giovedì 21 marzo 2013

La bellezza del vivere insieme


I tre grandi monoteismi e le sfide del XXI secolo.
Il premio. Al cardinale presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura viene assegnato nel pomeriggio di oggi, mercoledì 20, in Campidoglio, il «Premio per la Pace» della Fondazione Ducci. Giunto alla sua sesta edizione, il riconoscimento rende omaggio a coloro che si adoperano per la promozione del dialogo tra le differenti culture. Tra i premiati, negli anni passati, il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, l’intellettuale israeliano David Grossman, lo scrittore Tahar Ben Jelloun e il cardinale Gianfranco Ravasi. Oggi, insieme al porporato francese, ricevono il premio l’intellettuale algerino Mustapha Cherif e la cantante israeliana Noa. Un riconoscimento è assegnato alla memoria del cardinale Carlo Maria Martini. Per l’occasione è stato organizzato un incontro su «I tre grandi monoteismi e le sfide del XXI secolo». Anticipiamo ampi stralci dell’intervento del cardinale. 
(Paul Poupard) Abbiamo sentito il nuovo Papa appena eletto confidare ai giornalisti che aveva scelto il nome di Francesco d’Assisi, perché «è per me l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato. È l’uomo che ci dà questo spirito di pace, l’uomo povero». Ecco le tre grande sfide del XXI secolo: la povertà dell’emisfero Sud, e di una parte crescente del Nord; la pace tra i popoli, a iniziare dalla Terra Santa; il rispetto del creato minacciato dal comportamento egoista dell’uomo. Per fronteggiare queste tre grande sfide, la Chiesa cattolica, per la prima volta nella sua storia bimillenaria, ha scelto come vescovo di Roma, Pastore della Chiesa universale, un Pastore venuto dall’America latina, che ha scelto il nome di Francesco. Ma per fronteggiare queste sfide epocali, non è solo, ci sono tanti uomini di buona volontà, e, prima di tutto, gli altri due figli di Abramo, ebrei e musulmani, con i cristiani.
In questo inizio così incerto del terzo millennio, dove incombe tuttora minaccioso il pericolo di uno scontro tra culture e religioni, la ricerca delle vie verso la pace diventa una sfida di primaria importanza per tutti coloro che si preoccupano dell’uomo. Noi tutti, appartenenti a culture e a religioni diverse, ci troviamo di fronte a sfide nuove e comuni suscitate dal contesto sociale e culturale. Il crescente pluralismo, i rapidi cambiamenti strutturali, le veloci innovazioni tecniche, la globalizzazione dell’economia, la mobilità di popoli e, quindi, di civiltà e di appartenenze religiose, incidono sempre di più sulla vita delle persone, delle famiglie e delle nazioni in ogni parte della terra. Il fenomeno della multiculturalità di una società sempre più multietnica, porta con sé indiscutibili vantaggi, ma anche nuove preoccupazioni. A ciò aggiungiamo un crescente secolarismo, e nel mondo occidentale la dimenticanza di Dio, un oblio che si diffonde e tende sempre più ad appiattire su un’unica dimensione l’interpretazione dell’esistenza.
Viviamo un momento di transizione culturale e religiosa, fonte di rapide e complesse interazioni tra i soggetti e di evoluzioni impreviste, magari talvolta contrastanti tra di loro, con effetti preoccupanti per la convivenza pacifica. In ogni popolo, il senso della specifica identità, l’appartenenza alla propria religione e cultura sono fattori potentissimi di trasformazione del «sistema di sistemi» sociali, culturali e religiosi. Di fronte a questa pluralità è necessario individuare percorsi di discernimento in cui l’acume dello sguardo e dell’osservazione sappia riconoscere luci e ombre della convivenza, nel rispetto delle differenze, e si orienti tra di esse, in un mutato tessuto religioso, culturale e sociale.
È necessario, in un tale contesto, decidere se vivere le diversità come risorsa o come perdita, come conflitto o come arricchimento reciproco, nel rispetto, senza retoriche ideologiche e senza scorciatoie, ma nella comune ricerca di un dialogo leale e fraterno, disinteressato e obbiettivo, senza infingimenti né rivalità, né inganni e né tradimenti, nell’incontro tra culture diverse e tra fedeli di differenti religioni, liberi da pregiudizi e da sospetti. Di fatto diventa sempre più evidente, quanto urgentemente il mondo abbia bisogno del dialogo tra fede e ragione, con pensatori capaci di tradurre le convinzioni cifrate della fede cristiana e delle diverse religioni, nel linguaggio del mondo secolarizzato.
Il nostro impegno è dunque di dare forza al dialogo sui valori comuni, nella convivialità delle differenze, all’interno delle nostre società, in modo particolare per favorire la convivenza pacifica e lo sviluppo solidale. Il dialogo interculturale e interreligioso gioca un ruolo decisivo per prevenire conflitti e opporsi all’estremismo e alle varie forme di intolleranza. Ogni religione, nel cuore di ogni civiltà, è un appello a testimoniare il valore della verità, della libertà, della dignità della persona, senza negare la specificità dell’altro. In tal modo, il dialogo si nutre di identità trasparenti e convinte — infatti il cammino del dialogo interreligioso non è facile e non è neppure un esercizio di ambiguità e confusione — ed è sostenuto da persone aperte e disponibili a scoprirsi più vicine nella condivisione. Il futuro, da costruire insieme, ha bisogno di personalità dalle chiare convinzioni per essere una vera civiltà del convivere, che si nutre di saldi principi e di pazienza costruttiva.
Viviamo, oggi, insieme, fianco a fianco, con tante persone diverse per provenienza, cultura e religione. Perciò è necessario il dialogo, per non essere mai più gli uni contro gli altri, come gridava Paolo VI all’Onu, il 4 ottobre 1965, ma sempre gli uni con gli altri e per gli altri. Un programma semplice e insieme arduo da realizzare, contro ogni minaccia di conflitti, scontri e ferite alla pace. Perciò è importante mostrare quotidianamente la bellezza del vivere insieme, cioè della pace, che non teme la sfida delle diversità. Oltre le diversità nazionali e religiose, culturali e sociali, sappiamo aprirci agli altri, con l’audacia di proporre dei punti di appoggio e costruire, così, un nuovo umanesimo, un umanesimo integrale e solidale, un umanesimo plenario, come ci viene indicato nell’enciclica Populorum progressio di Paolo VI. Se è vero, purtroppo, che tanti possono fare la guerra, è altrettanto vero che molti di più possono costruire la pace, nella giusta convivenza tra persone di fede e culture diverse. Così, testimoniamo che le differenze non sono motivo di scontro, ma realtà da apprezzare e da far fruttificare per un mondo migliore.
Il dialogo, dunque, è una risposta seria e impegnativa e una grande sfida dei nostri giorni, una proposta grande per tutti, ma in particolare per i giovani, che, purtroppo, qualche volta sono irretiti nell’intolleranza e nella violenza, schiacciati dal pregiudizio e incerti sul loro futuro. Apriamo scuole di gioia per scoprire le meraviglie dell’amicizia e del pacifico scambio tra civiltà, scuole per insegnare a percorrere la via della bellezza, per scacciare la paura e aprire il cuore, per vivere in pace in un mondo più umano per tutti. Con forza il Papa Benedetto XVI, che ho avuto l’onore di accompagnare in Turchia, dichiarava con il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, dopo la divina liturgia celebrata nella cattedrale del Fanar, il 30 novembre 2006: «Innanzitutto, vogliamo affermare che l’uccisione di innocenti nel nome di Dio è un’offesa a Lui e alla dignità umana. Tutti dobbiamo impegnarci per un rinnovato servizio all’uomo e per la difesa della vita umana, di ogni vita umana». Lo dicevo fiducioso ai fratelli musulmani nel mio messaggio per la fine del Ramadan, il 20 ottobre 2006, abbiamo assolutamente bisogno di un «dialogo fiducioso per superare insieme le sfide del nostro mondo», la violenza in particolare, e per la sinergia tra fede e ragione, tra religione e libertà, in un convivio della ragione e del cuore. Tale dialogo permette agli uomini di diverse religioni e culture di conoscersi meglio e di rispettarsi reciprocamente, al servizio delle aspirazioni più nobili dell’uomo, alla ricerca di Dio e della felicità. Il riconoscimento del ruolo positivo che svolgono le religioni e le civiltà in seno al corpo sociale spinge le nostre società ad approfondire sempre di più la loro conoscenza dell’uomo e a rispettarne sempre meglio la dignità, ponendolo al centro dell’azione politica, economica, culturale e sociale. Tutti gli uomini sono profondamente solidali e, nelle loro differenze storiche e culturali, appellano, non a scontrarsi, ma a rispettarsi reciprocamente.
I popoli — all’interno delle rispettive religioni — possono così avvicinarsi al mistero più grande, che è il mistero di Dio. Il riconoscimento e il rispetto della legge naturale, impressa nel cuore di ogni persona, pertanto costituiscono anche oggi la grande base per il dialogo tra i credenti delle diverse religioni e tra i credenti e gli stessi non credenti. È questo un grande punto di incontro e, quindi, un fondamentale presupposto per un’autentica pace.
Infatti, solo su una base di valori, che hanno fondamentalmente una comune origine, le religioni e le culture possono vivere in una fecondazione reciproca, progettare il futuro delle giovani generazioni a partire dalla storia e dalle proprie radici, senza dimenticare le tradizioni dei diversi popoli e delle loro culture. Allora, ogni iniziativa d’incontro, di scambio e di conoscenza reciproca diventa preziosa per l’integrazione sociale e religiosa delle persone di diverse culture presenti nella nostra società e, oltre a fornire conoscenze e allargare gli orizzonti del sapere, getta le fondamenta per un rapporto pacifico e positivo tra sfere geografiche e culturali differenti. E gli strumenti politici, sociali, le istituzioni religiose e culturali sono al servizio di questo bene comune.
L'Osservatore Romano, 21 marzo 2013.