncino con la Preghiera a san Giuseppe, il Memorare, l’Angelo di Dio e con una delle frasi più belle che Giussani aveva detto nel gennaio-febbraio di quello stesso anno: «Noi siamo in un tale degrado universale che non esiste più niente di ricettivo del cristianesimo, se non la bruta realtà creaturale. Perciò è il momento degli inizi del cristianesimo, è il momento in cui il cristianesimo sorge, è il momento della resurrezione del cristianesimo. E la resurrezione del cristianesimo ha un grande unico strumento. Che cosa? Il miracolo. È il tempo del miracolo. Bisogna dire alla gente di invocare i santi perché sono stati fatti per questo». Perché sebbene anche altri facciano miracoli7, i santi sono stati fatti per questo. Mi hanno raccontato che lunedì scorso, durante la trasmissione televisiva Porta a porta, che aveva come argomento la beatificazione di Padre Pio, di fronte ad alcuni interventi che sostenevano che i santi sono canonizzati per la loro cultura, Andreotti, presente alla trasmissione, ha detto con ironia che se le cose stessero veramente così allora sarebbe santo solo Tommaso d’Aquino. I santi sono stati fatti tali per i miracoli.
Nello stesso piccolo cartoncino per la Quaresima del 1995 ho fatto scrivere tre frasi. La prima è tratta dal Salmo 5: «Fai perire i bugiardi. Il Signore detesta sanguinari e ingannatori». La seconda è tratta dall’Apocalisse (Ap 13, 11.16-17): «Vidi poi salire dalla terra un’altra bestia. [...] Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere [potesse fare carriera] senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia e il numero del suo nome». La terza frase è tratta dalla seconda Lettera di Paolo a Timoteo (2Tm 2, 19): «Tuttavia il fondamento gettato da Dio sta saldo e porta questo sigillo: Il Signore conosce i suoi, e ancora: Si allontani dall’iniquità chiunque invoca il nome del Signore». Questa terza frase è quella che Agostino dice valere soprattutto nel tempo in cui il diavolo viene sciolto.
Continuiamo la lettura di Agostino: «Et tamen hic erit etiam illo tempore, quo solvendus est diabolus, / Eppure la Chiesa esisterà quaggiù anche nel tempo in cui il diavolo dovrà essere sciolto, / sicut, ex quo est instituta, hic fuit et erit omni tempore, in suis utique qui succedunt nascendo morientibus / così come, dalla sua fondazione, quaggiù è esistita ed esisterà in ogni tempo nei suoi, che sempre si avvicendano col nascere a coloro che muoiono»: la Chiesa vive nei suoi. Non c’è la Chiesa in astratto. C’è la Chiesa che vive nei suoi, che vive in maniera perfetta in Colei che è stata Sua madre. Quando in tutte le messe si dice «non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa» penso innanzitutto alla Madonna. Perché di fatto la fede della Sua Chiesa in maniera eccellente, umile e eccellente, in una pienezza di grazia che è insuperabile, l’ha vissuta quella ragazza. Se non ci fosse stato nessuno che avesse vissuto così, non sarebbe così reale questa preghiera.
Poi Agostino commenta un altro brano dell’Apocalisse (20, 9 ss), in cui Giovanni dice che tutte le nazioni «cinxerunt castra sanctorum et dilectam civitatem, /  hanno cinto d’assedio l’accampamento dei santi e la città che Dio ama, / et descendit ignis de caelo a Deo et comedit eos[...] / ma un fuoco scese dal cielo da Dio e divorò coloro che [...]» stavano per conquistare la città diletta... Agostino, come accennavo prima, commentando questo passo afferma che la vittoria definitiva «iam ad iudicium novissimum pertinet / riguarda il giudizio finale».
Rispetto al breve tempo in cui il diavolo viene sciolto, Agostino dice: «[...] ne quis existimet eo ipso parvo tempore, quo solvetur diabolus, in hac terra Ecclesiam non futuram, illo hic eam vel non inveniente, cum fuerit solutus, vel absumente, cum fuerit modis omnibus persecutus / [...] nessuno pensi che in quel breve tempo in cui il diavolo sarà sciolto la Chiesa non esisterà sulla terra, o perché il diavolo non ve la troverà quando verrà sciolto o perché l’annienterà dopo averla perseguitata in tutti i modi».

Cristo sul cavallo bianco seguito dagli eserciti celesti, Battistero di Padova [© Giorgio Deganello Editore]
Cristo sul cavallo bianco seguito dagli eserciti celesti, Battistero di Padova [© Giorgio Deganello Editore]
Ma se il diavolo viene sciolto vuol dire che è legato. Che significa il fatto che è legato?: «[...] sed alligatio diaboli est non permitti exserere totam temptationem quam potest / [...] il fatto che il diavolo è legato vuol dire che non gli è permesso di esercitare tutta la sua possibile forza di tentazione / vel vi vel dolo ad seducendos homines / attraverso la forza o attraverso l’inganno per sedurre gli uomini», per distogliere gli uomini dalla fede. Questa è l’espressione massima della tentazione. Sono tentazioni tutte le tentazioni del diavolo così come sono vizi capitali tutti i sette vizi capitali8. Ma la tentazione cui tendono tutte le tentazioni è quando il diavolo vuole distruggere la fede. Come diceva sempre padre Leopoldo Mandic quando confessava: «Basta che si salvi la fede»9. Questo è il criterio per i preti quando confessano; ed è il fine ultimo per cui ci si confessa. Così è conforto grandissimo confessarsi di qualunque peccato perché si salvi la fede. La fede è la radice di tutto. Così si ritorna innocenti, piccoli, puri di cuore. «Con la forza e con l’inganno» il diavolo si mobilita per distruggere la fede. «Con la forza e con l’inganno».
«Vi / con la forza». Per esempio la minaccia. Di fronte alle morti improvvise che hanno segnato questi anni, a volte ho accennato che, da un certo punto di vista, perché siano usate come minaccia contro chi crede, non è importante che siano morti improvvise avvenute per omicidio o morti improvvise avvenute per caso (per caso non sono mai ultimamente nel disegno della provvidenza del Signore). Infatti possono essere usate come minaccia nei confronti di chi crede anche se non sono reali omicidi. Di fronte a certe morti improvvise uno può dire a un altro: «Guarda che se non fai così, fai la fine di quella persona». Quindi le morti improvvise sono usate come minaccia, anche se quelle morti non fossero reali omicidi, anche se fossero morti, diciamo così, naturali.
«Dolo / con l’inganno». La maggior parte delle persone è sedotta attraverso l’inganno. Con termini moderni potremmo parlare di omologazione anche attraverso gli strumenti di comunicazione di massa. Inganno mediatico. Per ingannare le persone il diavolo fa leva sul peccato di superbia. Infatti ai piccoli e ai semplici, cioè agli umili («Qui sunt parvuli? Humiles»10) il Signore dona la sapienza. «La tua parola nel rivelarsi illumina, dona sapienza ai semplici» (Sal 118, 130).
Per questo quando Agostino parla di questa persecuzione accenna che è importante la sapienza. Cioè è importante l’intelligenza che coglie il momento. Lo dice più avanti: «Omnes insidias eius atque impetus et caverent sapientissime et patientissime sustinerent / per sottrarsi con somma sapienza alle insidie e agli as­salti [del diavolo] e per sostenerli con somma pazienza». Agostino insiste su questa intelligenza; anche se è evidente che è un particolare dono di grazia il fatto che nella persecuzione si rimane fedeli. Soprattutto quando la persecuzione diventa cruenta, come nell’aprile di sette anni fa, l’aprile 1992, Giussani aveva previsto11.
Continua Agostino: «in partem suam cogendo violenter fraudolenterve fallendo / costringendoli dalla sua parte con la violenza o ingannandoli con la menzogna». Il diavolo tenta gli uomini non innanzitutto perché pecchino (anche se non li può costringere dalla sua parte con la violenza e con l’inganno se non attraverso il peccato12) ma perché vadano dalla sua parte. È questo lo scopo: perché vadano dalla sua parte. Se non si coglie questo, non si coglie una dimensione essenziale della storia della Chiesa. Non si può descrivere la storia della Chiesa solo come storia di grazia e di peccati. Ricordo che una volta ero in macchina con Giussani a Roma. Prima di giungere a piazza Venezia, Giussani mi disse: «Vedi, i fattori della storia della Chiesa sono tre: la grazia, il peccato e l’anticristo. Se non si tiene presente l’anticristo, il rapporto tra grazia e peccati può essere concepito moralisticamente». L’anticristo, attraverso il peccato, vuole portarti dalla sua parte. «In partem suam cogendo violenter fraudolenterve fallendo / costringendoli dalla sua parte con la violenza o ingannandoli con la menzogna».

Si domanda Agostino: perché il diavolo viene sciolto?
Apro una breve parentesi. Qualcuno mi ha accennato a un sogno di san Giovanni Bosco. Don Bosco sogna di una scommessa, se non sbaglio, tra Dio e il diavolo, in cui il diavolo dice a Dio di essere capace di distruggere la fede in un secolo. E il Signore gli avrebbe detto: bene, ti do un secolo, puoi fare quello che vuoi. Vedremo alla fine se sarai riuscito a distruggere completamente la fede dentro la mia Chiesa. A tutte le profezie private, come possono essere i sogni di don Bosco, si è liberi di credere o di non credere. Anzi, propriamente, ad esse non si crede, ad esse si può solo dare credito o no. Perché non sono oggetto della fede. Le profezie private possono essere però ipotesi intelligenti per leggere la realtà. Le profezie private, comprese le apparizioni della Madonna, possono essere suggerimenti all’intelligenza illuminata dalla fede per guardare la realtà. Pensate alla profezia di Paolo VI nel settembre 197713 e al giudizio ancora più drammaticamente realistico di Giussani del dicembre 1998 sul piccolo resto14. Una profezia privata, a cui non si crede propriamente parlando, ma a cui si dà semplicemente credito, perché la fede nasce solo per attrattiva di grazia15, può essere però uno spunto utilissimo per guardare con attenzione e con accettazione la realtà così com’è.

Allora perché il diavolo viene sciolto?
«Si autem numquam solveretur, minus appareret eius maligna potentia, / Se non fosse mai sciolto, meno apparirebbe la sua potenza cattiva, / minus sanctae civitatis fidelissima patientia probaretur, / meno sarebbe messa alla prova la fedelissima pazienza della città santa, / minus denique perspiceretur, quam magno eius malo tam bene fuerit usus Omnipotens [...] / ma soprattutto si vedrebbe meno chiaramente come Colui che è onnipotente può usare un male così grande per un bene ancora più grande [...] / In eorum sane, qui tunc futuri sunt, sanctorum atque fidelium comparatione quid sumus? / Rispetto a quei santi e fedeli che vivranno allora [quando il diavolo sarà sciolto], che cosa siamo noi?».
Questa domanda per Agostino nasceva spontanea, perché Agostino viveva in un tempo in cui migliaia e migliaia di persone diventavano cristiane. Tant’è vero che per Agostino miracolo evidente per credere in Cristo è la multitudo, la moltitudine di persone che diventano cristiane. Agostino era circondato dal miracolo di migliaia e migliaia di persone che diventavano cristiane. Una multitudo di ignoranti e peccatori che incontravano il cristianesimo16. Non aveva paragone l’evidenza dei miracoli che confortano la fede17 al tempo di Agostino con oggi, in cui, come accennava a 30Giorni un vescovo del Laos, la Chiesa è come un piccolo bambino salvato dalle acque18. Agostino poteva dire: «Il miracolo più evidente è che i vostri templi e i vostri teatri sono vuoti, mentre le chiese sono piene di popolo». Oggi è letteralmente il contrario. Per questo mi sembra possibile leggere questo tempo o momenti di questo tempo, come tempo o momenti in cui il diavolo è sciolto. Dico questo da un punto di vista realistico, di constatazione19. Anche la preghiera di papa Leone XIII a san Michele Arcangelo, che, prima della riforma liturgica, si recitava al termine della santa messa, suggeriva questa ipotesi, domandando: «... e tu, Principe della Milizia celeste, con il potere che ti viene da Dio, incatena nell’inferno satana e gli altri spiriti maligni...»20.

«[...] Usque in illum finem sine dubio convertentur;[...] / [...] Fino alla fine [anche quando il diavolo viene sciolto] ci saranno coloro che si convertiranno; [...] / qui oderint christianos, in quorum quotidie, velut in abysso, caecis et profundis cordibus includatur / [e ci saranno anche] coloro che odiano i cristiani; nella profondità dei loro cuori ciechi il diavolo ogni giorno viene rinchiuso come nell’abisso»: credo che difficilmente Agostino abbia dato su qualcuno un giudizio così tragico come questo su chi odia i cristiani come tali cioè «coloro che si muovono nella semplicità della Tradizione»21. «Immo vero id potius est credendum, / Si deve piuttosto credere che / nec qui cadant de Ecclesia nec qui accedant Ecclesiae illo tempore defuturos, / anche in quel tempo non mancheranno né quelli che si allontanano dalla Chiesa né quelli che la incontrano, / sed profecto tam fortes erunt et parentes pro baptizandis parvulis suis / ma che anzi certamente ci saranno sia genitori così forti che faranno battezzare i loro piccoli [è bellissimo questo accenno, proprio come sguardo sulle cose accadute in questi anni], / et hi, qui tunc primitus credituri sunt, ut illum fortem vincant etiam non ligatum, / sia alcuni, che in quel tempo avranno appena compiuto i primi passi nella fede, che saranno così forti da vincere la forza del diavolo anche se non legato, / id est omnibus, qualibus antea numquam, vel artibus insidiantem vel urgentem viribus, et vigilanter intellegant et toleranter ferant; ac sic illi etiam non ligato eripiantur / cioè pronti a comprendere con attenzione e capaci di resistere con pazienza al diavolo che, come mai prima, insidia con tutte le arti e assale con tutte le forze, così da essere liberati da lui sebbene non legato»: non sono loro che vincono, ma sono loro che dalla grazia di Dio sono strappati sia dalla forza che minaccia sia dall’inganno.
Infine, nel capitolo nono del libro ventesimo22, Agostino com­menta i mille anni in cui gli eletti regnano sulla terra: «Interea dum mille annis ligatus est diabolus, sancti regnant cum Christo etiam ipsi mille annis, eisdem sine dubio et eodem modo intellegendis, id est, isto iam tempore prioris eius adventus. / Dunque, mentre il diavolo è legato per mille anni, i santi regnano con Cristo anch’essi per mille anni, che devono essere intesi senza dubbio nel medesimo tempo e nel medesimo modo, cioè già in questo tempo del Suo primo avvento. / Excepto quippe illo regno, de quo in fine dicturus est: “Venite, benedicti Patris mei, possidete paratum vobis regnum”, / Poiché, oltre a quel regno del quale alla fine si dirà: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno preparato per voi”, / nisi alio aliquo modo, longe quidem impari, iam nunc regnarent cum illo sancti eius, / se anche ora in questo tempo, sia pure in un altro modo molto diverso [dal Paradiso], non regnassero con lui i suoi santi, / quibus ait: “Ecce ego vobiscum sum usque in consummationem saeculi”; / ai quali il Signore dice: “Ecco io sono con voi fino alla fine del tempo”, / profecto non etiam nunc diceretur Ecclesia regnum eius regnumve caelorum / certo non si direbbe che la Chiesa già adesso è il Suo regno, il regno dei cieli»: i suoi fedeli regnano per la Sua presenza. Perché, essendo già ora presente il Signore, il regnare è come il riverbero nel cuore e nei gesti, cioè nelle opere buone, della Sua presenza e del Suo agire.
«[...] Ergo et nunc Ecclesia regnum Christi est regnumque caelorum. / [...] Infatti già adesso la Chiesa è il regno di Cristo e il regno dei cieli. / Regnant itaque cum illo etiam nunc sancti eius, / Anche adesso dunque i suoi santi regnano con Lui, / aliter quidem quam tunc regnabunt; / in maniera diversa da come regneranno allora [in Paradiso]; / nec tamen cum illo regnant zizania, quamvis in Ecclesia cum tritico crescant / ma tuttavia con Lui non regna la zizzania, sebbene nella Chiesa cresca con il frumento». La differenza nella Chiesa è proprio il regnare. La differenza è l’esperienza dello stupore che la Sua presenza genera. Cioè la differenza è l’essere o meno in grazia di Dio23. Anche la zizzania è nella Chiesa, anche la zizzania appartiene alla Chiesa, anche la zizzania può partecipare ai sacramenti della Chiesa, può essere tra i capi della Chiesa24, ma non regna. Perché il regnare è semplicemente il riverbero nel cuore e nelle opere buone dello stupore della Sua grazia: «[...] Postremo regnant cum illo, qui eo modo sunt in regno eius ut sint etiam ipsi regnum eius / [...] Insomma, regnano con Lui quelli che sono in tale modo nel suo regno da essere essi stessi il suo regno».


Note
1 Cfr. De civitate Dei XX, 8, 1-3.
2 Cfr. J. Ratzinger, San Bonaventura e la teologia della storia, Nardini Editore, Firenze 1991.
3 Agostino, In Evangelium Ioannis CI, 1.6.
4 Concilio ecumenico Vaticano II, costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum, n. 4:«Oeconomia ergo christiana, utpote foedus novum et definitivum, numquam praeteribit, et nulla iam nova revelatio publica expectanda est ante gloriosam manifestationem Domini nostri Iesu Christi / L’economia cristiana dunque, in quanto è l’Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcun’altra Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo (cfr. 1Tm 6, 14 e Tt 2, 13)».
5 Cfr. De civitate Dei XX, 9, 1, vedi pp. 23ss.
6 Cfr. I. de la Potterie, L’Apocalisse è già accaduta, in Storia e mistero. Esegesi cristiana e teologia giovannea, Sei-30Giorni, Roma 1997, pp. 115-119.
7 L. Giussani, Cristo è tutto in tutti, Appunti dalle meditazioni di Luigi Giussani per gli Esercizi della Fraternità di Comunione e liberazione, Rimini 1999, supplemento a Litterae Communionis-Tracce, n. 7, luglio-agosto 1999, p. 54: «Vi ricordate – come lo descrive il secondo libro della Scuola di comunità –, quando Gesù, andando per i campi con i suoi apostoli, vide vicino a un paese che si chiamava Nain una donna che piangeva e singhiozzava dietro la bara del figlio morto? E Lui andò là; non le disse: “Ti risuscito il figlio”. Ma: “Donna, non piangere”, con una tenerezza, affermando una tenerezza e un amore all’essere umano inconfondibili! E infatti, dopo, le diede anche il figlio vivo. Ma non è questo, perché di miracoli possono farne anche altri, ma questo, questa carità, questo amore all’uomo proprio di Cristo non ha nessun paragone in niente!».
8 Cfr.Chi prega si salva, 30Giorni, Roma 2009, p. 15: «I sette vizi capitali: 1. superbia; 2. avarizia; 3. lussuria; 4. ira; 5. gola; 6. invidia; 7. accidia».
9 Cfr. S. Falasca, È il Signore che opera, in 30Giorni, n. 1, gennaio 1999, pp. 70-74.
10 Agostino, Sermones 67, 5, 8.
11 L. Giussani, Un avvenimento di vita, cioè una storia (introduzione del cardinale Joseph Ratzinger), Edit-Il Sabato, Roma 1993, p. 104: «Ãˆ così. L’ira del mondo oggi non si alza dinanzi alla parola Chiesa, sta quieta anche dinanzi all’idea che uno si definisca cattolico, o dinanzi alla figura del Papa dipinto come autorità morale. Anzi c’è un ossequio formale, addirittura sincero. L’odio si scatena – a mala pena contenuto, ma presto tracimerà – dinanzi a cattolici che si pongono per tali, cattolici che si muovono nella semplicità della Tradizione».
12 «Non enim nisi peccatis homines separantur a Deo / Infatti soltanto con i peccati gli uomini si separano da Dio» (De civitate Dei X, 22); «Non deserit, si non deseratur / Non abbandona se non è abbandonato» (Agostino, De natura et gratia 26, 29); Concilio di Trento, Decretum de iustificatione, cap. 11: De observatione mandatorum, deque illius necessitate et possibilitate, Denzinger 1536-1539, in particolare 1537; Concilio Vaticano I, costituzione dogmatica sulla fede cattolica Dei Filius, Denzinger 3014.
13 Cfr. L. Giussani, Un avvenimento di vita, cioè una storia (introduzione del cardinale Joseph Ratzinger), Edit-Il Sabato, Roma 1993, pp. 72-73: «Negli ultimi anni lei desidera che siano ripetute e conosciute da tutti le parole che Paolo VI disse all’amico Jean Guitton, l’8 settembre del 1977, dove si parla di “un pensiero non-cattolico” e della resistenza di un “piccolo gregge”. Perché? Luigi Giussani: Perché è così che sta accadendo. La prego di rileggermi quelle parole. Eccole: “C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo della Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di san Luca: ‘Quando il Figlio dell’Uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?’. Capita che escano dei libri in cui la fede è in ritirata su punti importanti, che gli episcopati tacciano, che non si trovino strani questi libri. Questo, secondo me, è strano. Rileggo talvolta il Vangelo della fine dei tempi e constato che in questo momento emergono alcuni segni di questa fine. Siamo prossimi alla fine? Questo non lo sapremo mai. Occorre tenersi sempre pronti, ma tutto può durare ancora molto a lungo. Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non-cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia”».
14 L. Giussani, Cristo è parte presente del reale, in 30Giorni, n. 12, dicembre 1998, p. 49: «Oggi il fatto che Cristo esista – chi sia, dove sia, quale strada per andare a Lui – non è vissuto che da pochissimi, quasi un resto d’Israele, e anche questi spesso infiltrati o bloccati dall’influsso della mentalità comune».
15 Tommaso d’Aquino, Summa theologiae II-II q. 4 a. 4 ad 3: «Gratia facit fidem non solum quando fides de novo incipit esse in homine, sed etiam quamdiu fides durat / La grazia crea la fede non soltanto quando la fede nasce in una persona, ma per tutto il tempo che la fede dura».
16 Cfr. J. Ratzinger, Popolo e casa di Dio in sant’Agostino, Jaca Book, Milano 1971, in particolare pp. 33-38: «Dio ha fatto questo [procurare alla sapienza un’ulteriore incarnazione che le faccia strada anche fino all’occhio dello stolto] dapprima attraverso i miracoli poi attraverso la multitudo. Per Agostino la moltitudine dei popoli che appartengono alla Chiesa costituisce un evidente segno divino che veramente solo Dio stesso poteva dare» (p. 35).
17 Cfr. Concilio ecumenico Vaticano I, costituzione dogmatica sulla fede cattolica Dei Filius, Denzinger 3009.
18 Cfr. S. M. Paci, Ci basta un’Ave Maria, intervista con monsignor Jean Khamsé Vithavong, vicario apostolico di Vientiane nel Laos, in 30Giorni, n. 3, marzo 1999, pp. 16-19.
19 Cfr. J. Ratzinger, L’angoscia di un’assenza. Tre meditazioni sul Sabato santo, supplemento a 30Giorni, n. 3, marzo 1994.
20 Papa Leone XIII compose la preghiera a san Michele Arcangelo, sembra, nel 1886, e la fece poi inviare a tutti i vescovi, perché la facessero recitare in ginocchio al termine di ogni santa messa, dopo che era rimasto profondamente turbato da una visione avuta al termine della celebrazione di una santa messa a cui assisteva (cfr. Ephemerides liturgicae 69 [1955], p. 59 nota 9). La preghiera fu anche inclusa all’interno di uno speciale esorcismo fatto inserire da Leone XIII nel Rituale Romano (compariva al titolo XII, nell’edizione del 1954).
21 Cfr. sopra nota 11.
22 Cfr. De civitate Dei XX, 9, 1.
23 Cfr. Concilio ecumenico Vaticano II, costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, n. 14: «Non salvatur tamen, licet Ecclesiae incorporetur, qui in caritate non perseverans, in Ecclesiae sinu “corpore” quidem, sed non “corde” remanet. Memores autem sint omnes Ecclesiae filii condicionem suam eximiam non propriis meritis, sed peculiari gratiae Christi esse adscribendam; cui si cogitatione, verbo et opere non respondent, nedum salventur, severius iudicabuntur / Non si salva, però, anche se incorporato alla Chiesa, colui che, non perseverando nella carità, rimane sì in seno alla Chiesa col “corpo”, ma non col “cuore”. Si ricordino bene tutti i figli della Chiesa che la loro eccelsa condizione non va ascritta ai loro meriti, ma ad una speciale grazia di Cristo; per cui, se non vi corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, non solo non si salveranno, ma anzi saranno più severamente giudicati (Lc 12, 48: “A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto”. Cfr. Mt 5, 19-20; 7, 21-22; 25, 41-46; Gc 2, 14)» .
24 Cfr. L. Giussani L’uomo e il suo destino. In cammino, Marietti, Genova 1999, pp. 27-28: «Qui vorrei fare un’osservazione. Quello che abbiamo detto prima sul potere vale come aspetto vertiginoso per l’autorità come potrebbe essere vissuta nella Chiesa. Se essa non è paterna, e quindi materna, può diventare sorgente di equivoco supremo, strumento subdolo e distruttivo in mano alla menzogna, a Satana, padre della menzogna (cfr. Gv 8, 44). Mentre sempre, in modo sconvolgente, l’autorità della Chiesa è ultimamente da obbedire, paradossalmente».


* * *


Omelia di don Giacomo Tantardini

«Negli umili la grazia risplende di più»

Padova, Basilica del Santo, mercoledì 28 settembre 2011,
santa messa nel XXXIII anniversario della morte di papa Luciani





<I>La Madonna in trono</I>, Giusto de’ Menabuoi, Basilica di Sant’Antonio, Padova
La Madonna in trono, Giusto de’ Menabuoi, Basilica di Sant’Antonio, Padova
Mi è sempre di conforto il brano del Vangelo che abbiamo ascoltato (Lc 9, 57-62) che, in fondo, sotto diversi aspetti, dice una sola cosa: e cioè che l’iniziativa nel seguire Gesù non nasce dall’uomo, ma è di Gesù. Nessuno può prendere da sé l’iniziativa di seguirLo. «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15, 16). L’iniziativa è del Signore. È innanzitutto Sua. L’uomo può lasciarsi attrarre, ma non può prendere da sé l’iniziativa. Questa cosa, nelle poche e stupende prediche del mercoledì di papa Luciani, è stata come un ritornello più volte ripetuto. Nella predica sulla fede, dopo aver letto in romanesco una poesia di Trilussa, dice: «Questa poesia è bella come poesia, ma è difettosa come catechismo», perché, spiega il Papa, la fede non nasce dall’uomo. La fede è dono di Gesù. Tant’è vero che Gesù ha detto: «Nessuno viene a me, se non è attirato dal Padre mio» (Gv 6, 44. 65).
Nessuno può andare a Gesù, se Gesù non lo attira. La fede è grazia del Signore. E nella predica sulla carità dice proprio così: «Io non parto, se Dio non prende prima l’iniziativa». Noi da soli non partiamo, da soli non prendiamo nessuna iniziativa. L’iniziativa è del Signore. Se non incomincia Lui, noi non si parte. Se non attira Lui, noi non Lo seguiamo. È come un ritornello, in quelle quattro stupende prediche, il fatto che la vita cristiana è grazia, è iniziativa di grazia, e che la nostra risposta è la corrispondenza a questa attrattiva.
Ma, rileggendo queste prediche del mercoledì, la cosa che più mi ha colpito, questa volta, è stata che più volte il Papa dice: «Pregate per questo povero Papa». Usa l’espressione «povero Papa»: «Chissà se lo Spirito Santo aiuta questo povero Papa…». «Quando il povero Papa, quando i vescovi, i sacerdoti propongono la dottrina…». E ancora: «Vedo qui, vicino a me, dei fratelli vescovi, e poi c’è questo povero Papa». Com’è bella l’espressione «povero Papa»! Capisco forse adesso perché il buon cardinal Gantin, commentando il conclave che ha eletto papa Luciani, ha detto semplicemente: «Eravamo tutti contentissimi!». Non era una sorpresa l’elezione di Luciani, era prevedibile, ma erano tutti contentissimi, perché una persona povera, una persona umile era stata eletta vescovo della Chiesa di Roma. A una Chiesa povera, a una Chiesa umile, a una Chiesa piccolo gregge, era stato dato un Papa povero, un Papa umile e, quindi, erano tutti contentissimi. Perché, come dice sant’Ambrogio: «Negli umili risplende di più la grazia / In humilibus magis elucet gratia». Nei poveri, negli umili la grazia risplende di più. E quando risplende la grazia siamo tutti contenti. Quando risplende quello che fa il Signore siamo tutti contenti.
Così ricordiamo questo povero Papa a trentatré anni dalla sua improvvisa morte. Celebriamo il ricordo di questo povero Papa. Di questo «povero Papa», povero e quindi grande agli occhi del Signore e agli occhi dei suoi santi. Lo celebriamo qui a Padova, nella Basilica di Sant’Antonio.
«Si quaeris miracula / Se vuoi ottenere miracoli», dice il canto, «prega sant’Antonio». Così, insieme a papa Luciani, insieme ai nostri amici in paradiso, a tutti i santi del paradiso, preghiamo in particolare sant’Antonio per i miracoli, per tutti i miracoli. Oggi nel breviario, nei vespri, c’era questa frase di san Pietro: «Gettate nel Signore ogni vostra preoccupazione, perché Egli ha cura di voi» (1Pt 5, 7). Bisogna chiedere tutti i miracoli. Bisogna chiedere tutte le grazie. In questi mesi – e lo dico per l’affetto e l’amicizia che ci lega – tante volte, magari quando la paura e l’angoscia si sono affacciate, ho ripetuto questa frase: «Gesù ti offro, Gesù guariscimi, Gesù rendimi umile». Bisogna chiedere tutti i miracoli, per esempio il miracolo della guarigione. Tutti i miracoli.
Ma l’immagine di sant’Antonio con in braccio Gesù bambino suggerisce che tutti i miracoli sono chiesti all’interno di questo abbraccio. «Fuori di te nulla bramo sulla terra» (Sal 72, 25). Fuori di questo abbraccio di Gesù, fuori dell’abbraccio di Gesù, fuori della dolcezza di Gesù, uno non chiede nulla. Dentro questa dolcezza – come quando Antonio aveva in braccio Gesù bambino – uno può domandare tutto. Come il bambino piccolo, che domanda tutto al papà e alla mamma. Dentro quella dolcezza, dentro quell’abbraccio: «Fuori di te nulla bramo sulla terra».
Allora, la prima cosa innanzitutto da domandare è questa familiarità più che stupenda con Gesù. E la dolcezza della comunione con Gesù. «Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo Signore nostro!» (1Cor 1, 9). Com’è dolce questa comunione!
Sant’Antonio porta il bambino Gesù in braccio, ma è Gesù che porta Antonio. Quante volte dopo la comunione ripeto questa preghiera di sant’Ambrogio: «Veni, Domine Iesu, / Vieni, Signore Gesù, / ad me veni, / vieni a me, / quaere me, / cercami, / inveni me, / trovami, / suscipe me, / prendimi in braccio, / porta me / portami». Quando si è portati dal Signore, allora si chiede tutto. Così, in questi ultimi tempi della mia vita, mi è ritornata alla memoria una giaculatoria dal Cantico dei cantici (2, 16), di quando, piccolo, sono entrato in seminario, che dice: «Dilectus meus mihi et ego illi qui pascitur inter lilia / Il mio diletto è con me…». Il mio diletto, perché diletto del cuore è il Signore Gesù. Il mio diletto è con me; e anche noi poveri peccatori, per rinnovata grazia, possiamo dire: «E noi con Lui che pascola e si diletta tra i gigli». Con Lui che è il solo santo, il solo Signore. Tu solus sanctus, Tu solus Dominus. L’unico che ci ama con un amore così dolce, così tenero, che l’amore del papà e della mamma è una piccola immagine di questo amore.
Chiediamo ai santi, chiediamo a papa Luciani, chiediamo a sant’Antonio, chiediamo a don Giussani, chiediamo ai santi del paradiso che facciano sperimentare anche a noi sulla terra la dolcezza dell’essere amati da Gesù e, dentro questa dolcezza, chiediamo tutti i miracoli. Tutti i miracoli, che servono a custodire e a vivere la fede.