martedì 25 marzo 2014

Il Giappone, la famiglia e il nuovo concetto di persona



di Piero Gheddo

La Chiesa si sta preparando alla prima sessione del Sinodo episcopale sulla famiglia nell’ottobre prossimo (la seconda nell’ottobre 2015), per discutere le esperienze e sollecitazioni che vengono dalla base del mondo cattolico sui problemi attuali che la famiglia pone ai credenti in Cristo. Ma la Chiesa cattolica è universale e i modelli di famiglia e i problemi familiari che i missionari e le giovani Chiese incontrano fra i popoli non cristiani sono molto diversi dai nostri.
Padre Alfredo Scattolon, missionario del Pime da circa trent’anni in Giappone, dice che «nella tradizione giapponese il matrimonio era sigillato con alcune cerimonie che a noi occidentali non mostrano nulla di “religioso”: era un contratto tra famiglie, combinato dai parenti, come avviene ancora oggi almeno per il 60-70% dei casi. Non si usavano formule particolari, il centro della cerimonia era l’assunzione da parte degli sposi del “saké” (in Cina, invece, si usava il tè), la cerimonia avveniva nella casa dello sposo con una certa solennità; la registrazione presso gli uffici pubblici poteva avvenire, come oggi, sia prima che dopo».
«Però - continua padre Alfredo - le meticolose cerimonie familiari e il rispetto per la tradizione sono il riconoscimento di un Ordine che viene dall’alto, che risponde all’innata capacità umana di percepire il “mistero”, cioè qualcosa che supera e viene prima dell’uomo: vi si può dunque vedere il riflesso di un’autentica religiosità naturale. Il buddismo, entrato e diffusosi in Giappone 1.400 anni fa, non ha mai contestato né spento quel particolare sentire religioso.
«Ma le missioni e oggi le Chiese cristiane introducono in Giappone una novità: il cristianesimo si presenta con verità e precetti morali, di fronte ai quali i singoli debbono dare una cosciente, libera e personale risposta di adesione o di rifiuto. L’impatto con le verità e la vita cristiana rappresenta per i giapponesi sensibili un travaglio personale. Oltre ai problemi morali che pone il cristianesimo, il fatto di dover “imparare” una dottrina religiosa, cosa a cui non sono affatto abituati, è uno dei motivi che possono spiegare come mai essi trovino tanta difficoltà per convertirsi a Cristo, che pure conoscono e ammirano. Il Vangelo è uno dei libri più venduti!».
«Come cerimonia religiosa – continua padre Alfredo - il matrimonio è iniziato in Giappone alla fine dell’Ottocento, quando la Casa imperiale, conoscendo i costumi dell’Occidente, li ha imitati e introdotti in Giappone ed oggi probabilmente più della metà dei matrimoni si svolgono secondo un rito cristiano. Vi sono alberghi che, per queste cerimonie, al loro interno hanno costruito autentiche e fastose cattedrali… di plastica! I giapponesi sono conquistati dalla forma solenne e luminosa offerta dalle nostre chiese, ma il nostro contenuto religioso, non parliamo poi del matrimonio-sacramento, non è colto se non minimamente; tanto più che la cerimonia religiosa è stata divulgata soprattutto dall’America protestante, coi film di matrimoni sfolgoranti combinati in pochi giorni, che magari si sfasciano poco dopo. Tuttavia, anche questa assunzione di “immagine” cristiana può portare qualche buon frutto: nelle cerimonie cristiane c’è sempre un’atmosfera di gioia, di cordialità, di rapporti sereni e amorevoli fra le persone, e soprattutto l’esplicito annuncio di una “benedizione” dall’Alto (dal Kami) che è desiderata e altrimenti mancherebbe».
«I protestanti - continua padre Alfredo - spesso si limitano alla sola cerimonia in chiesa; noi cattolici, esigiamo un breve corso di preparazione, spieghiamo il significato del matrimonio cristiano e gli impegni che richiede agli sposi… Succede poi che alcune coppie mandino i loro figli nei nostri asili e scuole, o che talvolta  chiedano di conoscere meglio la religione cattolica fino a giungere, se lo Spirito Santo li illumina, a chiedere il battesimo».
Padre Alfredo Scattolon descrive poi la famiglia giapponese tradizionale, che in Occidente non immaginiamo nemmeno. Dice: «In Giappone la famiglia, come la conosciamo noi cristiani, non è mai esistita. Oggi la concezione della famiglia è monogamica; è accettato il divorzio ma mai è ostentato, anzi piuttosto tenuto nascosto. Ci si sposa e si vogliono i figli. Ma il padre è tradizionalmente il “padrone”, alquanto assente dalla vita familiare; un noto detto giapponese elenca le 4 cose più temibili: il terremoto, il fulmine, l’incendio e il padre. I figli sono a carico della madre finché sono in grado di andare a scuola ed è con lei che si stabiliscono i rapporti affettivi più sentiti (le ultime parole dei “Kamikaze” erano per la madre). Dopo la famiglia, viene la scuola a farsi carico dell’educazione dei ragazzi, finché questi entreranno in una ditta, la quale a sua volta determina il loro futuro (il ruolo della “ditta-madre” sta cambiando, ma le aspettative comuni sono quelle tradizionali)».
«Il fatto che in Giappone sia molto comune lo scambio dei figli tra parenti con relativo cambio di cognome rivela che il legame con la famiglia di origine è alquanto tenue. Alla radice delle differenze che noi notiamo, sta la diversa concezione del valore della “persona”: secondo il buddismo un uomo o donna è uno dei tanti esseri viventi, nessuna trascendenza. Per tradizione, il giapponese non è individualista come l’italiano, ma si muove in gruppo. Prima la famiglia, poi la scuola, poi la ditta in cui lavora oppure lo stato ai tempi della dittatura militare. Il riconoscimento dei diritti dell’individuo come persona è un contributo del cristianesimo. I giapponesi hanno una forte coscienza unitaria di popolo, ma una scarsa coscienza dei diritti della persona. Il giapponese è fatto apposta per lavorare, obbedire, dare tutto se stesso al gruppo a cui appartiene.
Così la società giapponese è invidiabile per molti aspetti, storicamente ha fatto scuola per esempio nell’organizzazione del lavoro; ma quando scendiamo alla singola persona e ai suoi problemi… tra il loro modo di sentire i problemi della vita e il nostro appare un solco profondo. Quando noi missionari italiani veniamo in Giappone, studiando con fatica la lingua giapponese a volte ci chiediamo come mai siamo venuti in un paese così perfetto, non sgangherato com’è la nostra cara Italia. Poi ti accorgi che in Italia, grazie alla millenaria tradizione cristiana, abbiamo tutti imparato che la vita è un dono impagabile, che per lo meno dovremmo tutti e sempre, dire grazie a Dio e spesso molti lo fanno, dare una mano a chi è in difficoltà senza aspettarsi un ricambio. Abbiamo tutti per lo meno sentito parlare di generosità, disinteresse, perdono. In Giappone il perdono è un concetto nuovo, mi è capitato più volte di incontrare giovani laureati che non riuscivano a leggere il carattere del vocabolo “perdono”! Ritornato da poco nella mia Italia, noto con tristezza, qui in Europa, ma proprio anche in Italia, una evidente e progressiva perdita del senso cristiano e dei suoi valori morali: stiamo ritornando al paganesimo, da cui Cristo e la Chiesa ci hanno tirati fuori». Parole sagge che non vogliono commenti.