Al termine di questo giorno così importante per tutti i consacrati, propongo il testo della
Lectio magistralis che il Card. Piacenza ha tenuto al Camillianum lo scorso 21 novembre.
Camillianum – Istituto Internazionale di
Teologia Pastorale Sanitaria
Fondazione “Ut Vitam Habeant”
Corso di formazione umana per il Sacerdozio e
la Vita consacrata
Aula Magna dell’Istituto Camillianum
Lunedì, 21 novembre 2011 – ore 11.00
Lectio magistralis
di S. Em. il Card. Mauro Piacenza
Prefetto della Congregazione per il Clero
«Ad immagine della santa Umanità di Cristo»
Signor Cardinale,
Chiarissimo Preside,
Cari Sacerdoti, Consacrati e Consacrate,
grazie per l’occasione offertami di poter
condividere con voi alcune riflessioni in questa sessione inaugurale del “Corso
di formazione umana per il Sacerdozio e la Vita consacrata”. Non pochi di voi saranno
impegnati – se già non lo sono – nella formazione umana, sia nel caso in cui
ciò significhi: “capacità di relazione con la sofferenza”, sia nel caso in cui
la Divina Provvidenza disponga, per alcuni di voi, specifici compiti formativi
nelle vostre rispettive realtà ecclesiali.
Dopo un breve sguardo alla situazione culturale
contemporanea, mi soffermerò sul rapporto tra “formazione umana e fede” e “formazione
umana e castità ”, per provare a trarre delle conclusioni, che possano, in certo
modo, porre in luce l’alta Vocazione, che il Signore ci ha data, di essere: “ad
immagine della santa Umanità di Cristo”.
1. La situazione attuale
È innegabile come, da più parti, ormai in
maniera reiterata, si lamenti una crisi anche profonda di formazione umana.
Il fenomeno è così ampio e preoccupante, che lo
stesso Magistero Pontificio, in differenti ed autorevoli occasioni, ha
indicato, tra le priorità dell’attuale epoca, quella di rispondere alla
cosiddetta: “emergenza educativa”.
Il deficit di formazione umana non riguarda,
ovviamente, le sole realtà ecclesiali; anzi, ad essere sinceri, per quanto
possa riguardare anche i nostri ambienti, esso è ben più ampio, radicato, promosso
nel mondo, ed i suoi effetti, visibili a tutti, hanno ed avranno gravi conseguenze
antropologiche, sociali e perfino teologiche, di rilevante portata.
Le radici storiche e filosofiche di una tale
crisi di formazione umana sono ben note; non intendo, in questa sede,
ripercorrere l’itinerario, che ha determinato l’attuale situazione; mi limiterò
ad indicarne i fondamentali passaggi, già intravvedendone le conseguenze.
Un primo elemento, di sostanziale rilevanza, è
rintracciabile nella crisi gnoseologica post-illuminista. Il movimento
illuminista, infatti, ha determinato una ipertrofia della ragione, in
conseguenza della quale l’uomo e la sua capacità di conoscenza si sono
trasformati da “contemplatori”, conoscitori e cantori” della realtà , a
“limitata misura” del reale. Un uso di ragione, che pretenda di limitare la
conoscenza umana ai soli dati empirici (qualcuno direbbe “scientifici”) è
mortificante per l’intelligenza umana e non permette alla conoscenza di
relazionarsi con la realtà , secondo la totalità dei suoi fattori.
Il Premio Nobel per la Medicina Alexis Carrel
scriveva: «Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità ; molto
ragionamento e poca osservazione conducono all’errore»[1],
intendendo, in tal modo, descrivere la conoscenza come quella fondamentale
adesione al reale, che, da sempre, ha caratterizzato l’uomo.
Adesione al reale, ed è il secondo passaggio
cruciale, che si perde quasi completamente quando, dall’illuminismo, si passa
all’idealismo. Se l’uomo non conosce più la realtà per ciò che essa è, ma tenta
di misurarla (razionalismo) o solo di pensarla (idealismo), egli si
auto-confina in una oggettiva possibilità di rapportarsi con altro-da-se-stesso
e tale atteggiamento ha evidenti conseguenze antropologiche.
Come se ciò non bastasse, la crisi del
positivismo ottocentesco, determinata dai due conflitti mondiali del secolo
scorso, ha portato ad una sorta di “resa della ragione”, facendo passare l’uomo
dal mito infondato del super-uomo alla situazione attuale, altrettanto
infondata, del più radicale relativismo.
Non c’è da stupirsi se ad una scorretta idea di
ragione di tipo razionalista, che si è infranta contro la oggettiva
impossibilità da parte dell’uomo di controllare se stesso e il cosmo, ha fatto
seguito una altrettanto scorretta ed ingiustificata sfiducia nella reale
capacità di ciascuno di conoscere se stesso, il mondo e Dio.
Il Santo Padre Benedetto XVI ha più volte
richiamato l’attenzione della Chiesa e di tutti gli uomini di buona volontÃ
sulla necessità di superare il relativismo che caratterizza la nostra epoca e
che, inevitabilmente, giunge a toccare anche le nostre persone e i nostri
ambienti.
Ad un uomo incapace di conoscere la realtà , che
cosa rimane? Lo stretto e asfissiante orizzonte delle proprie emozioni, della
propria istintività , veicolata dalla corporeità ; da qui il dirompente edonismo,
narcisismo, pansessualismo, nel quale si smarriscono gli uomini del nostro
tempo e dal quale è necessario, con ogni mezzo, aiutarli a sottrarsi.
Perfino il materialismo, indicato come
orizzonte esistenziale in taluni movimenti ideologici del secolo scorso, è
andato in crisi ed è stato, da un lato, piegato al soddisfacimento dei desideri
e delle passioni, dall’altro, compensato in varie fughe “spiritualistiche” o
new-age che nulla hanno a che vedere con l’umana spiritualità e, men che meno,
con la fede cristiana.
In una tale, apparentemente irrisolvibile
situazione, quali possibilità ci sono per riprendere in mano le fila di una
formazione umana e, ancor di più, di una formazione umana, per il Sacerdozio e
la Vita consacrata, ad immagine della santa Umanità di Cristo?
2. Formazione umana e fede
Due sono i poli, i protagonisti o – se
preferite – i luoghi teologici della risposta a questa domanda: l’uomo in
quanto tale e l’Uomo-Dio Gesù di Nazareth.
2.1 L’uomo in quanto tale
Partiamo dal primo luogo teologico.
In qualunque situazione storica, sociale o
umana ci si possa trovare, esiste sempre la possibilità di ripartire, di
compiere un’opera educativa e di lavorare nell’ambito della formazione. Anche
nella contemporanea crisi epocale, le cui radici storiche e filosofiche ho
appena accennate, la possibilità concreta che si ha di educare è sempre
rappresentata dall’uomo: dall’uomo concreto che sono e dall’uomo concreto che
ho di fronte.
Cruciale, a tale riguardo, prima di ogni
percorso di formazione umana, è la risposta umile e concreta alla domanda: «Chi
sono io?», «Chi è l’uomo?».
E non intendo, in tal modo, indicare percorsi
di descrizione fisio-psicologica dell’essere umano, né, tantomeno, riaprire la
porta all’idealismo, che si domanda: «Che cosa penso dell’uomo», e non chi esso
sia.
Ogni uomo, qualunque sia la sua condizione e
qualunque sia l’epoca in cui vive, si auto-percepisce ed è percepito dagli
altri, come “bisogno”, come “domanda”.
E se tutta la cultura dominante congiura a
soffocare le domande fondamentali che costituiscono l’uomo, non è perché esse
non siano gravide di significato e non esigano una risposta, ma, semplicemente,
perché, incapace di offrire risposte umanamente percepibili e soddisfacenti, la
cultura dominante non ha altra possibilità , non ha altra “via di fuga” che quella
di soffocare le domande.
È come se il paragone evangelico del padre, che
pur cattivo, non dà pietre ai figli che gli chiedono pane o serpi se gli
chiedono uova (cfr. Mt 7,9-10), fosse
stato radicalmente svuotato nell’atteggiamento, filosoficamente ed
antropologicamente assurdo, di un potere dominante, che continua a ripetere:
«Non dovete avere fame!».
Spero che il menzionato paragone evangelico,
nello sconcertante paragone con la cultura dominante, dia, almeno in parte, la
misura della drammaticità della situazione in cui siamo.
E, tuttavia, l’uomo è e rimane “domanda”! è e rimane irriducibilmente
caratterizzato dall’evidenza del proprio essere, e dell’essere del mondo, e da
quelle domande fondamentali, che troppo spesso chiamiamo valori, senza
ricordare che sono valori solo perché esigenze fondamentali dell’io.
La giustizia, la verità , la bellezza, la
ragionevolezza, la libertà , sono valori? Certamente, e nessuno tra noi oserebbe
misconoscerlo; ma sono valori umani universali, e non confessionali, perché
sono, prima, antecedentemente, sia dal punto di vista ontologico che
pedagogico, esigenze fondamentali dell’uomo.
Ritengo semplicemente impossibile, ogni azione
educativa, che non parta dalle esigenze fondamentali dell’uomo, che non metta a
tema ciò che l’uomo è, ciò che egli profondamente desidera e quale sia
l’anelito ultimo del suo cuore.
Lo stesso senso religioso umano, che non pochi
studiosi della storia delle religioni relegano ad uno sviluppo più o meno
strutturato delle varie culture e civiltà , è in realtà una caratteristica
antropologica universale ed insuperabile. Non solo perché storicamente non
esiste alcuna civiltà , anche la più primitiva e remota, che non abbia espresso
una qualche dimensione religiosa, ma anche perché, posto di fronte alla realtÃ
e a se stesso, come dati, cioè come non provenienti dalla propria opera, l’uomo
e la sua intelligenza sono costretti a domandarsi: «Che senso ha tutto?».
In questa domanda (che senso ha tutto?), nella
ricerca, cioè, del senso ultimo della totalità - quindi di se stessi e del
reale – consiste l’autentico senso religioso.
Permettetemi, a questo punto, una piccola
digressione. Molti di voi incontreranno, nel proprio servizio ecclesiale,
centinaia, forse migliaia di donne e uomini, spesso in condizioni di salute
precaria, nei quali questa domanda, in modo consapevole o meno, vibrerà in tutta
la propria forza. Quale grande differenza c’è nel porsi di fronte a tali
fratelli condividendone esistenzialmente il medesimo anelito di significato,
pur se in circostanze differenti e sollecitato da diverse storie, oppure
incontrarli senza la capacità di condividerne fino in fondo la domanda e,
conseguentemente, di indicare una risposta. Si indica solo la risposta che si è
incontrata partendo dalla propria domanda! Altrimenti anche la risposta
teologicamente più corretta (ammesso che la si conosca) diviene una formula
ripetuta, ma non vissuta, e tutti sappiamo come non ci sia nulla, per l’uomo,
di più inconcepibile, di più distante della risposta alla domanda che egli non
si pone, alla domanda che, chi risponde, non condivide.
La stessa missione della Chiesa deve
continuamente essere rinvigorita, rafforzata e rilanciata da questa autentica
passione per l’uomo; passione, che, come dice l’etimologia del termine, è
innanzitutto condivisione partecipata della medesima condizione di “domanda di
significato”.
2.2 L’Uomo-Dio Gesù di Nazareth
Di fronte a questo uomo, che è domanda di
significato e che vive i valori non come imposizioni esterne alla propria
coscienza, ma come il fiorire vigoroso delle proprie domande fondamentali (vivo
la giustizia perché sono bisogno di giustizia; vivo la verità perché sono
bisogno di verità , etc.), si pone Cristo.
Prima di qualunque atto di fede in Gesù di
Nazareth Signore e Cristo, è necessario sottolineare come l’Evento-Cristo abbia
una propria irriducibile dimensione storica.
Lo ha efficacemente ricordato il Santo Padre
Benedetto XVI nell’incipit della sua prima Enciclica Deus caritas est, nella quale l’essere cristiano è definito come:
«Incontro con un Avvenimento, una Persona» (n. 1).
L’incontro, dunque, presuppone qualcosa-qualcuno
di “altro” da me, che mi si fa incontro e che io posso incontrare. Le
conseguenze di questa chiarificazione sull’essenza del Cristianesimo sono
immediatamente recepibili da tutti: da un lato la fedeltà al dato storico
esclude ogni auto-referenzialità soggettiva, intimistica o auto-proiettiva nel
rapporto con Cristo e, dall’altro, ancora più profondamente, la dimensione
storica risulta radicalmente incompatibile con ogni concezione idealista e
relativista, che affermi l’impossibilità dell’uomo di conoscere la realtà .
È possibile dunque affermare – ed è in fondo la
traduzione che ne fa l’Evangelista Giovanni – che la risposta a ciò che l’uomo
è, che non è dentro di lui, si è resa incontrabile, ci è venuta incontro, si è
rivelata in quello che era l’ambito più prossimo all’uomo: l’uomo stesso.
«Ciò che era fin da
principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri
occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato,
ossia il Verbo della vita […], noi lo annunziamo anche a voi, […] perché la
nostra gioia sia perfetta» (1Gv 1-4).
Tale incontro tra l’umanità , come domanda, e
l’Avvenimento di Cristo, come risposta, costituisce la possibilità di ogni
formazione umana autentica.
Con due corollari.
Il primo: è possibile vivere un intenso senso
religioso, cioè una profonda domanda esistenziale, senza ancora avere
incontrato Cristo, la risposta. Ed è necessario riconoscere ed affermare come
già il senso religioso autenticamente vissuto rappresenti e costituisca un
fattore fondamentale di formazione umana.
Per contro, secondo corollario, nella maggior
parte dei casi accade - e probabilmente tutti potremmo darne testimonianza - che
proprio l’incontro con Cristo determini il ridestarsi di un senso religioso
assopito, il risvegliarsi dell’umanità ; pertanto, con altrettanto realismo, è
possibile affermare che l’avvenimento dell’incontro con Cristo è il primo
fattore educativo dell’umano, proprio perché lo educa a stare in quella
posizione di grato stupore, tipica del senso religioso, che costituisce
l’essenza dell’uomo di fronte a Dio.
In tal senso, la santa Umanità di Cristo, che,
in forza dell’unione ipostatica, vive permanentemente alla Presenza del Padre
nello Spirito, è per noi insuperato modello di formazione umana.
Ciò che Cristo vive per natura, noi possiamo
vivere per grazia. Il percepire se stessi alla Presenza del Mistero permette
all’umano di vivere secondo l’alta Vocazione alla quale il Creatore lo ha
chiamato: essere immagine e somiglianza di Dio.
A nessuno penso sfugga come tale “immagine e
somiglianza” abbia in Gesù Cristo il proprio unico modello.
3. Formazione umana e carisma
della castitÃ
Analizzata la situazione storica in cui ci
troviamo e posto lo sguardo sul rapporto essenziale tra formazione umana e
fede, come persone chiamate a vivere il carisma della castità per il Regno dei
Cieli, sia nella vita consacrata, sia nel ministero sacerdotale, è necessario
porsi, in maniera autentica, in ascolto di ciò che il carisma ricevuto dice al
personale cammino di formazione umana.
Innanzitutto nessuno, men che meno chi è
chiamato alla castità , è dispensato dal lavoro su se stesso, sul proprio
carattere, sulle proprie qualità , e dall’affinamento del proprio tratto umano.
Come sottolineato dal secondo corollario del
punto precedente, ritengo che la distinzione tra formazione umana, professione
di fede e vita sacerdotale e religiosa, sia didatticamente fondata ma,
esistenzialmente, sempre da integrare.
Mi spiego. È l’incontro con Cristo a ridestare
l’umanità di ciascuno ed è il nuovo orizzonte nel quale Egli ci introduce, non
disgiuntamente dalla nuova direzione che la vita prende dopo l’incontro con Lui
(cfr. DCE n.1), a determinare anche la fioritura del carisma della castità e la
sua fedele accoglienza dalla libertà umana.
Se interpretiamo la vita come domanda di
significato, alla quale Cristo risponde, ne deriva, come immediata conseguenza,
che il primo compito di una donna e di un uomo di fede, sia testimoniare al
mondo la risposta incontrata: testimoniare Cristo Salvatore dell’uomo.
In quest’ottica di viva domanda esistenziale e
di vivificante risposta incontrata in Gesù di Nazareth Signore e Cristo, si
colloca l’accoglienza del carisma della castità . Se la Vocazione non è compresa
ed accolta come testimonianza a Cristo e, in essa, la castità non è compresa
come suprema testimonianza, che, dopo il martirio, è possibile darGli, allora
non c’è formazione umana sufficiente per accogliere il soprannaturale dono
della chiamata.
Nessuno di noi aveva, prima dell’incontro con
Cristo, un’umanità capace di accogliere il grande dono della vocazione.
Possiamo e dobbiamo testimoniare, anche in vista di una rinnovata azione
evangelizzatrice e di un’autentica pastorale vocazionale, come, insieme al dono
della vocazione, il Signore ci abbia donato una rinnovata umanità . Egli ci ha
chiamati, ci ha plasmati, ci ha resi capaci di accogliere un dono nuovo. Dio
non chiama i “capaci” o i “perfetti”, ma rende capaci coloro che chiama!
Lavorare per la propria formazione umana,
allora, non è una premessa per poi poter lavorare sulla fede, sulla vocazione e
sulla fedeltà ad essa (anche nella dimensione del celibato e della castitÃ
consacrata), ma è l’opera di Dio, compiuta dalla Sua grazia, nella nostra
umanità , che progressivamente si dilata, nella misura in cui la libertÃ
accoglie il dono della chiamata e vive alla Presenza del Mistero.
Anche dal punto di vista del rapporto tra
formazione umana e carisma della castità , il modello è e rimane sempre la santa
Umanità di Nostro Signore Gesù Cristo. Un’umanità nella quale i Suoi
contemporanei hanno potuto riconoscere, per lo straordinario fascino che
esercitava su di essi, per l’autorevolezza dell’insegnamento e per i prodigi
compiuti, la Presenza del Mistero, di Dio.
Forse noi non compiremo prodigi o miracoli, ma
possiamo domandare ogni giorno a Dio il dono di un’umanità che sia trasparenza
di Lui, il dono di un’autorevolezza nell’insegnamento della Sua Parola, che
faccia sorgere, in tutti i nostri fratelli uomini, la domanda che ha attraversato
i primi decenni dell’era cristiana e che, fino alla consumazione della storia,
deve sorgere ogni qual volta si incontra un cristiano: «Perché costui è così?»,
«Perché mi ama così?», «Perché ha questa passione per la vita?», «Perché prende
così sul serio la propria ed altrui esistenza?».
Conclusione
Desidero concludere, per indicare quale sia il
vero rapporto tra formazione umana e formazione al Sacerdozio e alla Vita
consacrata, con un citazione di San Tommaso d’Aquino, in un suo pensiero che
ritengo normativo per quel sano e permanente equilibrio, che deve
caratterizzare ogni persona consacrata
Scrive l’Aquinate:
«Quando di due cose l’una è la ragione
dell’altra, l’attenzione dell’anima verso l’una non impedisce né riduce la sua
attenzione per l’altra. […] E poiché Dio viene contemplato dai Santi come la
ragione di quanto essi compiono e conoscono, il loro interessamento per le cose
sensibili o per le altre cose da considerare o da compiere, in nessun modo
impedisce la loro contemplazione di Dio, né viceversa».
(S. Tommaso d’Aquino, S. Th., Supp., Quaestio 82, art. 3, ad
4).
Allo stesso modo la nostra attenzione alla
formazione umana non impedisca né riduca l’attenzione a Cristo, che né è la
causa!
[1] A. Carrel, Riflessioni sulla condotta della vita, Milano, Bompiani, 1953, pp. 27.