lunedì 24 marzo 2014

Misericordia per tutti



A colloquio con monsignor Nykiel in occasione del corso sul foro interno promosso dalla Penitenzieria apostolica.

(Nicola Gori) La confessione non è «una tecnica» ma «un’arte» che passa attraverso le qualità umane e spirituali del confessore. Lo sottolinea monsignor Jôzef Krzysztof Nykiel, reggente della Penitenzieria apostolica, spiegando al nostro giornale il significato del venticinquesimo corso sul foro interno, che si apre nel pomeriggio di lunedì 24 marzo, nel palazzo della Cancelleria. 
Quali sono i destinatari e le finalità del corso?
Destinatari privilegiati del corso sono i diaconi e i novelli sacerdoti che per vocazione e costituzione ministeriale sono i primi dispensatori della divina misericordia e, come tali, devono essere ben preparati e formati per amministrare rettamente il sacramento della riconciliazione. Si tratta infatti di uno dei doveri qualificanti del peculiare ministero che essi sono chiamati ad esercitare in persona Christi.
Nell’amministrare il sacramento del perdono e della riconciliazione, il presbitero — ricorda il Catechismo della Chiesa cattolica — agisce come «il segno e lo strumento dell’amore misericordioso di Dio verso il peccatore». Pertanto, durante il corso vengono presentati temi di diritto canonico, di teologia morale, di liturgia e di prassi pastorale, aspetti eticamente sensibili relativi al sacramento della penitenza, oltre a tutte le informazioni necessarie per redigere e inviare le domande o i ricorsi da sottoporre alla Penitenzieria apostolica circa le materie esclusivamente a essa riservate o che utilmente possono essere a essa inoltrate. Quest’anno, poi, il corso si arricchisce di una importante novità, direi senza precedenti, perché si concluderà nel pomeriggio di venerdì 28 marzo con una solenne liturgia penitenziale presieduta da Papa Francesco nella basilica di San Pietro. È un segno tangibile di quanto al Santo Padre stia a cuore questo sacramento della riconciliazione e della penitenza.
Quali devono essere le caratteristiche principali del buon confessore?
Vorrei rispondere rifacendomi all’esperienza spirituale di quel grande santo confessore che è stato Alfonso Maria de’ Liguori, il quale nelle Opere morali ha scritto che il confessore deve essere «padre che accoglie, medico che cura, maestro (o dottore) che educa, giudice che usa misericordia». È proprio così. Il confessore deve avere grande capacità di accoglienza e di amore paterno verso ogni penitente e soprattutto verso i figli “perduti” che tornano da molto lontano. Il padre del “figliol prodigo” insegna. Deve essere non come i giudici di questo mondo, che si accertano se negli imputati ci sono delle colpe da punire con la condanna; ma giudice che discerne se in un’anima ci sono le condizioni per ricevere il perdono del Signore: un giudice che opera secondo la giustizia di Dio applicando la misericordia. Dunque egli è maestro di verità; un maestro che ripropone l’insegnamento di Gesù su ciò che è bene e su ciò che è male, senza alcun potere di interpretare la verità evangelica secondo il proprio modo di vedere. Solo così, come bravo medico, potrà guarire i mali dell’anima di quei penitenti che si accostano al sacramento della riconciliazione. A tale proposito tutti noi, a partire dal cardinale penitenziere maggiore, che prestiamo servizio presso la Penitenzieria apostolica, tribunale della misericordia a servizio della Chiesa, siamo molto grati a Papa Francesco che in tanti suoi interventi e discorsi non si stanca di esortare i fedeli a non avere paura di chiedere perdono a Dio, di lasciarsi guarire e convertire dal suo amore. Durante l’incontro con il clero di Roma, lo scorso 6 marzo, il Santo Padre ha ribadito che «il sacerdote dimostra viscere di misericordia nell’amministrare il sacramento della riconciliazione; lo dimostra in tutto il suo atteggiamento, nel modo di accogliere, di ascoltare, di consigliare, di assolvere».
Dunque il confessionale non è solo «spazio teologico» ma anche «scuola di formazione della coscienza».
Certamente. Amministrando il sacramento della penitenza, il confessore svolge il delicato compito di formare e illuminare la coscienza del penitente. Mi vengono in mente le intense parole che Giovanni Paolo II ha utilizzato nell’esortazione apostolicaReconciliatio et paenitentia per sottolineare le qualità umane e spirituali del confessore, che è sempre anche educatore della coscienza. L’educazione della coscienza non sarà quindi una tecnica, ma un’arte che passa attraverso la qualità umana e spirituale del confessore.
Papa Francesco esorta continuamente i fedeli ad affidarsi alla misericordia di Dio. Perché gli sta tanto a cuore questo aspetto della vita cristiana?
Perché la misericordia di Dio è il cuore dell’annuncio evangelico. Gesù è venuto a salvare chi era perduto. È venuto per comunicarci che Dio è Padre misericordioso. Il Santo Padre insiste molto nel ricordare che Dio è misericordia infinita perché vuole suscitare nei cuori degli uomini di buona volontà la fiducia e la speranza che nella vita i cambiamenti sono sempre possibili. È sempre tempo di conversione e di salvezza. Egli desidera che la Chiesa si mostri al mondo come madre e maestra di misericordia, come ha detto durante l’udienza generale del 2 0ttobre 2013: «La casa di tutti, dove tutti possono essere rinnovati, trasformati, santificati dal suo amore, i più forti e i più deboli, i peccatori, gli indifferenti, coloro che si sentono scoraggiati e perduti».
È passato un anno dall’elezione di Papa Francesco. Che cosa è che la colpisce di più del Pontefice?
Tanti di noi che prestiamo servizio in Curia romana abbiamo avuto la grazia di vivere il primo anniversario del pontificato proprio con il Papa, facendo insieme a lui gli esercizi spirituali e constatando ancora di più quanto egli sia veramente uomo di profonda preghiera e di fiducia riposta in Dio. Di Papa Francesco colpisce non soltanto il suo essere annunciatore della divina misericordia ma il suo farsi pastore buono e misericordioso. Colpisce il suo andare continuamente alla ricerca dei poveri, dei bisognosi e dei sofferenti. La gente, infatti, sente vicino il Papa, avverte che non è distante dai lori problemi e dalla loro vita.
Riguardo al corso sul foro interno di quest’anno, cosa si attende la Penitenzieria apostolica?
La Penitenzieria apostolica spera e si augura che, attraverso il corso, i sacerdoti riscoprano il sacramento della riconciliazione come via privilegiata per la propria santificazione e per quella dei fedeli che a esso si accostano, trascorrendo sempre più tempo in confessionale. La storia della Chiesa brilla della luce di tanti santi sacerdoti che hanno consumato la vita in un confessionale. Penso al santo curato d’Ars, a san Giuseppe Cafasso, a san Leopoldo Mandić, a san Pio da Pietrelcina, e a tanti altri che solo il Signore ha conosciuto. Tempo perso, il loro? La risposta ci viene dal flusso di persone che hanno messo in movimento e che hanno riportato tra le braccia del Padre. È lì, nella penombra di un confessionale, che hanno riacceso il desiderio di Dio in tante anime e hanno risvegliato alla vita divina tanti cristiani in letargo. È lì che hanno ottenuto conversioni strepitose e plasmato altri santi. È dal confessionale che tanti penitenti hanno ricevuto la forza interiore di iniziare una nuova vita più conforme a Cristo e al Vangelo. È nel confessionale che il sacerdote diventa testimone che solo Dio ha il potere di togliere il male del mondo e che l’ultima parola sul peccato e sulle miserie dell’uomo la pronuncia Dio mediante la formula di assoluzione che il sacerdote rivolge al penitente. Come ci ha ricordato sempre Papa Francesco durante l’udienza generale del 19 febbraio: «Il perdono non è frutto dei nostri sforzi, ma è un regalo, è un dono dello Spirito Santo».
L'Osservatore Romano

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Piacenza: «Preti, aspettate i fedeli nel confessionale»

Il cardinale Penitenziere maggiore inaugura il corso sul «foro interno»: «Il sacramento della riconciliazione è in crisi soprattutto dove i confessori sono in crisi»

ANDREA TORNIELLICITTÀ DEL VATICANO


I preti devono aspettare pazientemente i fedeli in confessionale, stare ad aspettarli con orari che siano convenienti per i penitenti. Lo ha detto questo pomeriggio il cardinale Mauro Piacenza inaugurando il corso - da molti anni ormai un appuntamento tradizionale - dedicato al «foro interno», cioè riguardante la coscienza, la sfera privata del singolo fedele: vi partecipano per una settimana al palazzo della Cancelleria circa cinquecento tra sacerdoti o seminaristi vicini all'ordinazione. Venerdì si concluderà con l'udienza di Francesco e con la celebrazione penitenziale nel pomeriggio in basilica di San Pietro, dove il Papa stesso confesserà alcuni dei presenti, inaugurando la «festa del perdono», ventiquattr'ore no stop con chiese aperte per le confessioni.


Il sacramento della riconciliazione, ha detto Piacenza, «è forse il modo più concreto e reale per “rinnovare l’incontro personale con Gesù Cristo”. Se è vero che spesso si giunge alla celebrazione del sacramento, dopo un lungo cammino, non senza travaglio interiore, e come meta di un precedente incontro personale con il Signore, ecclesialmente mediato, è anche vero che non poche e radicali conversioni avvengono nella stessa celebrazione del sacramento, nella quale la grazia soprannaturale, che agisce attraverso il confessore ed opera efficacemente nella coscienza del penitente, può condurre in brevi istanti ad altezze spirituali inimmaginabili per il solo criterio naturale».


«Quando abbiamo a che fare con il foro interno - ha aggiunto il cardinale - abbiamo a che fare con Dio! La coscienza, infatti, è quel sacrario nel quale Dio sempre parla, a tutti gli uomini, in forza della creazione, e ai cristiani, in forza della creazione e della redenzione... Accompagnare un fratello nel discernimento sul proprio concreto agire ed accogliere quanto dal foro interno emerge, significa entrare con lui in un terreno sacro, nel quale è necessaria la più grande attenzione. È come camminare sulla seta».


Piacenza ha invitato i confessori a prepararsi a celebrare il sacramento, «invocando lo Spirito di prudenza e di sapienza, domandando al Signore di essere suoi docili strumenti» e anche a sostare in preghiera una volta terminate le confessioni, «per ringraziare per ciò che il Signore ha compiuto attraverso le nostre povere persone e invocare, ancora e sempre, la custodia dello Spirito Santo e la potente intercessione della Madre di Misericordia su ciascuna della anime che attraverso di noi hanno rinnovato l’incontro personale con Cristo».


«L’esperienza di tutti noi, anche dei penitenzieri delle basiliche papali - ha detto ancora il cardinale - è che il sacramento della riconciliazione è in crisi soprattutto laddove i confessori sono in crisi. Laddove, cioè, si offre la possibilità del sacramento solo ai cosiddetti “cattolici adulti”, che lo chiedono consapevolmente, avendo magari il numero cellulare del sacerdote. Ma questa rischia di essere una riduzione personalistica del sacramento, che davvero nulla ha a che vedere con l’incontro personale con Cristo».

«La sapienza della Chiesa ci insegna, al contrario - ha spiegato Piacenza - che è necessario attendere il penitente al confessionale, con quella pazienza che è propria di Dio, ben rappresentata dal Padre, che vede arrivare il figlio minore da lontano. È un’attesa paziente, spesso dolorosa, talvolta delusa, ma è sempre possibile abitare il confessionale pregando, meditando, facendo lettura spirituale, offrendo il sacrificio. Se anche un solo penitente si riconcilia con Dio grazie alla fedele attesa del suo arrivo, magari preparata con intensa orazione, il tempo impiegato certamente  non sarà stato vano. E anche se non arrivasse alcuno, la maggioranza della Chiesa, cioè gli angeli e i santi, avranno visto il nostro sacrificio e la nostra disponibilità».


«Essere fedeli al sacramento della riconciliazione - ha concluso il cardinale Penitenziere maggiore - è uno dei modi più efficaci per essere fedeli a Cristo stesso e al suo ineludibile mandato: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”». Parole che vanno anche intese,  «come responsabilità personale di ciascun sacerdote nei confronti di tutti coloro ai quali i peccati non sono stati rimessi a causa della negligenza nell’offerta di tale sacramento e della conseguente difficoltà nel celebrarlo».