lunedì 31 marzo 2014

La sferzata del Papa ai politici diretta anche all'interno della Chiesa

Francesco con Grasso (presidente Senato) e Boldrini (Camera)


Se si rileggono le parole dell'omelia della messa per i parlamentari ci si accorge che l'obiettivo non era soltanto la classe dirigente nelle istituzioni del Paese

ANDREA TORNIELLICITTÀ DEL VATICANO
La visita di Barack Obama in Vaticano, la scorsa settimana, ha fatto passare in secondo piano la messa celebrata lo stesso giorno da Papa Francesco per i parlamentari e i politici italiani. Le reazioni all'omelia pronunciata da Bergoglio sono state svariate: chi è rimasto entusiasta della "sferzata", chi ha sottolineato l'eccessiva durezza delle parole papali, chi ha fatto notare come Francesco non si sia fermato a salutare i presenti e non abbia dedicato loro i sorrisi di rito. Quanto all'omelia vera e propria, hanno fatto effetto le parole su "peccato" e "corruzione", legate alla definizione che Gesù dà di quei dottori della legge i quali impongono al popolo doveri e pesi che poi loro stessi si guardano bene dal sostenere: sono "sepolcri imbiancati".

È evidente che, pur trattandosi del Vangelo del giorno e non di una lettura  predisposta per l'occasione della messa per i politici, le parole e la meditazione di Francesco sono state applicate immediatamente ai presenti: "corruzione" e "corrotti" sono peraltro parole facilmente applicabili all'ambiente politico, come insegna non tanto la predicazione, quanto piuttosto la cronaca quotidiana. Ma uno sguardo più attento e una lettura più approfondita dell'omelia papale fanno comprendere come l'obiettivo del Pontefice non poteva essere soltanto quello dei politici e parlamentari, che pure vi erano inclusi.

Francesco, che già più volte ha affrontato il tema della corruzione e in particolare, nelle omelie delle messe mattutine a Santa Marta, anche della differenza sostanziale tra "peccatori" e "corrotti", ha sottolineato che al tempo di Gesù c’era una classe dirigente che si era allontanata dal popolo, lo aveva abbandonato. “Il cuore di questa gente, di questo gruppetto – ha detto il Papa – con il tempo si era indurito tanto che era impossibile sentire la voce del Signore. E da peccatori, sono scivolati, sono diventati corrotti. È tanto difficile che un corrotto riesca a tornare indietro. Il peccatore, sì, perché il Signore è misericordioso e ci aspetta tutti. Ma il corrotto è fissato nelle sue cose, e questi erano corrotti. E per questo si giustificano, perché Gesù, con la sua semplicità, ma con la sua forza di Dio, dava loro fastidio”.

Francesco ha spiegato che queste persone “hanno sbagliato strada. Hanno fatto resistenza alla salvezza di amore del Signore e così sono scivolati dalla fede, da una teologia di fede a una teologia del dovere. Hanno rifiutato l’amore del Signore e questo rifiuto ha fatto di loro che fossero su una strada che non era quella della dialettica della libertà che offriva il Signore, ma quella della logica della necessità, dove non c’è posto per il Signore. Nella dialettica della libertà c’è il Signore buono, che ci ama tanto! Invece, nella logica della necessità non c’è posto per Dio: si deve fare. Sono diventati – ha aggiunto Francesco – ‘comportamentali’. Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini che Gesù chiama ‘sepolcri imbiancati’”.

L’invito del Papa è dunque quello di non diventare “dotti del dovere” e a vivere intensamente il cammino quaresimale. “Ci farà bene, a tutti noi, pensare a questo invito del Signore all’amore, a questa dialettica della libertà dove c’è l’amore, e domandarci, tutti: ‘Ma, io sono su questa strada? Ho il pericolo di giustificarmi e andare per un’altra strada?’. Una strada congiunturale, perché non porta a nessuna promessa. E preghiamo il Signore – ha concluso il Papa – che ci dia la grazia di andare sempre per la strada della salvezza, di aprirci alla salvezza che soltanto viene da Dio, dalla fede, non da quello che proponevano questi ‘dottori del dovere’, che avevano perso la fede a reggevano il popolo con questa teologia pastorale del dovere”.

Parole azzeccatissime per i politici, ma non certo riconducibili soltanto a loro: gli accenni ai dottori del dovere sono infatti riferibili pure all'establishment ecclesiastico. Si legge nell'esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” che i cristiani devono annunciare il Vangelo "senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello". Non come chi impone obblighi e doveri o finisce per ridurre l'annuncio evangelico solo ad "alcuni accenti dottrinali o morali che procedono da determinate opzioni ideologiche".

Certo, l'atteggiamento e le parole del Papa sono stati comunque significativi, in linea con una Chiesa che s'immischia di meno nelle vicende politico-partitiche. Nell'intervista con La Stampa dello scorso dicembre, a questo proposito, Francesco aveva detto che il rapporto tra Chiesa e politica "deve essere allo stesso tempo parallelo e convergente. Parallelo, perché ognuno ha la sua strada e i suoi diversi compiti. Convergente, soltanto nell'aiutare il popolo. Quando i rapporti convergono prima, senza il popolo, o infischiandosene del popolo, inizia quel connubio con il potere politico che finisce per imputridire la Chiesa: gli affari, i compromessi...".

Un'ultima annotazione può infine essere fatta a proposito dell'atteggiamento tenuto dal Papa quella mattina: silenzioso, assorto, è entrato e uscito dalla basilica senza fermarsi a salutare i politici, neanche quelli delle prime file che avevano sgomitato per essere lì. Ma chi segue le messe mattutine di Francesco a Santa Marta sa bene che questo è l'atteggiamento abituale del Papa quando entra e poi quando esce a messa conclusa, quando è ancora assorbito dal mistero celebrato. Dopo essere uscito dalla cappella a messa finita, il Papa rientra a fare una breve preghiera di ringraziamento mentre i fedeli rimangono seduti e in silenzio. E comunque alla fine della messa per i politici, Francesco in una saletta separata, ha ricevuto una loro delegazione per un breve saluto. Le immagini lo hanno mostrato sorridente.

*


Il papa e il filosofo

Il suo nome è Alberto Methol Ferré. È a lui che Bergoglio si ispira nel giudicare il mondo e nel contrastare la nuova cultura dominante: "l'ateismo libertino". La faccia severa del papa con Obama

di Sandro Magister



ROMA, 31 marzo 2014 – Nell'incontro che ha avuto pochi giorni fa con Barack Obama, papa Francesco non ha taciuto su ciò che divide l'amministrazione americana dalla Chiesa di quel paese, su questioni pesanti quali "i diritti alla libertà religiosa, alla vita e all'obiezione di coscienza". E l'ha fatto rimarcare nel comunicato emesso al termine del colloquio.

Jorge Mario Bergoglio non ama lo scontro diretto, pubblico, con i potenti del mondo. Lascia agire gli episcopati locali. Ma non fa velo al proprio dissenso e tiene a segnare il proprio distacco. Nelle foto degli incontri ufficiali si mette in posa con la faccia severa, a dispetto degli esagerati sorrisi del partner di turno, in questo caso il capo della massima potenza mondiale.

Né potrebbe fare diversamente, posto il giudizio radicalmente critico che papa Francesco nutre dentro di sé, riguardo agli odierni poteri mondani.

È un giudizio che egli non ha mai esplicitato in forma compiuta. L'ha fatto però balenare più volte. Ad esempio col suo frequente riferimento al diavolo come grande avversario della presenza cristiana nel mondo, che vede all'opera dietro lo schermo dei poteri politici ed economici. Oppure quando si scaglia – come nell'omelia del 18 novembre 2013 – contro il "pensiero unico" che vuole asservire a sé l'umanità intera, anche al prezzo di "sacrifici umani", con tanto di "leggi che li proteggono".

Bergoglio non è un pensatore originale. Un suo parametro letterario di riferimento, al quale non poche volte rimanda, è il romanzo apocalittico "Il padrone del mondo" di Robert Hugh Benson, un convertito d'inizio Novecento, figlio di un arcivescovo anglicano di Canterbury.

Ma all'origine del giudizio di Bergoglio sul mondo d'oggi c'è soprattutto un filosofo.

Il suo nome è Alberto Methol Ferré. Uruguaiano di Montevideo, attraversava spesso il Rio de la Plata per andare a trovare a Buenos Aires l'amico arcivescovo. È morto ottantenne nel 2009. Ma è stato ristampato in Argentina e ora anche in Italia un suo libro-intervista del 2007 che è d'importanza capitale per comprendere non solo la sua visione del mondo, ma anche quella del suo amico poi diventato papa:

> Alberto Methol Ferré, Alver Metalli, "Il papa e il filosofo", Edizioni Cantagalli, Siena, 2014, pp. 232, euro 15,00

> Alberto Methol Ferré, Alver Metalli, "El Papa y el filósofo", Edidorial Biblos, Buenos Aires, 2013

Nel presentare la prima edizione di questo libro a Buenos Aires, Bergoglio lo elogiò come un testo di "profondità metafisica". E nel 2011, nella prefazione a un altro libro di un grande amico di entrambi – Guzmán Carriquiry Lecour, uruguaiano, segretario della pontificia commissione per l'America latina, il laico di più alto grado in Vaticano – ancora Bergoglio tributò la sua riconoscenza al "geniale pensatore del Rio de la Plata" per aver messo a nudo la nuova ideologia dominante, dopo la caduta degli ateismi messianici d'ispirazione marxista.

È l'ideologia che Methol Ferrè chiamava "ateismo libertino". E che Bergoglio così descriveva:

"L'ateismo edonista e i suoi supplementi d'anima neo gnostici sono diventati cultura dominante, con proiezione e diffusione globali. Costituiscono l'atmosfera del tempo in cui viviamo, il nuovo oppio del popolo. Il 'pensiero unico', oltre a essere socialmente e politicamente totalitario, ha strutture gnostiche: non è umano, ripropone le diverse forme di razionalismo assolutista con le quali si esprime l'edonismo nichilista descritto da Methol Ferré. Domina il 'teismo nebulizzato', un teismo diffuso, senza incarnazione storica; nel migliore dei casi, creatore dell'ecumenismo massonico".

Nel libro-intervista che oggi è stato ristampato, Methol Ferré sostiene che il nuovo ateismo "ha cambiato radicalmente di figura. Non è messianico, ma libertino. Non è rivoluzionario in senso sociale, ma complice dello status quo. Non ha interesse per la giustizia, ma per tutto ciò che permette di coltivare un edonismo radicale. Non è aristocratico ma si è trasformato in un fenomeno di massa".

Ma forse l'elemento più interessante dell'analisi di Methol Ferré è nella risposta che egli dà alla sfida posta dal nuovo pensiero egemone:

"È stato così con la riforma protestante, è stato così con l'illuminismo secolare, e poi con il marxismo messianico. Un nemico lo si vince assumendo il meglio delle sue stesse intuizioni e spingendosi oltre".

E qual è a suo giudizio la verità dell'ateismo libertino?

"La verità dell'ateismo libertino è la percezione che l'esistere ha una destinazione intima di godimento, che la vita stessa è fatta per una soddisfazione. Detto in altre parole: il nucleo profondo dell'ateismo libertino è una necessità recondita di bellezza".

Certo, l'ateismo libertino "perverte" la bellezza, perché "la separa dalla verità e dal bene, e quindi dalla giustizia". Ma – ammonisce Methol Ferré – "non si può riscattare il nucleo di verità dell'ateismo libertino con un procedimento argomentativo, o dialettico; meno ancora ponendo proibizioni, lanciando allarmi, dettando regole astratte. L'ateismo libertino non è una ideologia, è una pratica. Ad una pratica occorre opporre un'altra pratica; una pratica autocosciente, beninteso, quindi intellettualmente dotata. Storicamente la Chiesa è l'unico soggetto presente sulla scena del mondo contemporaneo che può affrontare l'ateismo libertino. Per me solo la Chiesa è veramente post-moderna".

È impressionante la sintonia tra questa visione di Methol Ferré e il programma di pontificato del suo discepolo Bergoglio, col suo rifiuto "della trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza" e col suo insistere su una Chiesa capace di "far ardere il cuore", di curare ogni tipo di malattia e di ferita, di ridare felicità.