giovedì 13 marzo 2014

Un’attesa lunga e difficile


Proponiamo questa bella testimonianza raccolta dall’amica Paola per continuare a discutere e a ragionare sul tema dei fedeli divorziati.
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Mi chiamo Marta e scrivo per dare il mio contributo all’amata Chiesa in tema di matrimonio, separazione e dichiarazione di nullità.  Nel 1994, quando avevo appena compiuto 24 anni ed ero molto attiva nella mia parrocchia come catechista, membro del coro e volontaria vincenziana, ho “creduto di sposare ” un ragazzo incontrato nell’ambito del Cammino Neocatecumenale di una chiesa non lontana dal mio quartiere. Una persona non italiana, appartenente al patriarcato copto della chiesa ortodossa, che mi si è presentata con una storia di vita che dopo 7 anni si è rivelata completamente falsa. E così nel 1999, dopo due figli (che allora avevano 7 e 25 mesi), svariate peripezie e molte lacrime, l’ho visto scomparire dalla mia vita così come vi era entrato.
Negli anni successivi il mio padre spirituale ha iniziato a parlarmi della possibilità di sottoporre la mia storia al tribunale ecclesiastico e, malgrado le mie titubanze iniziali, ho scelto di fidarmi di lui ed ho intrapreso quella strada. Un po’ per le mie difficoltà economiche e un po’ per la convinzione di “aver diritto” ad un processo gratuito – o quasi – visto il mio impegno nella Chiesa dal giorno in cui ho ricevuto la Cresima (all’età di 14 anni), ho scelto di avvalermi di un patrono stabile (avvocati privati sono arrivati a chiedermi 8.000 euro per seguirmi e ben 180 per una consulenza, in un periodo in cui i miei figli ed io vivevamo con 400 euro al mese).
Tra una cosa e l’altra, il processo ha avuto inizio nel 2006 e, malgrado l’evidente invalidità dovuta ad incapacità ed inganno, si è concluso solo nel 2011, con la dichiarazione di nullità.
E allora mi domando: siamo proprio sicuri che questo sistema funzioni al meglio delle proprie potenzialità?
Intendiamoci, si tratta di un percorso importante, che sono solita definire “catartico”, perché consente di rivedere la propria vita e le proprie scelte, che “spiega” alcuni misteri del nostro io e che è certamente necessario per chi cerca la Verità. Ma proprio per queste ragioni mi permetto di richiamare l’attenzione su almeno due aspetti assolutamente contraddittori di questa realtà: la cattiva informazione ed il fattore tempo.
Mi spiego: trovo incredibile che nell’era di Internet e della cultura generalizzata si faccia ancora fatica ad accedere ad informazioni corrette in tema di nullità matrimoniale. Nel mio percorso ho incontrato parrocchiani che parlano di “annullamento” (come se la Chiesa avesse il potere di annullare un Sacramento), catechisti che non conoscono il funzionamento di un processo canonico e persino parroci che impediscono a chi ha subìto una separazione di leggere durante le celebrazioni…
Naturalmente poi la cattiva informazione scoraggia le persone che si trovano in situazioni “irregolari” dall’accedere ai tribunali ecclesiastici per fare verità e le fa sentire “fuori” dalla comunità ecclesiale.
Il secondo scandalo è la lungaggine burocratica che ha ripercussioni delicatissime sulla vita delle persone. Mi riferisco al fatto che molte coppie di conviventi rimangono per tanti anni in stato di peccato grave, privati del sostegno dell’Eucarestia, solo perché una banale carenza di personale nei tribunali lascia le pratiche giacere sui tavoli per mesi e mesi (ricordo che parliamo della VITA della persone!!).
La mia proposta, ferme restando le attuali norme del diritto canonico, è che la Chiesa si doti di uno strumento più agile ed eventualmente più decentrato per analizzare i singoli casi, tutti diversi, tutti dolorosissimi e tutti degni di attenzione (come ha recentemente ricordato Papa Francesco). Tra l’altro, richiamando la Familiaris consortio del beato Giovanni Paolo II, vorrei sottolineare il fatto che la stragrande maggioranza delle persone che ricorrono al tribunale ecclesiastico desidera vivere in comunione con la Chiesa, normalmente non ha scelto la separazione e cerca attraverso la realizzazione della propria vocazione matrimoniale di formare una coppia ed una famiglia che tenda alla santità. Spesso poi la nuova unione potrebbe consentire anche una migliore e più piena integrazione nella Chiesa.
Per tornare a me, dopo 14 anni dalla mia separazione, sono ancora in attesa dei tempi della Chiesa, questa volta perché si pronunci ufficialmente circa il matrimonio del mio fidanzato. Infatti, nonostante i nostri 44 anni, i 4 anni di fidanzamento e la piena convinzione della nullità anche del suo matrimonio, abbiamo scelto di attendere la sentenza di un processo iniziato nel 2011, anziché sposarci civilmente o intraprendere una convivenza. Questo, tanto per capirci, significa che, per obbedienza alla Chiesa e certi che il Signore ci donerà altre gioie, abbiamo rinunciato ad avere dei figli (uno dei nostri sogni più grandi) e a condividere la nostra quotidianità (un’esigenza propria di ogni coppia).
Oggi, su richiesta del mio parroco, sono nuovamente una catechista, pronta ad accogliere la sofferenza di tanti figli di genitori separati e lo sfogo di tante mamme e tanti papà, che vorrei smettessero di sentirsi emarginati dalla Chiesa.
Per completezza, intendo anche testimoniare la mia totale adesione ai temi della vita, la mia vicinanza al “Movimento per la Vita” e alle sue molte iniziative, il mio impegno per favorire la conoscenza dei metodi naturali per la regolazione delle nascite e le mie battaglie anti-abortiste.
In conclusione, credo fermamente che siamo tutti chiamati a farci vicini a chi ha sperimentato il fallimento del proprio matrimonio, a donare speranza e conforto, ma anche strumenti concreti per superare una condizione di disagio ed oggettiva ambiguità.
 Marta

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Svizzera e Germania s'allontanano da Roma
di Matteo Matzuzzi
Duemila persone, domenica scorsa, si sono radunate – previa marcia con cartelli, striscioni e fischietti – davanti alla cattedrale di San Gallo, dove abita e lavora il vescovo Markus Büchel, che è anche presidente della Conferenza episcopale svizzera. La marcia di protesta aveva anche un titolo, "Basta!", e l'oggetto dell'ira dei manifestanti era il vescovo di Coira, mons. Vitus Huonder, accusato di essere un "conservatore" paralefebvriano che "discrimina divorziati risposati, omosessuali e concubini".

Al vescovo Büchel hanno così chiesto di intervenire al più prestoe di coinvolgere nella vicenda addirittura il Papa, in modo da porre fine alla situazione che tanta sofferenza arrecherebbe al popolo fedele. Mons. Büchel è sceso in piazza, ha incontrato la folla e ha invitato tutti al dialogo, ringraziando altresì i manifestanti "che si sono impegnati per la loro Chiesa". Ha anche preso in consegna il cahier de doléances messo nero su bianco dagli organizzatori della marcia, un elenco di richieste che guardacaso risponde perfettamente alle tante attese di cui ha dato conto l'articolata sintesi elaborata dalla Conferenza episcopale elvetica emerse nell'indagine presinodale – che ha avuto una notevole eco, anche perché tutti potevano rispondere al questionario, compresi fedeli di altre confessioni religiose e perfino non credenti.
Innanzitutto, i duemila manifestanti esigono che in tempi rapidi venga nominato un amministratore diocesano da affiancare al vescovo di Coira, e che possibilmente si tratti di un pastore "che abbia la fiducia dei fedeli e che dia una nuova speranza alla diocesi". In secondo luogo, è considerato inammissibile "che mons. Huonder critichi pubblicamente quei fedeli che hanno fatto uso della pillola anticoncezionale o dei preservativi". Infine, ed è questo il punto cruciale di tutta la vicenda, si auspica che "il pensiero, la parola o l'azione ecclesiale non causino mai esclusione o discriminazione". Se non fosse chiaro dove gli organizzatori della protesta volessero andare a parare, ecco il passaggio dove si sottolinea la speranza che "dagli esiti della consultazione sinodale sulla famiglia siano tratte conseguenze concrete e incoraggianti".

Mons. Buechel ha riconosciuto quanto "la manifestazione dimostri che l'unità è ripetutamente messa alla prova" e che "le divisioni e le tensioni attraversano le confessioni e anche la Chiesa cattolica". Il problema è che alte sono ormai le attese in vista dell'appuntamento sinodale sulla famiglia, soprattutto in quelle realtà dove di pastorale familiare se n'è vista ben poca. Si tratta di quelle aree che in modo più veemente reagirono all'Humanae Vitae di Paolo VI e che ben poco misero in pratica di quanto contenuto nella Familiaris Consortiodi Giovanni Paolo II: Germania, Svizzera, Austria, Paesi Bassi, Belgio. 
Attese riposte soprattutto nei confronti del Papa, e non a caso i manifestanti anti Huonder chiedono che Francesco venga messo al corrente della situazione, convinti dunque che il Pontefice non possa che disapprovare in toto il comportamento del vescovo conservatore che non ammette all'eucaristia i divorziati risposati e che tuona dal pulpito contro l'uso della pillola anticoncezionale. Posizioni "che suscitano inquietudine", secondo gli organizzatori della marcia, dal momento che Huonder osa "discriminare i divorziati risposati e i cattolici che utilizzano la pillola e i preservativi". Anche loro evocano misericordia, rifacendosi implicitamente a quanto scritto dal cardinale Walter Kasper nella sua relazione concistoriale sulla famiglia e ribadito nel libro "Il Vangelo della Famiglia" (Queriniana) che – oltre a pubblicare il testo presentato davanti ai cardinali riuniti a Roma lo scorso febbraio – è corredato da ulteriori contribuiti volti a focalizzare meglio il problema. In uno di questi, pubblicato martedì sull'Osservatore Romano, Kasper scriveva che "ci sono grandi aspettative nella Chiesa" e benché "non possiamo rispondere a tutte le attese", qualcosa andrà fatto: "Se ripetessimo soltanto le risposte che presumibilmente sono state già da sempre date, ciò porterebbe a una pessima delusione. Non possiamo farci guidare da un'ermeneutica della paura". Ecco perché, aggiungeva il presidente emerito del Pontificio consiglio per l'Unità dei cristiani, "sono necessari coraggio e soprattutto franchezza biblica. Se non lo vogliamo, allora non dovremmo tenere alcun Sinodo sul nostro tema".
E d'accordo con Kasper è anche il neopresidente della conferenza episcopale tedesca, eletto mercoledì mattina al quarto scrutinio, Reinhard Marx. Una scelta che non ammette interpretazioni circa la linea che l'episcopato di Germania terrà in vista degli appuntamenti sinodali di ottobre e del prossimo anno. Proprio il cardinale Marx (in ascesa costante a Roma, dove da poco è stato nominato coordinatore del Consiglio per l'Economia) era stato il primo ad accusare pubblicamente, davanti ai vescovi della Baviera riuniti a Frisinga, il collega Gerhard Ludwig Müller, prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, di voler "chiudere un dibattito avviato da altri". Oggetto del contendere, il lungo articolo del custode dell'ortodossia cattolica apparso sull'Osservatore Romano del 22 ottobre scorso in cui si chiudeva ogni possibilità al riaccostamento dei divorziati risposati ai sacramenti. Marx aggiungeva che "una risposta a quei fedeli andrà data" nonostante i "numerosi tentativi" (così si è espresso Kasper) di frenare la discussione ormai avviata. Solo un paio di settimane fa, poi, lo stesso arcivescovo di Monaco auspicava che la relazione del teologo tedesco già allievo di Hans Küng fosse resa nota al più presto, "in modo da coinvolgere nel dibattito i teologi". Dopotutto, aggiungeva, "il suo fondamento teologico è incontestabile".