domenica 24 marzo 2013

Voci diverse di una sola Chiesa



Riporto da "La Stampa" di oggi, 24 marzo 2013
a firma di Enzo Bianchi
 L’ incontro nel palazzo papale di Castel Gandolfo tra il vescovo di Roma Francesco e colui che lo ha preceduto in quel ministero costituisce per molti una grande tentazione. Fare paragoni o immaginare il contenuto del loro dialogo. Certo, la situazione è inedita, ma da decenni nella Chiesa cattolica il vescovo emerito di una diocesi incontra il suo successore e i mutamenti di stile, gli accenti diversi nell’insegnamento, gli atteggiamenti e le ottiche differenti sono sotto gli occhi di tutti, così come le diversità che caratterizzano ogni persona, sempre unica e irripetibile nel volto e nella parola.
Francesco e Benedetto XVI si sono incontrati e si sono abbracciati per affermare e manifestare ciò che è veramente essenziale: la comunione e l’amore per la stessa Chiesa, nella fede dell’unico Signore, Gesù Cristo. Nessun passaggio di testimone, in verità, perché il mandato di Papa Francesco viene, per chi ha fede, dal Signore e, comunque, attraverso una designazione fatta dal collegio cardinalizio della Chiesa di Roma. Nella Chiesa non c’è successione come nelle monarchie mondane: chi pone un cristiano come vescovo per governare una chiesa non è colui che ha governato prima, bensì lo Spirito santo. Tra chi è stato Papa, il vescovo emerito di Roma Ratzinger, e papa Francesco non c’è nessun debito se non quello dell’amore reciproco che esiste nella Chiesa tra fratelli e sorelle.

Troppe ambiguità nel linguaggio di questi giorni, troppe nostalgie e ormai anche contrapposizioni. Purtroppo – come avevamo già visto in occasione dei primi passi di Giovanni Paolo II e poi di quelli di Benedetto XVI – anche troppe adulazioni per il nuovo Papa e critiche per quello precedente, che pur era sempre stato lodato dalle medesime persone con una cortigianeria e a volte con un «sequestro» che tendeva a fare del Papa una bandiera della propria parte: atteggiamenti che rivelano come, soprattutto nel nostro Paese, il riciclarsi sia un vizio antico e squallido. La continuità nella fede e nel servizio alla comunione sono assolutamente necessarie per un Papa, ma poi lasciamo che ci sia differenza nella modalità di attuazione, anche per mostrare che la comunione cattolica è sempre plurale e non significa mai uniformità.
Negli ultimi mesi Benedetto XVI aveva denunciato quelli che non ammettono diversità nella chiesa: ora vediamo in atto questa differenza anche nella forma assunta dal ministero petrino. Giovanni Paolo II non aveva forse affermato già nell’enciclica Ut unum sint del 1995 che la forma dell’esercizio del ministero petrino può e deve anche cambiare in vista dell’unità dei cristiani? È vero, la forma con cui papa Francesco svolge il suo ministero in questo inizio di papato è diversa nelle parole con cui si rivolge alla Chiesa e alle altre Chiese, è diversa nel modo in cui celebra l’unica liturgia della chiesa romana, è diversa nella direzione delle sue preoccupazioni e delle sue sollecitudini... Ma questo perché la Chiesa è diversa ed è sparsa su tutta la Terra, abita in culture differenti, sente battere il cuore del popolo di Dio con timbri diversi.

Ecco allora in Francesco papa, come prima in Benedetto XVI, lo stesso servizio reso al Vangelo, ma reso con linguaggi e espressioni diverse, come è accaduto per i quattro evangelisti che hanno annunciato l’unica buona notizia rivolgendosi a chiese diverse con accenti e tonalità diverse: un unico Cristo ma quattro ritratti diversi, un unico destinatario del vangelo – l’umanità – ma Luca sente in Gesù un’opzione preferenziale per i poveri e un accento particolare sulla misericordia, mentre Matteo coglie maggiormente l’orizzonte dell’insegnamento e del compimento della Legge- Torah, Marco sottolinea tutto lo spessore umanissimo del Figlio dell’Uomo e Giovanni preferisce leggere tutta la vicenda di Gesù come storia e gloria dell’Amore... Se i quattro evangelisti sono così diversi, non potrebbero esserlo anche i vescovi e dunque anche quello di Roma, successore non di un evangelista ma dell’apostolo Pietro? Una sola è la fede, uno solo è il battesimo, uno solo è il Signore, ricorda san Paolo che poi parla a più riprese di diversità di doni, di servizi, di azioni: così è nella Chiesa.
Papa Francesco è altro e diverso da Benedetto XVI e chi come me ha amato Benedetto XVI – che in diverse occasioni mi ha anche manifestato la sua attenzione e il suo affetto, fino a chiamarmi due volte come esperto al sinodo dei vescovi – ora è certamente contento di papa Francesco, del suo slancio per l’ecumenismo e il dialogo tra le culture, della sua postura di uomo tra gli uomini, della sua scelta preferenziale per i poveri e i peccatori, a immagine di Gesù che li frequentava, li andava a cercare e li riteneva primi clienti di diritto della buona notizia. Come ci sono stati alcuni gesti di Benedetto XVI ai quali abbiamo obbedito «anche a prezzo di fatica di sofferenza e di non piena comprensione di ciò che ci vien chiesto autorevolmente e che non contraddice il Vangelo», così scrivevo e così faremo anche con Papa Francesco.

Già alcuni lo accusano di «eresia bonaria», di «pauperismo», di troppa tenerezza... Ma papa Francesco lo sa e non ha bisogno che nessuno glielo ricordi perché la sua lunga vita è stata una testimonianza alla verità del Vangelo a caro prezzo: «Guai a voi, se tutti dicono bene di voi!», ha detto Gesù. Papa Francesco sa quanto è amaro sentire un coro unanime di lodi: se avviene è perché c’è adulazione, servilismo e, soprattutto, volontà di sequestrare dalla propria parte e per i propri interessi l’autorità, in questo caso il Papa stesso. Forse è per questo che Francesco continua a ripetere a tutti, ai cardinali come ai netturbini: «Pregate per me!». Chi ha avuto tra i «grandi maestri» anche semplici e povere donne di cui si è messo all’ascolto, chi ha lavato i piedi sporchi dei bambini di strada o dei tossicodipendenti, chi ha osato guardare prostitute e carcerati vedendo nei loro occhi il Signore, non ha paura degli insulti, delle critiche o delle calunnie... Al metropolita ortodosso Ilarione che gli diceva «I suoi primi passi colpiscono per l’umiltà», papa Francesco ha risposto: «No, non sono umile: pregate che lo diventi!».

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INCONTRO DI CASTEL GANDOLFO: QUELLO CHE I MEDIA NON VEDONO


Non è cosa di tutti i giorni vedere due papi conversare, pregare e pranzare fraternamente assieme. Anzi, è decisamente un evento unico, anche se solo uno dei due è il pontefice in carica (l’altro lo è stato ed ora è emerito).
Ma soprattutto non è consueto vedere un’unità così profonda ed è quasi impossibile trovare due uomini che – chiamati a un altissimo ministero – hanno vissuto e vivono questa responsabilità concependosi davvero come “servi” e mettendo se stessi totalmente in secondo piano rispetto a Colui che amano, a cui la Chiesa appartiene (“la Chiesa non è nostra, ma è di Cristo”: è una delle ultime frasi che ci ha lasciato papa Benedetto spiegando la sua rinuncia).
Tuttavia è prevedibile che l’avvenimento di Castel Gandolfo fra Benedetto XVI e papa Francesco rinfocolerà le chiacchiere dei media e lo strologamento su presunti dossier segreti – non è il caso di dire “papelli” – che sarebbero stati consegnati dall’uno all’altro (anche se c’è una smentita ufficiale).
Sui media ben pochi coglieranno la dimensione spirituale di due uomini di Dio che vivono questa particolarissima vicenda. E preferiranno tuffarsi piuttosto sul contorno: le questioni curiali, il rapporto della commissione di tre cardinali sui retroscena di Vatileaks, la coabitazione in Vaticano, le nomine….
I media sono così. Cristiani assolutamente no. Ma clericali sì (e tanto). Sono ostili (di solito) al cattolicesimo e alla Chiesa, ma vanno matti per la Curia e per le chiacchiere di e sulla Curia.
Lo ha dimostrato in queste settimane l’oceanica quantità di articoli e pagine e trasmissioni dedicate alle dimissioni di Benedetto XVI, all’elezione del suo successore e a tutti i presunti retroscena e a ogni immaginabile insinuazione o pettegolezzo o banalità spacciata per scoop.
Tutto questo fiume d’inchiostro non significa attenzione alla Chiesa. Infatti i media sono pressoché indifferenti a ciò che i papi insegnano e vivono, ai contenuti spirituali veri, e soprattutto a quello straordinario mondo sommerso, fuori dai riflettori, che sono le comunità cristiane, dove quell’insegnamento è accolto, dove si sperimenta la fede e l’amicizia di Gesù Cristo spesso in una quotidiana dimensione di santità.
Sono le curie che interessano ai media, non i cristiani (e neanche i santi). Come diceva Charles Péguy le “curie clericali” e le “curie anticlericali” si trovano sempre accomunati dal loro orizzonte, che infine è un orizzonte politico e di potere.
Paradossalmente fra coloro che si possono definire “non clericali” ci sono proprio Joseph Ratzinger e Jorge M. Bergoglio.
Tutta la loro vita dimostra un profondo e assoluto disinteresse per le curie, per il potere, per i ruoli. E il loro desiderio di “servire” la salvezza e la felicità di tutti gli uomini.
Nelle luminose catechesi e omelie di Benedetto XVI c’è – espresso meravigliosamente – il “segreto” di questi due uomini di Dio.
Ricordo due flash degli ultimi mesi: “non porre l’io al posto di Dio” (è esattamente quello che ripete papa Bergoglio quando denuncia la “mondanità” dentro la Chiesa e l’autoreferenzialtà).
E poi il discorso di Benedetto XVI per la festa dell’Immacolata, nel dicembre scorso. Rileggere oggi quelle sue parole è sorprendente, perché sembrano la più perfetta interpretazione di tutti i gesti che in questi giorni ha compiuto papa Francesco commuovendo il mondo.
Papa Benedetto – pensando a Maria, la più umile e la più alta delle creature – pose al centro dell’attenzione proprio i poveri di Dio, tutti coloro che sono nella prova o ai margini della società o si sentono inascoltati e irrilevanti nella storia perché non stanno sotto i riflettori dei media.
Il Santo Padre sottolineò che quel momento decisivo per il destino dell’umanità, il momento in cui Dio si fece uomo, è avvolto da un grande silenzio. L’incontro tra il messaggero divino e la Vergine Immacolata passa del tutto inosservato: nessuno sa, nessuno ne parla. E’ un avvenimento che, se accadesse ai nostri tempi, non lascerebbe traccia nei giornali e nelle riviste, perché è un mistero che accade nel silenzio. Ciò che è veramente grande passa spesso inosservato”.
Poi aggiunse:
la salvezza del mondo non è opera dell’uomo – della scienza, della tecnica, dell’ideologia – ma viene dalla Grazia… Maria è chiamata la ‘piena di grazia’ (Lc 1,28) e con questa sua identità ci ricorda il primato di Dio nella nostra vita e nella storia del mondo, ci ricorda che la potenza d’amore di Dio è più forte del male”.
Papa Benedetto aggiunse un’altra perla, che coincide con l’Angelus di papa Francesco su Dio che perdona tutto e perdona sempre:
“Maria ci dice che, per quanto l’uomo possa cadere in basso, non è mai troppo in basso per Dio, il quale è disceso fino agli inferi… per quanto il nostro cuore sia sviato”, aggiunse Ratzinger, “Dio è sempre più grande del nostro cuore (1 Gv 3,20). Il soffio mite della Grazia può disperdere le nubi più nere, può rendere la vita bella e ricca di significato anche nelle situazioni più disumane”.
Il giorno dopo – era una domenica – all’Angelus papa Benedetto tornò a parlare del “vero grande avvenimento, la nascita di Cristo, che i contemporanei non noteranno neppure”. E disse: “Per Dio i grandi della storia fanno da cornice ai piccoli!”.  
Sembra quasi che papa Francesco voglia mostrare ogni giorno quanto è vero quello che papa Benedetto ha annunciato all’umanità.
Del resto papa Francesco, parlando ai diplomatici, pochi giorni fa, ha richiamato esplicitamente la condanna della “dittatura del relativismo” fatta dal predecessore (ed è significativo che molte cronache dei giornali non lo abbiano sottolineato).
Appare dunque evidente l’unità profonda di questi due uomini. Peraltro anche le esortazioni di papa Francesco trovano un esempio meraviglioso nella vita di Benedetto.
La stessa sua rinuncia al pontificato mostra un distacco veramente francescano dalla cose terrene, è l’esempio di umiltà che si può indicare e seguire se si ascolta l’invito di papa Francesco a fuggire la “mondanità spirituale”.
Infatti entrambi questi uomini di Dio hanno individuato nella figura del santo di Assisi la via per la Chiesa di un futuro luminoso. Ratzinger in un libro di molti anni fa scrisse:
“Nella Chiesa del tempo ultimo si imporrà il modo di vivere di san Francesco che, in qualità di ‘simplex’ e ‘illitteratus’, sapeva di Dio più cose di tutti i dotti del suo tempo poiché egli lo amava di più”.
Ed ecco infatti il pontificato di papa Francesco.
Due uomini con storie e temperamenti diversi quanto un pianoforte è diverso da un violino, ma suonano proprio la stessa bellissima opera e l’una voce insieme all’altra creano un’armonia perfetta, che incanta.
Come l’icona della “Madonna dell’umiltà” che il papa ha donato a Ratzinger e che abbraccia insieme questi due figli, prediletti testimoni di Cristo e suoi Vicari nel nostro tempo.

Antonio Socci

Da “Libero”, 24 marzo 2013