mercoledì 1 febbraio 2012

LA PRESENTAZIONE DI GESÙ AL TEMPIO: L'UMILTÀ DI DIO

Di seguito una pagina stupenda di quel profeta che è stato don Divo Barsotti sulla festa che celebriamo oggi 2 febbraio...


Omelia della sera del 1 febbraio.

L'adempimento delle profezie
Nelle letture della festa di oggi si manifesta la continuità e insieme il contrasto veramente profondo fra Antico e Nuovo Testamento. A questo proposito la liturgia di oggi è esemplare; forse nessun'altra liturgia durante l'anno dice maggiormente questa continuità e questa differenza.
La continuità sta nel fatto stesso che abbiamo ascoltato l'ultima profezia di Israele - Malachia è l'ultimo profeta - e poi abbiamo visto l'adempimento di questa profezia. Ma proprio nell'adempimento si vede anche la differenza profonda fra Antico e Nuovo Testamento. «Chi potrà sopportare la sua venuta? Chi potrà sussistere nella sua presenza?», diceva Malachia. Ditemi un po' se ci volevano queste parole così grandi per vederne poi l'adempimento in un bambino che non sapeva nemmeno parlare e veniva portato nel Tempio! «Egli è come la lisciva del lavandaio, come il fuoco dei fonditori». Vi sembra che sia proprio tutto vero? Se c'è uno che ha subito la lisciva, uno che ha subito il fuoco è stato proprio Lui, Lui che è morto sopra la croce! E la sua presenza ha lasciato il mondo qual era. Non vi sembra che sia molto strano questo connubio di termini, che sembrano così stranamente contrari? Eppure vogliono tutti e due significare lo stesso avvenimento.
È interessantissimo ed importantissimo meditare una simile continuità in tanto contrasto. Indubbiamente le parole del profeta si adempiono, ma si adempiono non come il profeta le aveva pensate. Quando gli scherani andarono per arrestare Gesù, bastò che Egli si presentasse e caddero tutti a terra mezzi morti. «"Chi cercate?". "Gesù Nazareno"»: e tutti in terra! Ma ora, che cosa avviene? C'è qualcuno che si sorprende per il fatto che entra questo bambino? Non mi sembra; nessuno si accorge di nulla. Egli entra, ed è Egli stesso debolezza. Come potrebbe far cadere gli altri se Lui stesso ha bisogno di essere sorretto? E nemmeno da persone valide, ma da un vecchio che ha le mani tremanti e, diceva la liturgia prima della riforma, proprio nel giorno della festa: «Il vecchio reggeva il bambino, ma il bambino reggeva il vecchio». È vero che il bambino era Dio, era quello che donava la vita a questo vecchio, tuttavia apparentemente era il vecchio che reggeva il bambino, se no cadeva. Che contrasto fra le due letture! Ma il contrasto non può andare contro la verità dell'adempimento della profezia; dunque ci deve essere anche una continuità. È vero dunque anche che non si sostiene la presenza di Dio, è vero anche che la sua presenza può trasformare il mondo, ma lo trasforma in un certo modo, non come pensava il profeta, non come noi penseremmo.
La presenza del Cristo ci giudica
Ecco quello che dice san Giovanni nel suo vangelo e che si manifesta anche qui: ci giudica. Entra nel tempio e come giudica questi sacerdoti che stanno nel tempio? Per il fatto stesso che essi non lo riconoscono, ecco, sono giudicati. È terribile il giudizio di Dio; non è che ti mandi il fuoco, non è che con la lisciva ti purifichi, è il fatto che tu rimani estraneo a Dio. La presenza di Dio è già una tua condanna, non perché Egli ti condanna - è un bambino - ma perché tu non sai riconoscerlo, ma perché tu non sai accettarlo, perché, per accettare Dio, bisogna che tu abbia la stessa pietà di Anna la profetessa, la stessa umiltà di Simeone. Ci vogliono delle disposizioni interiori di preghiera, bisogna che lo Spirito Santo ci animi perché possiamo riconoscere il Cristo, altrimenti tutto sembra uguale e tutto invece è già giudicato. Chi l'avrebbe mai pensato? C'erano di quei vecchioni nel tempio: il Sommo sacerdote, altri pezzi grossi. Esclusi! Altro che lisciva, altro che fuoco che consuma! La presenza dell'umiltà di Dio, per usare il linguaggio di san Francesco d'Assisi, esclude già colui che confida in sé, che si crede buono, colui che vorrebbe giudicare Dio; lo esclude. È in questo modo che Dio giudica e anche che condanna, perché Dio non giudica né condanna nessuno - lo dice anche nel IV Vangelo san Giovanni - ma è l'uomo stesso, per il fatto che non sa riconoscerlo né accettarlo quando Egli viene, che rimane condannato, rimane nel buio. Se tu non sai vedere la luce, rimani cieco.
Il bambino, nella sua debolezza, nella sua umiltà, nella sua povertà giudica il mondo: il mondo che non è povero, il mondo che è orgoglioso, il mondo che crede nella forza. Salva invece Maria e Giuseppe, due poveri; salva invece Simeone e Anna, due vecchi cadenti, deboli, emarginati, si direbbe, dal mondo; questi sono salvi. Non ha bisogno Dio di grandi manifestazioni, di grandi avvenimenti per mostrare la sua gloria; la sua presenza ti giudica. Se tu sei simile a Lui, ecco, tu lo vedi e lo riconosci; se invece tu non hai nulla in comune con Lui, la sua luce ti esclude.
Convertitevi
Ed è proprio questo che avviene con il Cristianesimo e per questo anche oggi è difficile che gli uomini lo accettino, perché il Cristianesimo implica quello che Gesù dice come prima parola quando si rivolge a tutto il popolo di Israele: «Convertitevi e credete al vangelo». Se non ci si converte non si può credere al vangelo. La fede nel vangelo implica una conversione, ma che cosa è questa conversione? Una conversione di costume? Anche questa, ma non dice questo il testo evangelico. Nel testo originale, quello in greco perché i vangeli sono stati scritti in greco, la parola "convertitevi" vuoi dire "cambiate la mente". La metànoia è cambiamento del nous, della mente; sono i nostri pensieri che dobbiamo cambiare, il modo di pensare, di valutare le cose, perché Dio non è come sono i nostri pensieri.
Vi ricordate quello che diceva Isaia? «I mie pensieri non sono i vostri pensieri, né le mie vie sono le vostre vie, ma come sono lontani i cieli dalla terra, così i miei pensieri dai vostri» Quello che diceva Isaia è proprio vero, lo s vede quando Gesù viene. Chi l'avrebbe pensato che proprio il Salvatore del mondo, colui che doveva essere il giudice dei vivi e dei morti, entri nel suo tempio, come un bimbo che ha bisogno di essere riscattato con due tortorelle? Chi l'avrebbe pensato? Si esige davvero una totale trasformazione dei nostri pensieri, perché se Dio non ci avesse dato la fede, non riusciremmo davvero a comprenderlo. E si capisce allora perché il mondo non crede nel Cristianesimo e si capisce anche perché la Chiesa è sempre tentata di trasformare il volto di Gesù, di volercelo presentare, anche lei, nel potere, nel successo, perché il mondo vuole questo; ma quando cerca il successo, il potere, in fondo la Chiesa tradisce la sua missione.
Dio si manifesta nella debolezza, nella povertà, nell'innocenza dell'infanzia, nella purezza e solo i puri di cuore vedono Dio. Quelli cioè che hanno cambiato la mente, quelli che hanno rinunciato al modo di vedere e di pensare umano, possono capire l'azione di Dio, quello che Dio compie, come Dio si manifesta nella vita degli uomini.
Ci facciamo un nostro "dio"
Di qui nasce per noi un grave problema, perché, in verità, siamo tutti un po' pagani, siamo sempre tentati anche noi di vedere un Dio vestito con certi paludamenti, mica un bambino che ha bisogno della balia. Noi ci aspetteremmo che Dio fosse uno che ci salva davvero, mentre dobbiamo noi salvarlo e difenderlo, o almeno così appare, umanamente parlando. Anche noi siamo sempre tentati, siamo uomini; è difficile pertanto mantenere una fede viva, una fede pura. Sì, noi crediamo nel Signore e tuttavia sempre, sempre, siamo tentati di volerlo fare a modo nostro. Lo vedete anche nell'arte: il "Pantocrator" delle basiliche bizantine, quel Gesù che riempie tutto il catino dell'abside. Che cosa riempiva nostro Signore quando entrò nel tempio? Soltanto le braccia di un povero vecchio. Un bimbo che non sa parlare, un bimbo che tu devi reggere sulle tue braccia: la debolezza, la povertà, l'innocenza.
Noi siamo sempre tentati di fare un Dio a modo nostro e non di saperlo riconoscere come Egli è quando si manifesta. La manifestazione suprema di Dio è infatti questa umiltà e debolezza: un bimbo nel tempio, un condannato che pende dalla croce. Sapete che è terribile essere cristiani? Noi abbiamo addomesticato il Cristianesimo; è una cosa terribile ma è anche una cosa grande, perché se Dio si facesse presente per noi nella potenza, nella grandezza che noi vorremmo conoscere in Lui, chi ardirebbe accostarglisi? La vera grandezza di Dio è grandezza di amore, e siccome è tale, è proprio l'amore che lo spoglia, che lo fa vicino a noi. Ed ecco: tu lo puoi tenere sulle braccia, ed ecco tu lo puoi stringere al cuore. È il tuo Dio, Egli diviene tuo figlio.
Vivere questa fede, vivere questo Cristianesimo, che immensa gioia per l'anima! Perché davvero Egli non giudica se non coloro che vogliono essere giudicati. Egli vuole esser difeso da te; ti ama tanto che lascia a te di difenderlo, di sostenerlo sulle tue braccia. Sembra che non sia Lui che ti sostiene, come per Simeone il bambino; sembra che sia tu che lo sostieni e gli dai vita. Ecco il Cristianesimo! Che cosa immensa è mai la fede cristiana! Che il Signore ci doni davvero di cambiare la nostra mente.
Ecco, mi sembra che sia questo quello che noi dovremmo chiedere a Dio.
Omelia (2 febbraio)

La kenosis di Dio

Devo ora continuare il mio discorso, perché il ritiro si è cominciato ieri sera. Verteva su questo argomento: che rapporto vi è fra la prima lettura e il Vangelo? Perché è veramente sconcertante, perché veramente sembra che non solo non vi sia continuità ma vi sia opposizione. «Chi potrà sopportare quando Egli verrà? Egli sarà come la lisciva del lavandaio, come il fuoco del fonditore». È un bambino e quale Bambino! Quale umiltà e semplicità! L'insegnamento è grandissimo: ci viene precisamente del fatto che proprio questo Bambino, nella sua semplicità, nella sua debolezza, nella sua povertà, nella sua umiltà sia l'adempimento di tutte le promesse profetiche. È qui l'insegnamento più grande non solo di questo Vangelo ma di tutto il Vangelo, direi di tutto il Cristianesimo. Ed è proprio qui che nasce tutto l'orrore, tutta la gravità della situazione del nostro Cristianesimo e della Chiesa. Adempimento delle promesse di Dio è la debolezza di un Bimbo, è la povertà di un Bambino: l'innocenza, la semplicità. Miei cari fratelli, che insegnamento! Noi vogliamo uscire sempre da questa umiltà, noi vogliamo sempre emergere da questo silenzio, invece l'adempimento delle promesse divine, di quelle promesse che dovevano essere veramente giudizio del mondo, si esprime per noi nella presenza di un Bimbo. Sì, perché è questo Bimbo che giudica il mondo. Di fatto il mondo è già condannato, se non lo sa riconoscere. Dio è la debolezza ed è l'umiltà; Dio è la povertà e l'innocenza, Dio è questo Bimbo che tu porti nelle braccia, e ti sostiene ma tu non lo sai. Nella tua esperienza umana sei tu che lo sostieni, se no cadrebbe. Lui è il tuo Creatore ma nella tua esperienza Egli ha bisogno di te. Che grande speranza è per noi il sapere che Dio si è fatto presente in un Bimbo! Certo vi anche è un pericolo: quello che non lo sappiamo riconoscere. Di tutti i sacerdoti che c'erano lì nel Tempio, nessuno ha saputo riconoscerlo. Un vecchio che doveva aspettare soltanto la morte e una vedova di 84 anni - sembra proprio che si parli della Comunità - sono gli unici che hanno riconosciuto il Figlio di Dio quando è entrato nel Tempio. Le vedove erano gli scarti dell'umanità antica. Una vedova e un vecchio l'hanno riconosciuto: nessun altro.
Il vero volto di Cristo
Dio è presente, ma si fa riconoscere soltanto dalle anime umili, che non hanno peso nel mondo, che gli uomini dimenticano e non sanno che cosa possono contare, ma solo loro riconoscono il Cristo. Dio è un Bimbo, che non sa né parlare né camminare, o è un uomo che pende da una Croce. La rivelazione suprema di Dio è il supremo abbassamento, la kénosis; Dio non cambia. Crediamo di poter sostituire al Cristo, Figlio di Dio, le nostre immagini vane: il potere, il successo, l'efficacia magari sul piano dell'assistenza sociale. Ma Dio è colui che ha avuto bisogno dell'uomo, quando si è fatto presente: è un Bimbo o è uno che pende dalla Croce. È terribile! Chi lo sa riconoscere? Eppure è una grande speranza, una grande gioia, perché se Dio si è fatto presente in questa umiltà, in questa povertà, in questa debolezza, Dio è con noi ancora, non per il fatto che noi abbiamo qualche potere ancora, ma per il fatto che ce li vengono a togliere tutti. Anche noi, pian piano, si va verso la vecchiaia. Che meraviglia questa restituzione di forze! Se Dio si è fatto presente a noi nell'umiltà, nella semplicità, nella debolezza di un Bimbo, Dio è sempre con gli uomini, basta che noi sappiamo riconoscerlo. È sempre con noi perché ancora i poveri sono con noi, dice Gesù nel Vangelo; perché ancora gli umili, gli emarginati, i vecchi che non contano più sono con noi: ecco l'immagine del Cristo. Perché ancora vi sono delle anime semplici e povere, ecco l'immagine e il Sacramento del Cristo. Dio a noi si rivela soltanto attraverso questo Sacramento, l'umanità di Gesù. L'umanità di Gesù non è l'umanità di un re che vive sul trono, di un condottiero di popoli che sconfigge i suoi nemici con una grande vittoria: è l'umanità di un Bimbo che ha bisogno di te, è l'umanità di un uomo che muore sopra una Croce, abbandonato da tutti.
«Nunc dimittis...»
Vorrei stamani dire due parole sul Cantico di Simeone che è stato proclamato al Vangelo e che è stato cantato all'inizio della Messa. La prima cosa: Simeone sapeva dallo Spirito Santo che non sarebbe morto prima di aver visto la salvezza del suo popolo. Ci voleva davvero una grande fede! Era vecchio, al termine della sua vita. Guardate, quello che Dio promette lo adempie soltanto proprio negli ultimi istanti: e vuole da te la fede che duri tutta la vita, vuole da te una fede che non si smentisca e non si lasci turbare. Tutte le cose possono andare contro le speranze che Egli ha acceso nel tuo cuore, contro quello che Egli ti ha promesso: tu devi mantenerti fedele. «E se Egli non viene, aspettalo», dice Abacuc il profeta. Questa attesa fiduciosa e serena! Sembra che tutto crolli, sembra che tutto vada contro quello che Dio ti ha detto: rimani fermo, sereno, Dio non si smentisce. L'adempimento delle promesse divine esige precisamente la tua fede. Dio vuole da te, come prezzo, questa fiducia incrollabile, questo abbandono sereno, questo allontanamento di ogni dubbio, pur vivendo tu come se Dio non fosse. Simeone aspetta tutta la vita la salvezza e quando viene questa salvezza è una bella delusione! Se non avesse avuto fede come avrebbero potuto riconoscerlo? La salvezza di Israele che cosa era? Era questo Bambino. E lui chiedeva di morire: non aspettava infatti nulla oltre a questo Bambino perché la salvezza è Lui stesso, non è quello che Egli avrebbe operato.
Anche in questo possono sbagliare quei teologi che vedono Gesù soltanto in ordine a quello che Egli compirà. È Lui stesso la salvezza: «la tua salvezza sono io». La salvezza tutta era già presente in questo Bimbo che Simeone portava sulle braccia. Ma chi sarebbe stato capace di credere che la salvezza di Israele era già presente ed era questo Bimbo? Non era la salvezza dalla schiavitù dei romani, non era la gloria di Israele che vince tutti i popoli nemici: era questo Bambino. Tutto rimaneva lo stesso, ma tutto era infinitamente cambiato. Apparentemente che cosa era successo? Nulla di nulla. Quante coppie ogni giorno potevano entrare nel Tempio per riscattare il loro primogenito con delle tortore, ma questo vecchio riconosce per lo Spirito Santo che la salvezza già si è compiuta poiché Dio è presente in quel Bambino.
Davvero ci vuole lo Spirito Santo perché noi possiamo riconoscere tutto questo. Simeone lo riconosce perché era «un uomo giusto e pio» e il giusto, nell'Antico Testamento, vuol dire anche povero; il "chassid", il povero, l'umile. Gli umili non si scandalizzano di Dio. I grandi vorrebbero sempre che Dio somigliasse a loro, perché, sollecitati dall'ambizione del potere, si sentono condannati da un Dio che ha rifiutato il potere, l'ambizione, la ricchezza, che ha rifiutato ogni cosa e allora non lo sanno più riconoscere. Sono gli umili che lo riconoscono e vivono in comunione con Lui. Nella loro umile vita essi sanno accogliere Colui che viene.
Nell'incontro c'è già tutto
Quello che importa notare nel primo versetto del Cantico è questo "nunc", "ora". Avete mai pensato la bellezza di questo "ora"? È il compimento, finalmente, di una attesa di decenni e decenni di silenzio. Sembrava sempre che Dio non ascoltasse. Simeone era sicuro e Dio aveva chiesto la sua preghiera per tutta la sua vita. Finché egli era in condizione di far qualcosa, di associarsi in qualche modo al Salvatore venturo, di predicare al mondo che Egli era venuto, Simeone non poteva andarsene; ma ora a lui non rimane che morire. Tutta la vita si compie in questo atto che precede solo la morte.
Ecco, miei cari fratelli, l'insegnamento che ci viene da Simeone. Anche tutta la nostra vita deve essere un'attesa. Se noi pretendiamo che qualche cosa debba venire prima, Dio ci deluderà. Non chiedere nulla, ma rimani nella fede e nella speranza. Tutto si compirà nell'atto stesso in cui morirai. L'ora, il "nunc" di ogni uomo, è il suo incontro con Dio e questo incontro è sempre rimandato perché cresca la tua fede, perché la tua fede divenga sempre più pura, perché la tua speranza sia sempre più certa. «Ora lascia che il tuo servo se ne vada, in pace, perché i miei occhi hanno veduto la tua salvezza». L'incontro con Dio; non può esserci nulla di successivo all'incontro dell'anima con Dio. Noi invece usiamo molto spesso Dio per le nostre ambizioni, per i nostri egoismi, per la nostra salvezza futura. Vogliamo usare di Lui come di qualche cosa che possa sorreggere la nostra umanità, che possa realizzare i nostri egoismi, che possa rispondere alle nostre speranze. Tu vorresti farti servire da Dio, ma Dio non serve nessuno; la salvezza per te si adempie nell'incontro stesso. Oltre l'incontro non c'è nulla.
Che cosa puoi aspettare, in fondo? Tu l'hai incontrato. Anche questo potessimo viverlo sempre! Sentire cioè che dalla vita religiosa non dobbiamo aspettarci nulla, perché la vita religiosa è termine ultimo di tutta la vita. Che te ne fai dei soldi, che te ne fai della vita, della giovinezza? Che te ne fai? Dio è tutto. È nell'incontro con Lui che l'anima possiede ogni cosa, e Dio non è al servizio di qualche cosa che Egli deve donarti. Se aspetti da Lui qualche cosa è come se tu lo rifiutassi ed Egli non si donerà mai a te, perché tu aspetti qualcosa più grande di Lui che invece si dona tutto nella sua stessa Presenza. E allora tu divieni idolatra; come potrebbe Dio piegarsi ad essere al servizio della tua idolatria?
La salvezza è...
«I miei occhi hanno visto la tua salvezza». Simeone ha veduto Gesù e contemplato in Gesù veramente colui che era l'atteso, che era il dono di Dio. Simeone ora può morire, ogni sua speranza è colmata. Non ha chiesto a Dio la giovinezza, non ha chiesto che la morte: rimanere in questo incontro, non vivere più che questo incontro. Non aspira più a nulla dopo questo incontro.
E chi è questa salvezza? Ecco la cosa importante. Come Simeone vede la salvezza di Israele? L'avete sentito fino dall'inizio della liturgia di oggi, con tutte le candeline accese: «luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». Di fatto, molto spesso nel Vangelo Dio ha un rapporto con la luce, e ha un rapporto con la luce anche Gesù; poi l'avranno anche i cristiani, i discepoli di Gesù. Egli è il lume, la luce per la rivelazione. Ma cosa vuol dire? Una cosa semplice: ci vuole la luce perché si riveli a noi la realtà stessa di Dio. Per noi è necessaria una luce che sia come il tramite perché possiamo entrare in rapporto con questa realtà ultima, questo Dio che non può essere conosciuto né veduto se non attraverso la luce che è Cristo. Quello che è la luce per gli occhi mortali, è il Cristo nei riguardi di Dio. Nella nostra vita, noi non possiamo stabilire alcun rapporto con le cose, con gli uomini, con la realtà che ci circonda se non attraverso la luce. La luce diviene il tramite mediante il quale noi vediamo le cose: così il Cristo nei riguardi di Dio. Dio ci è totalmente sconosciuto, Dio rimane puro mistero per l'anima, se la luce, Cristo, non c'illumina.
Ma si noti bene: la luce del Cristo non è qualche cosa che viene dall'esterno. È la sua parola, la sua presenza, la sua virtù, la sua debolezza, la sua innocenza, la sua umiltà: Lui stesso. La prima funzione del Cristo, del Verbo di Dio fatto carne, è la sua funzione rivelatrice; è proprio nella sua presenza che gli uomini conoscono Dio e possono entrare in un certo rapporto con Lui. Si è detto altre volte che c'è una certa luce che è propria anche della creazione: la creazione stessa è segno di Dio e in qualche modo è luce che rivela, come lo è anche la parola di Dio nell'Antico Testamento. Ma che volete che sia? Può la luce di una candela illuminare questo mondo? Tale è la rivelazione cosmica nei riguardi di Dio. Ma anche la luce di Dio nella sua parola dell'Antico Testamento, anche questa cosa volete che sia: sarà una lampadina da dieci candele! Che cosa può essere mai anche ogni parola profetica nel riguardi della Presenza reale, della Presenza Incarnata di Dio in Cristo Gesù? Egli solo è veramente la Luce, la Luce che dissipa ogni tenebra: in Lui solo e attraverso Lui solo noi vediamo la luce che è Dio. «In lumine tuo videbimus lumen»: soltanto nella Tua luce, o Cristo, noi vediamo la luce che è Dio. E dice infatti nel IV Vangelo Gesù: «Chi vede me vede il Padre».
...nel rapporto con il Cristo
Voi capite una cosa allora: l'importanza che ha per noi cristiani un rapporto vero con il Cristo. Tutta la nostra vita cristiana consiste in questo incontro con Lui, un incontro con Lui che veramente ci manifesti Dio, che veramente ci dia la percezione e la sicurezza di una presenza del dono divino agli uomini, la presenza di Dio stesso agli uomini come loro salvezza. Gesù: non si va oltre, nessuno può prenderne il posto. Tutte le cose, le istituzioni anche, possono essere segno della sua presenza, ma Lui non può essere segno che della presenza del Padre. Per dirlo in altre parole: non si sostituisca al Cristo nessun altra grandezza; né la Chiesa, né il papa, né i vescovi, nulla! Il papa, i vescovi, la Chiesa sono segni del Cristo, che è il solo Figlio di Dio. Lui rimane, senza i paludamenti di cui possiamo rivestire la Chiesa: rimane il Bambino che Simeone portò sulle braccia, rimane l'uomo che pende dalla croce. Il Cristo anche per noi, oggi, si fa presente solo così, così come Egli si è fatto presente per Israele nell'umiltà più profonda, nel silenzio più puro. Alla debolezza del Bambino risponde ora l'umiltà, la kénosis, della presenza sacramentale propria dell'Eucaristia.
Notate bene: nulla, mai nulla potrà trascendere questa Presenza reale di Lui sotto il segno del più assoluto silenzio, della più pura umiltà. Noi possiamo vivere qui ignorandolo totalmente. Tutti noi possiamo ignorare un'altra Presenza infinitamente più grande e più viva, una Presenza dalla quale dipende la salvezza e la vita di tutto l'universo. Tale è l'umiltà di Dio fatto uomo, tale è il nascondimento in cui si rivela l'infinità dell'amore di Dio. Lo dicevo ieri: la grandezza di Dio si manifesta per noi nel Vangelo solo in un amore che si spoglia, solo come amore infinito che tutto si dona e nulla riserva per sé. Che cosa riserva per sé questo Dio, che nel Cristo tutto si comunica a noi, sotto la specie del pane? Cosa riserva per sé? Ecco la grandezza di Dio, grandezza infinita di un amore che non può avere altro segno se non la tenerezza, l'annientamento supremo, se non l'umiltà più profonda, se non il silenzio più puro.
Meditazione

L'adempimento delle profezie

Stamani abbiamo continuato la meditazione fatta ieri sera sui testi della liturgia di oggi, festa della Presentazione di Nostro Signore al Tempio. Stasera vorrei rilevare con voi una cosa molto importante, sempre a proposito della lettura del Vangelo di stamani, ed è questa. Indubbiamente nel Vangelo di Luca, questo ingresso di Gesù Bambino ancora piccolo nel Tempio ha una grande importanza, ma l'importanza che ha nel Vangelo è stata sottolineata ancor di più dalla liturgia. La Chiesa ha visto in questo ingresso del Bambino, portato da Maria e da Giuseppe, l'adempimento delle profezie: era Dio che entrava nel suo Tempio, era Dio che già entrava in rapporto col suo popolo, in un rapporto pubblico solenne, perché fino ad allora aveva vissuto una vita del tutto privata.
Il primo incontro di Gesù con il suo popolo - incontro ufficiale, incontro solenne, pubblico -, avviene proprio al Tempio, nel luogo, d'altra parte, più indicato per un incontro di Dio col suo popolo e del popolo di Israele con Dio. Questo dicevo, è già sufficientemente sottolineato dall'evangelista san Luca, ma quanto di più è sottolineato dalla Chiesa, che diede a questo avvenimento una così grande importanza da consacrargli una festa particolare!
Si noti una cosa importante: nella Chiesa occidentale la festa della presentazione di Gesù aveva più importanza, almeno fino a poco tempo fa, dello stesso battesimo di Gesù, perché il battesimo di Gesù, con le nozze di Cana, veniva celebrato insieme alla festa dell'Epifania, all'adorazione dei Magi. Mentre la presentazione di Gesù al Tempio, fin dall'antichità più remota, ha avuto consacrato a sé un giorno festivo e fino a Pio X c'è anche il precetto all'obbligo della Santa Messa. È, dicevo, l'incontro solenne, pubblico, ufficiale di Dio con il suo popolo.
Dio sconvolge sempre l'uomo
Come avviene questo incontro? Ecco quello che noi dobbiamo domandarci. La prima cosa che rileviamo in questo incontro è veramente importante per quello che può dirci e anche qui si vede come Dio, nel suo agire, sconcerta sempre l'uomo. L'uomo si trova sempre, direi, nella tentazione di essere deluso nei confronti di Dio. Dio ci delude sempre fino al giorno in cui noi, così come vuole Gesù, non cambiamo la nostra mentalità e non cerchiamo di vedere le cose come Dio stesso le vede, non cerchiamo di vivere secondo quello che Lui stesso ha scelto di vivere.
Dicevo, prima, che la cosa interessante per noi è che ci sembra quasi che Dio ci prenda in giro: un incontro ufficiale, solenne? Un Bambino e due vecchi, cioè proprio gli esseri più emarginati dalla vita pubblica di una nazione. Eppure ci si trova di fronte proprio ad un Bambino e a due vecchi, perché perfino Maria Santissima e san Giuseppe ritornano nell'ombra. I veri protagonisti della scena rimangono un Bimbo che non parla, un Bimbo nella sua debolezza, nella sua impotenza, nel suo silenzio e, dall'altra parte un vecchio che non ha altro che da morire e una vedova di 84 anni. Se anche oggi una donna di 84 anni conta poco, specialmente se non è ricca e non ha delle funzioni pubbliche, quanto meno contava al tempo di Gesù una vedova anziana! Sia le vedove che gli orfani erano veramente degli emarginati; e insieme a questa vedova di 84 anni c'è questo vecchio, di cui non si dice nemmeno l'età, ma si dice che davanti a sé non ha altro che la morte: «Ora lascia che il tuo servo vada in pace, Signore». Non ha nulla da aspettare se non la morte. L'incontro ufficiale solenne di Dio col suo popolo avviene nell'incontro di un Bimbo con due vecchi!
Ecco la cosa che maggiormente, mi sembra, dobbiamo meditare: nel piano divino quelli che contano, sembrano essere i bambini e i vecchi. Anche qui il rovesciamento di tutti i piani dell'uomo. Non ci sconcerta il Signore? Non rimaniamo sorpresi di questo modo di agire di Dio? È la prima domanda che possiamo farci, ma è una domanda senza risposta, se noi non riusciamo a capire, non cerchiamo di entrare precisamente nel piano di Dio. Anche in questo caso, nella meditazione di questo avvenimento, noi dobbiamo richiamarci alla memoria le parole con cui Gesù inizia la sua predicazione, la sua vita pubblica: «Convertitevi», cioè "cambiate la vostra mente". È certo che dobbiamo cambiare molto la nostra mente per capire qualche cosa di quello che Dio fa all'uomo. Non è Dio che si inserisce nel nostro modo di pensare, che risponde alle nostre attese. Se noi pretendiamo che Lui entri nel nostro modo di pensare, se noi pretendiamo che Lui segua i nostri pensieri, veramente noi ci troviamo a rimanere ciechi come farisei. «Poiché voi dite di vederci il vostro peccato rimane» e cioè proprio per questo siete costretti a rimanete nella vostra cecità, dirà Gesù alla fine del capitolo 9 del IV Vangelo ai farisei, dopo la guarigione del cieco nato. Così noi tutti rimaniamo ciechi se non cerchiamo di entrare precisamente nel piano stesso di Dio. Ora, è evidente che noi cerchiamo di non essere ciechi, ma in che modo? Cercando di manipolare i testi evangelici, in modo che non ci dicano quello che in realtà direttamente ci insegnano. Allora possiamo pensare alla Presentazione al Tempio come ad un avvenimento grandioso: vediamo magari una grande processione, possiamo immaginare l'ammirazione del Sommo sacerdote che sta lì impalato, a bocca aperta, e magari leviti e sacerdoti tutti intorno. Non è avvenuto nulla di tutto questo, nessuno si è accorto di nulla, fuorché questo vecchio che ha cantato a Dio il suo canto di ringraziamento perché aveva visto la salvezza, e questa donna di 84 anni. Ecco a chi è apparso il Signore, a chi si è rivelato, ed ecco coloro che sono i primi messaggeri in Israele dell'avvenimento divino. Guardate che è una cosa molto importante questa. In generale gli evangelisti vedono in Giovanni Battista colui che annuncia, anzi indica il Salvatore del mondo: «Ecco l'agnello di Dio». Ma prima di san Giovanni Battista ci furono Simeone e Anna la profetessa.
Il valore degli anziani
Che cosa vuol dire tutto questo? Intanto, mi sembra, una cosa molto semplice e molto bella: gli uomini possono anche non farsene nulla dei vecchi, metterli da parte ed escluderli dalla vita. Ma alla Chiesa, Dio però ha detto di accogliere anche loro, di far sì che anche loro abbiano un peso, e forse determinante, forse più importante dei giovani, di quelli che, perché hanno la forza, l'intelligenza, la capacità organizzativa, credono di poter cambiare il mondo. Nel piano di Dio sono questi gli esseri di cui Dio può servirsi e si serve: un Bambino e due vecchi, coloro dei quali il mondo non sa che farsene. Si amano tanto i piccoli e si possono amare anche i vecchi, ma credete veramente che un Bambino e due vecchi possano fare qualche cosa, rappresentare qualche cosa? Riteniamo, nei loro confronti, di essere noi a dover donare e invece sono loro che donano. Vedete il Vangelo di oggi: è da loro che noi riceviamo, questa è la cosa importante. Com'è diversa la mentalità umana da quella di Dio!
Stamani, nell'Ufficio delle Letture del Breviario, vi era, come seconda lettura, un brano di un'omelia di San Sofronio, vescovo di Gerusalemme. lo pensavo: «Guarda! Sofronio è proprio Simeone». Era un monaco, nessuno lo conosceva bene, in fondo. Fu fatto vescovo di Gerusalemme, aveva 84 anni, due anni dopo è morto e subito dopo di lui, Gerusalemme è stata presa dagli Arabi. Fu guida spirituale di san Massimo il Confessore. Se la Chiesa è stata fedele al Vangelo, si deve a questo uomo di 84 anni e a questo suo discepolo che non era nemmeno prete. La cosa terribile è che, ve l'ho detto altre volte, in un certo momento tutto l'episcopato, tutto, si è trovato ad essere infedele a Dio; non ha proprio ripudiato la fede, ma ha permesso che lo si dominasse, sia nella Chiesa occidentale che in quella orientale; anche il Papa! Solo Massimo il Confessore, un laico, un monaco, ha detto che non poteva accettare l'imposizione dell'imperatore, perché la fede voleva che si affermasse la duplice volontà e la duplice operazione del Cristo: veramente uomo e veramente Dio. E prima di san Massimo questo vescovo, due anni solo da vescovo, ha dato una dottrina e, direi, la più profonda, sulla cristologia. Tutta la cristologia dei Padri termina nell'insegnamento di Sofronio, che poi è stato fatto presente nella Chiesa da questo laico, monaco, san Massimo. Anche il Papa ha permesso che l'eresia regnasse; Onorio prima e poi il suo successore, hanno accettato il dettato dell'imperatore. San Massimo invece è rimasto fedele e ha pagato la sua fedeltà con il taglio della lingua e del braccio col quale scriveva. Aveva 80 anni, è morto due anni dopo; Sofronio era morto da poco tempo. Guardate: due vecchi, anche allora, hanno salvato la Chiesa!
Ma, una volta fatto questo, sono spariti di nuovo. Lo diceva il Newman: molto spesso Dio prepara un uomo per un'opera grande, lo prepara per tutta la vita. Questo uomo dovrà vivere nel silenzio, celato nella dimenticanza, messo da parte da tutti, sembrerà essere un arnese vecchio e inutile. Viene il suo momento, Dio lo usa, se ha creduto ed è rimasto fedele. E in questi pochi anni, in quei pochi mesi o giorni, compie l'opera di Dio. Poi sparisce. Pensate a un Giovanni XXIII. Le preparazioni di Dio sono sempre molto più lunghe dell'avvenimento in cui tutto si conclude, in cui tutto si realizza. L'avvenimento è proprio come lampo che passa, ma prima c'è tutta una preparazione.
Rimanere fermi nella fede
Allora, che cosa richiede l'insegnamento del Vangelo di oggi? La fede in Dio. Sappi credere in Lui; se tu ti affidi a Lui, Egli ti userà, tu sarai lo strumento della sua opera. Quando? Per quale cosa? Attraverso quali vie? Lo sa Lui; tu devi soltanto credere. Può darsi che Dio si serva di te soltanto dopo la morte: si pensi a Carlo de Foucauld. Ma quello che Dio chiede a te è la tua fede; una fede che non vacilli, una fede che non venga mai meno, nemmeno con la morte.
Molto spesso non sono quegli uomini che credono di fare qualche cosa, coloro che effettivamente la realizzano. Noi ci fidiamo troppo delle doti umane, ci affidiamo troppo alle capacità umane, all'intelligenza, alle capacità organizzative. Diamo troppo affidamento ai mezzi, al potere della politica, e non ci fidiamo di Dio! Un vecchio di 100 anni può fare quello che non ha fatto tutta la Chiesa, se questo vecchio è fedele al Signore e sa testimoniare la sua fede. E io penso che oggi forse la Chiesa si salverà perché ci sono questi vescovi che hanno 85 anni, 90 anni, e vivono forse in un pensionato di suore, dimenticati da tutti. Questi vescovi, che pure erano degli uomini che sembravano aver un potere nella Chiesa, lo hanno più grande ora, che vivono nel silenzio, ora che vivono il sacrificio della loro vita a Dio nell'umiltà.
Dio non ha bisogno delle nostre opere, ha bisogno della nostra fede. E un vecchio che non abbia più nessuna capacità di agire, ma che crede veramente in Dio e gli sia fedele, opera di più e più efficacemente per la vita intera della Chiesa, di 100 vescovi che operano senza la medesima fede. Pensate a Simeone: tutta la vita egli è vissuto nell'attesa, perché Dio gli aveva annunciato, chi sa quando, forse nella sua giovinezza, che non sarebbe morto senza prima vedere il Salvatore, la salvezza di Israele. Arriva all'estrema vecchiaia: Dio sembra averlo deluso, Simeone non ha visto mai nulla; Dio è come assente, Dio è come fosse morto. I sadducei continuavano a parlare soltanto per ambizione, si ammazzavano per diventare Sommo sacerdote a Gerusalemme; i farisei, forti del loro potere e anche delle loro virtù, credevano di essere le guide del popolo di Israele. E vi era un vecchio, dimenticato da tutti: a lui solo Dio aveva annunciato che avrebbe veduto il Salvatore. Ma lo vedrà precisamente non per il fatto che fa grandi opere, non per il fatto che fa tante cose, ma per il fatto che sa sperare, che sa credere: nella sua fede non viene meno anche se per anni, per decenni, anche se giunto all'estrema età della sua vita, non ha visto ancora nulla. Dio non Io delude: Simeone Io vede e sa riconoscerlo. È un Bimbo, il Figlio di Dio!
Ma sapete che è un insegnamento fra i più grandi che ci può dare il Vangelo? Di tutto il popolo di Israele, uno solo riconosce Dio, ed è un vecchio alla fine della sua vita. La visione gli viene accordata solo perché egli sa attendere, solo perché sa sperare contro ogni speranza, solo perché sa credere mentre tutto sembra essere immerso nelle tenebre; sa credere in questo Dio che gli ha parlato. Ed è questo vecchio che rappresenta tutto Israele; non il Sommo sacerdote, non uno di quei ricchi, non uno di questi potenti; non un principe dei sacerdoti, non uno dei grandi del popolo, ma un semplice e povero uomo, un vecchio. Ecco gli strumenti che Dio elegge!
Dio attende tutto dall'uomo
Ma poi dobbiamo considerare anche un'altra cosa: non soltanto coloro che Dio sceglie, ma come Dio si fa presente. Simeone vede la salvezza di Israele. Che cosa avresti visto tu? Un bimbo di una famiglia povera, null'altro: ma questi è Dio! È questa la rivelazione di Dio: l'umiltà. Si diceva già ieri sera e si è accennato anche stamani: la grandezza di Dio, l'onnipotenza di Dio, nel Cristianesimo, è soltanto grandezza e onnipotenza di amore, perciò è una grandezza che si manifesta proprio nello spogliamento supremo, nel fatto che Egli si può avvicinare all'uomo nel modo più profondo. Nulla Io allontana da te. Non solo nulla lo allontana da te, ma Dio si spoglia a tal punto che sembra che attenda invece tutto da te. Ed è questo quello che diceva la liturgia fino a pochi anni fa: «Il vecchio sosteneva il Bambino, ma era il Bambino che sosteneva il vecchio». Ma chi sapeva? In realtà se il vecchio avesse aperto le braccia, il Bambino sarebbe caduto in terra. Ecco: Dio ha bisogno dell'uomo! Talmente si è reso debole, talmente si è fatto impotente nel suo amore, talmente si è fatto umiltà, che sembra che sia l'uomo a dare qualche cosa a Lui, sembra che dall'uomo Egli aspetti una difesa e una salvezza, un sostegno e un aiuto. La rivelazione di Dio è rivelazione di suprema umiltà, è rivelazione di infinito amore. L'amore è la virtù che ci spoglia.
Miei cari fratelli, ecco l'insegnamento che ci dona il Vangelo di oggi; e direi proprio che non c'è una pagina del Vangelo che maggiormente imponga a noi il cambiamento della mente, la metanoia. I pensieri dell'uomo non sono le vie di Dio. Se il Vangelo che noi abbiamo proclamato stamani è vero, e noi sappiamo che è vero, non possiamo temere. Non vediamo nessun spiraglio di salvezza? C'è la salvezza finché c'è l'umiltà di un Bambino. O finché c'è l'abbandono di un vecchio, finché c'è la fede di un'anima che, nonostante tutto, si affida; finché c'è la semplicità di un Bimbo nel quale abita Dio. Siamo noi uomini, noi che crediamo di far qualche cosa, che sciupiamo le opere di Dio. Proprio nella misura che noi facciamo, rischiamo sempre di compromettere l'opera divina. Dio non ha bisogno delle nostre azioni, ha bisogno della nostra fede e perciò del nostro abbandono alla sua azione, alla sua onnipotenza. Troppo l'uomo crede in se stesso e crede poco in Dio; troppo spesso l'uomo, credendo in se stesso, pensa anche che Dio abbia bisogno di lui. Oh, la presunzione e l'orgoglio dell'uomo come sono ostacolo fondamentale alla possibilità che la salvezza divina si faccia realmente presente ed operi nei cuori!
Però, rendiamoci conto di un fatto. lo non voglio mica fare l'elogio dei vecchi perché si credano tanto importanti; sono importanti, ma nella misura che accettano la loro impotenza, nella misura che accettano e amano la loro emarginazione. Infatti se a 85 anni pretendono di diventare Assistente Generale o qualche altra cosa, fanno ridere soltanto. Accettino questa loro umiltà, questa loro condizione di inutilità, la loro impotenza, tanto il bimbo che il vecchio! Sul piano umano non essere più nulla per essere tutto nel piano di Dio. Ed è così perché, mi dicano quello che vogliono, la vita è un processo continuo; uno può andare anche in pensione a 75 anni, ma è allora che diventa cristiano. Anche i vescovi cominciano a diventare cristiani quando possono vivere unicamente per Iddio nel silenzio, dimenticati da tutti, e vivono di preghiera, e vivono, nella semplicità e nell'umiltà, la loro adesione a Cristo, senza più ricevere nulla da alcuno, ma donando se stessi a Dio e agli uomini, nella preghiera e nel silenzio. Oh! Sono questi i pilastri del mondo; su di loro veramente poggia anche l'edificio della Chiesa.
Vivere il presente
Quello che vi ho detto non vuole essere una critica: accetto benissimo che a 75 anni si vada in pensione, precisamente per quello che dicevo prima, cioè perché certamente un vecchio non può fare quello che fa un giovane, ma anche quello che lui può fare non lo fa un giovane, molto spesso; se il vecchio accetta veramente questo spogliamento supremo, diviene il cuore dell'universo, diviene il sostegno della Chiesa. Ma deve accettare di non essere più nulla, non rappresentare più nulla, sprofondare nel silenzio e nell'umiltà. Invece molto spesso i vecchi ricordano il passato, rimpiangono il tempo in cui avevano cinquant'anni: questo è il male! E allora non vivono la grazia della loro condizione, che è la grazia suprema, perché, se la vita spirituale implica un processo continuo, è evidente che chi ha la fortuna di arrivare a 95 anni, se non ha perduto del tutto la testa, è più santo di quando ne aveva 60. C'è veramente un processo; indubbiamente anche questi uomini che ora sono usciti dalla scena del mondo, sono davanti agli occhi di Dio più grandi e più importanti anche per la vita nostra, anche per la nostra salvezza, di coloro che possono apparire di più, come quelli che governano, che guidano, che sostengono e dirigono le nazioni.
Simeone e Anna, e dall'altra parte un Bambino. Ecco, mi sembra, quello che noi dovremmo prima di tutto, considerare nel Vangelo di oggi.
Meditazione

Il riscatto del Figlio di Dio...

Abbiamo fatto argomento delle nostre meditazioni sulla festa di oggi, inizialmente, il rapporto che vi era fra la prima e la terza lettura; poi, il Cantico di Simeone, e infine, questa sera, i personaggi: un Bambino e due vecchi. E ora il posto di ciascuno di noi nello stesso avvenimento. È una presentazione, ma c'è un riscatto, e lo dice chiaramente proprio il testo dell'Esodo che si è letto nell'Ufficio delle Letture. Tutti i primogeniti sono di Dio. In che modo Dio può prendere possesso del primogenito? Facendoli morire: li sottrae a questa vita, li sottrae all'esistenza puramente terrestre e li porta nella sua. Se allora Israele non vuol perdere i primogeniti, deve pagarli, deve riscattarli; siccome appartengono a Dio, Israele deve dare per ogni primogenito, due agnelli o due tortore, secondo il libro dell'Esodo.
Ed ecco una grandissima cosa dell'evento di oggi: gli uomini hanno riscattato Gesù, ora Gesù appartiene agli uomini. Il Padre, ecco, ci dona il Figlio suo, «primogenito di ogni creatura», al prezzo di due tortorelle. Quello che Maria e Giuseppe offrono nel Tempio è perché Gesù divenga veramente possesso, proprietà di Maria e di Giuseppe, ma anche del popolo di Israele. Non è riscattato soltanto per Maria e per Giuseppe. Infatti, chi è che lo prende fra le braccia come fosse sua proprietà? Simeone che, nel caso, è rappresentante del popolo di Israele. Tutta l'umanità, dunque, acquista Gesù come sua proprietà; è il suo primogenito che ha riscattato a prezzo delle due tortorelle. Dio non dà nulla per nulla: sa fare i suoi conti. A modo suo però, intendiamoci, perché, in fondo, ci dà suo Figlio e prende due tortorelle! Però le tortorelle le vuole. Non è che Egli aspetti qualche cosa da te per donarsi, ma è vero che tu non entri in possesso di quello che Egli ti dona se tu a tua volta non doni qualcosa. Egli ti dà tutto, tu gli dai quello che hai. Maria e Giuseppe gli danno la loro povertà, gli offrono soltanto due tortore, ma devono offrirgli due tortore. E Dio dà in cambio il suo Figlio!
...è la nostra povertà
Ecco, in fondo, l'argomento della nostra ultima meditazione. È la nostra povertà che noi possiamo offrire al Signore ed è la sua infinita ricchezza quella che Egli ci dona. Ma si noti bene quello che dice ancheL'imitazione di Cristo: «Totum pro toto». Tu non hai che la tua povertà: dagli questa! Egli che è infinita ricchezza, ti darà tutto quello che Egli possiede: suo Figlio. Che cosa vuol dire per noi dare a Dio la nostra povertà? Vuol dire dargli quello che crediamo di avere, perché anche quello che diciamo di avere, probabilmente non è nostro; ma quello che crediamo di avere, tutto quello che siamo, tutto dobbiamo donare. E noi dobbiamo veramente conoscere la privazione di qualche cosa di nostro per ricevere il suo. Riceviamo realmente qualcosa nel ricevere un Bambino, che in fondo ancora non lavora per noi, un Bambino che ancora ha bisogno di essere educato, custodito, difeso, protetto? Ma sono parole vane: ogni padre quando riceve un bimbo sente di ricevere qualche cosa di grande. Figuriamoci poi quando questo Bambino è il Figlio di Dio, anche se questo dono si fa presente a noi sotto il segno della debolezza. Indubbiamente, le due tortore, avrebbero potuto venderle, ma il Bambino no, non aveva prezzo.
Che cosa dunque noi doniamo? Che cosa Egli ci dona? Noi doniamo quello che in realtà non è nostro, Egli ci dà quello che in realtà è suo. Le cose che doniamo, anche quando sono nostra proprietà, sono qualche cosa di estraneo a noi, qualche cosa di cui possiamo realmente privarci e che ha un prezzo precisamente per questo, valutabile in denaro. Mentre non è valutabile in denaro già la mia stessa vita. Dio ci dà quello che è propriamente suo, il Figlio.
Ma che cosa vuol dire tutto questo, concretamente? Vuol dire che in fondo noi non potremmo nemmeno donare qualche cosa di nostro. Quello che possiamo dare è qualche cosa che ci è stato dato già prima, perché nulla abbiamo di nostro; noi stessi non possiamo far altro che riscattarci da Dio, perché siamo suoi prima di essere nostri. «Domini est terra et plenitudo eius orbis terrarum»: figuriamoci se non erano sue quelle tortorelle! E poi, figuriamoci se Dio avrebbe saputo cosa farsene di queste due tortorelle! Però era quello che essi credevano di avere: dovevano spogliarsi di tutto. In cambio di quello che dai e che non è tuo, tu ricevi quello che non possiedi. Ma il dare le tortorelle è soltanto condizione per ricevere. Guardiamo piuttosto quello che noi riceviamo. Viene riscattato Gesù e Gesù diviene davvero un dono, una ricchezza che Dio ci lascia. Tutti i primogeniti appartengono a Dio. In forza di quello che è avvenuto nell'Esodo, tutti i primogeniti dovevano morire e non dovevano appartenere alla famiglia. Guardate che questo è un uso particolare di molti popoli primitivi. In generale si sacrificavano a Dio; è quello che manifesta anche Abramo col figlio Isacco. In Israele questo non era avvenuto, ma non era avvenuto perché Dio gli concedeva il riscatto. Di fatto, l'uomo come può vivere un suo rapporto con Dio se non donando quello cui maggiormente egli tiene? E come può l'uomo riconoscere Dio come Dio e adorarLo, se non precisamente in questa offerta di quello da cui egli è più preso, cioè il suo figlio primogenito? E Dio non rinuncia a tutto questo né può rinunciarvi: tu devi riscattare il tuo figlio se vuoi che Egli non ti strappi via quello che sembrava essere più tuo di ogni altra cosa, il tuo medesimo figlio.
Gesù è nostro per sempre
Vuol dire che il prezzo delle tue tortore è la condizione perché il Cristo divenga proprietà dell'uomo. È come un contratto: il cambio che avviene lascia ormai proprietà dell'umanità il Figlio di Dio; Egli è nostro per sempre. Certo, prima è di Maria Santissima, ma nel Vangelo di oggi chi ha nelle sue braccia il Bambino - ed è il segno del possesso - è il vecchio Simeone, il simbolo del popolo di Israele e di tutta l'umanità. Attraverso quelle due tortore, dunque, Gesù è nostro, nostro per sempre. Nemmeno Dio ce Io toglie più. Vi sembra che sia poco quello che dice la festa di oggi? Maria presenta il Figlio al Padre, è la sua offerta più grande, ma il Padre, ecco, glielo concede: «Sì, è mio, però se mi dai in cambio due tortore, te lo lascio». Le due tortore sono state date, Gesù rimane proprietà dell'uomo e non gli sarà tolto mai più. Attraverso il rito del Tempio, veramente l'umanità ha ricevuto Gesù; non più Maria soltanto ma tutta l'umanità in Simeone. Che cosa è più nostro di un nostro figlio? Che cosa forma la gioia di un padre più del figlio? Noi da questo momento sentiamo Gesù per sempre nostro e nessuno ce lo potrà rapire: di qui nasce la nostra gioia. Ed ecco allora il perché del canto di Simeone: lui vecchio, prorompe nel canto. Certo, il canto c'è anche all'inizio del Vangelo, quando nasce Giovanni il Battista, ma è sempre l'annuncio dell'imminenza della salvezza, non è ancora la salvezza. C'è il Cantico della Vergine che si sente Madre di Dio. Ma ora c'è il canto di un vecchio e, in lui, il canto di tutta l'umanità, perché nel vecchio, dicevo, è tutta l'umanità che riceve Gesù, per possederlo per sempre. Ed è giusto che proprio in questo giorno noi veramente viviamo la gioia di questo riconoscimento che tutto è nostro perché Gesù è definitivamente nostro, nostro per sempre.
Però, come Dio ci dona se stesso? Nel segno dell'umiltà, della povertà, del bisogno. Quaggiù noi entriamo in possesso di Dio precisamente attraverso il dono di un Bimbo che ha bisogno di noi, che deve essere protetto da noi; è la salvezza di Israele, ma l'uomo non sperimenta questa salvezza. Non la sperimenta Simeone, perché deve morire: non la sperimenta Maria perché tutta la sua vita si consumerà nella povertà, nel bisogno, anche nella sofferenza.
Ma Ella sa che Dio si fa presente per Lei, e allora tutte le pene non potranno mai soffocare il canto che sale dal profondo del suo cuore, canto di ringraziamento e di lode, canto in cui si esprime la gioia di un divino possesso. Anche se Simeone le aveva detto: «Anche a te una spada trafiggerà l'anima», Ella non poteva conoscere che la gioia: il Bambino era suo ed era suo per sempre. Che attraverso la maternità la donna viva sempre anche una sua sofferenza è cosa comune, ma la sofferenza, le pene, le tribolazioni e le preoccupazioni dei figli, non impediscono mai alla madre di godere di essere madre, di gioire di avere un figlio. Così per noi: tutte le tribolazioni della vita, le difficoltà della nostra esistenza, non potranno mai nasconderci la grandezza di questo dono che Dio ci ha fatto del Figlio suo, che ora rimane ed è la nostra più vera ricchezza. Oh, possiamo anche vivere nella pena e nella sofferenza, nell'umiliazione e nello scoramento. Ma se noi, come Simeone, avremo gli occhi per saper vedere Dio, se noi, come Maria, sapremo riconoscere il dono che Dio ci ha fatto, noi, nella Presenza del Cristo, nel possedere il Cristo, non potremo mai non conoscere la gioia.
Ecco quello che mi sembra possa dirci il Vangelo di oggi, anche per quanto riguarda il contenuto dell'evento che noi celebriamo: l'offerta che noi facciamo a Dio di tutto quello che abbiamo di meglio, ma anche il riscatto delle sole due tortore, perché Gesù sia nostra proprietà. E nel possedere il Cristo, nel possedere in Lui la nostra salvezza, viviamo la gioia pura dell'anima anche se nei tormenti; il canto del cuore anche nell'annuncio, nella previsione di tante sofferenze e dolori, come per Maria. La profezia di Simeone non impedisce affatto che il mistero che celebriamo oggi sia un mistero gioioso: è un mistero di gaudio anche se viene vissuto nell'annuncio di una sofferenza e di una passione. Nessuna passione può mai impedire alla Madre di conoscere la gioia di avere suo Figlio e di conoscere che questo suo Figlio è il Figlio di Dio.