sabato 30 marzo 2013

La Notte in cui Cristo ha distrutto la morte

 


Durante la Veglia il cardinale Scola ha conferito i Sacramenti dell’Iniziazione cristiana (Battesimo, Cresima, Eucaristia) a 14 catecumeni adulti di età compresa tra i 20 e i 46 anni: 5 italiani e 9 stranieri.
La Veglia è iniziata con la Cattedrale totalmente immersa nel buio: all’esterno del Duomo, davanti alle porte centrali, l’Arcivescovo - insieme ai 14 catecumeni - rivolto verso oriente ha introdotto la celebrazione con l’invocazione «O Dio, viene a salvarmi» e ha acceso il cero pasquale.
In processione poi ha raggiunto l’altare maggiore.
Dopo il canto del Preconio pasquale ambrosiano (antichissimo testo in uso a Milano dal V secolo) si sono susseguite sei letture dall'Antico Testamento fino a giungere al solenne annuncio della Risurrezione di Cristo che il cardinale Scola ha ripetuto tre volte da tre lati differenti dell’Altare, mentre le campane del Duomo e della città hanno ripreso a suonare festosamente dopo il silenzio iniziato ieri con la Celebrazione della morte del Signore del venerdì Santo.
Dopo le tre letture tratte dal Nuovo Testamento e l’omelia, il cardinale Scola ha amministrato ai 14 catecumeni il Sacramento del Battesimo e della Cresima.
La Veglia è proseguita con la liturgia eucaristica durante la quale per la prima volta i catecumeni hanno ricevuto la Comunione.
Di seguito il testo dell'omelia del cardinal Scola.



Arcidiocesi di Milano


Veglia Pasquale

Gn 1,1-2,3a; Gn 22,1-19; Es 12,1-11; Es 13,18b – 14,8; Is 54,17c – 55,11; Is 1,16-19;
At 2,22-28; Rm 1, 1-7; Mt 28,1-7

Duomo di Milano, 30 marzo 2013


Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano



1. Colmi di gioia
«Esultino i cori degli angeli, esulti l’assemblea celeste… Si ridesti di gioia la terra… Gioisca la Chiesa». Così il canto dell’Exultet. E San Pietro, nel primo annuncio della resurrezione agli «uomini di Israele», ci ha ricordato: «Si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua… Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza» (LetturaAt 2,26.28). Con Gesù queste parole di Davide sono diventate esperienza accessibile a tutti gli uomini.

2. L’annuncio più sorprendente: Cristo è risorto!
L’ascolto prolungato della Parola di Dio ha rievocato come, fin dalle sue origini nell’antica Alleanza, la festa di Pasqua celebra un passaggio (questo è il significato etimologico della parola Pasqua) dalla disperazione alla speranza, perché è un passaggio dalla schiavitù alla libertà; dal dolore alla gioia; dalla superficialità dissipata e scettica che non si aspetta più nulla alla costruttiva consapevolezza.
Carissimi, oggi, ancora una volta noi facciamo memoria di questo passaggio compiuto dalla potenza misericordiosa del nostro Dio. Grazie ai nostri fratelli che tra poco riceveranno i sacramenti dell’iniziazione cristiana siamo resi protagonisti – come Maria di Magdala e l’altra Maria, come Pietro e gli altri discepoli – dell’evento oggettivamente più importante della storia.
Oggi, infatti, da ogni pulpito della terra, la Chiesa grida al mondo l’annuncio più sorprendente, più consolante, più capace di rinnovare la storia: «Christus Dominus resurrexit, Cristo Signore è risorto». Questo annuncio avvera, con una pienezza che sorpassa l’attesa, le speranze dei padri e dei profeti, come quelle di tutti i popoli: «Per questo mistero, con il cuore traboccante di gioia, esultano gli uomini di tutta la terra» (Prefazio).

3. Voi non abbiate paura! Non lasciatevi rubare la speranza
«Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto» (VangeloMt 28,5-6).
Qual è, ultimamente, il significato di ogni traguardo che scienza e tecnica, audacemente, spostano sempre più avanti? Sconfiggere la paura della morte, con tutti le sue anticipazioni (la malattia e la miseria, l’ingiustizia dentro e fuori di noi…). Quella paura che ci fa vivere da schiavi. Ebbene, la fede in Gesù risorto ci libera dal terrore della morte.
«O uomini … che paura avevate di morire? Ecco, muoio io; ecco, patisco io; ecco, quel che temevate non temetelo più, perché io vi faccio vedere quel che dovete sperare» (Agostino, Sermo 229/H, 1.3). Dalla misericordia, che è Gesù stesso, sgorga la speranza. Papa Francesco non si stanca di richiamarcelo nel sorprendente inizio del suo ministero petrino: «Noi seguiamo Gesù, ma soprattutto sappiamo che Lui ci accompagna e ci carica sulle sue spalle: qui sta la nostra gioia, la speranza che dobbiamo portare nel mondo. E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù» (Papa Francesco, Omelia della Domenica delle Palme, 24 marzo 2013).

4. La formula della risurrezione
«Per Adamo siamo nati alla morte; ora, generati dall’acqua e dallo Spirito Santo, per Cristo rinasciamo alla vita. … Cristo, nostro agnello pasquale, / viene immolato per noi. / Il suo corpo è nutrimento vitale, / il suo sangue è inebriante bevanda; / l'unico sangue che non contamina, / ma dona salvezza immortale a chi lo riceve» (Preconio). Nella nostra Diocesi centodiciotto catecumeni di ventisette paesi del mondo ricevono questa notte la vita nuova che è vita per sempre. Il Canto del Preconio ci ha detto che nell’acqua del Battesimo «si immerge il Maligno e vi affoga», mentre in tutti noi si fa strada la consapevolezza grata di essere liberati dalla colpa. Siamo figli nel Figlio. «“Io, ma non più io” – ci disse Papa Benedetto – è questa la formula dell’esistenza cristiana fondata nel Battesimo, la formula della risurrezione dentro al tempo. Io, ma non più io: se viviamo in questo modo, trasformiamo il mondo» (Benedetto XVI, Veglia Pasquale 2006).

5. La grazia di essere apostoli
Infatti anche noi, come San Paolo, «abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti» (EpistolaRm 1,5).
«Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “è risorto dai morti, ed ecco vi precede in Galilea; là lo vedrete» (VangeloMt 28,7). Galilea è il luogo del primo incontro, il luogo dell’inizio. Questo invito diventa per noi l’impegno negli ambiti dove si svolge la nostra vita quotidiana. È proprio lì che il Signore ci viene incontro e si manifesta vivo e presente. Chi incontra veramente il Risorto nel quotidiano della propria esistenza ne diviene inevitabilmente testimone.
Siamo parte di una catena ininterrotta di testimoni. La testimonianza è un dono inarrestabile che chiede a sua volta di essere donato.

6. Rallegrati
«Regina del cielo godi e rallegrati, perché Colui che hai portato nel seno è veramente risorto». Così nel tempo pasquale la Chiesa ci farà pregare la Madonna.
Carissimi, a partire da questa Veglia, madre di tutte le veglie, questo invito è rivolto a ciascuno di noi, perché ce ne facciamo eco a favore di tutti. Amen.



* * *

Una tomba. Un corpo esanime, colpito, deturpato, che ha perduto anche le sembianze umane. Un corpo schiacciato da ogni peccato - proviamo a contarli... - di ogni uomo, dall'inizio alla fine del mondo. Un cadavere, trafitto, tradito. Una morte ingiusta, una sentenza iniqua, l'ingiustizia trionfante. Una tomba, simulacro d'ogni nostra tomba, d'ogni ingiustizia, quelle che abbiamo subito, quelle che abbiamo inferto. Una tomba, e una pietra dove s'infrangono speranze, desideri, progetti. Una pietra a spegnere la vita. E la domanda, il sibilo sinistro del dubbio, dell'angoscia, dello struggimento. Perché? E' la parola che bussa, prepotente, alle soglie di questa Notte, la Notte delle Notti.

Scartabelliamo tra i ricordi, frughiamo nelle possibilità, cerchiamo risposte umane e divine e ci ritroviamo al punto di partenza. Non v'è risposta. La morte, qualunque morte, non ha risposta. In quel corpo senza vita ci sembra che si riuniscano tutte le angosce, i fallimenti, le paure, tutte le morti di questo mondo. Soprattutto, come in uno specchio, incontriamo i nostri cuori aggrappati alla vita eppure gravidi di terrore. Gli errori, i peccati, le distrazioni, la superficialità, le fughe.
E' Sabato Santo oggi, e la Chiesa tace. Per l'unico giorno dell'anno. E' il silenzio del sepolcro. Il nostro silenzio, attonito e stordito. Siamo proni oggi, dinanzi a una lapide. Stanchi anche di cercare risposte, stanchi forse, anche di sperare. Siamo, oggi, sepolti anche noi nella terra, in questo mondo che ha voltato le spalle a Dio. Ne gustiamo l'amarezza, il vuoto terribile d'una tomba oscura, chiusa dietro ad una pietra.
Siamo qui, lacrime e solitudine. Nulla possiamo fare, nulla possiamo dire, se non uno sguardo interrogante a fissare quella pietra. Pesante. Massiccia. Irremovibile.
Ma nel silenzio ecco risuonarci un'altra domanda, come un grido a spezzare le sbarre della disperazione. "Chi ci rotolerà la pietra?". Un briciolo di speranza, un granello sfuggito alla devastazione della morte. Siamo distrutti, provati, senza forza alcuna, eppure quella pietra sembra fissarci, e sfidarci.
E' lungo questo sabato, per alcuni dura una vita. E' stretto e angusto, e ci accorgiamo, nel silenzio e nell'angoscia, che non è per questo sabato che siamo venuti al mondo. Per lo meno, non solo per questo sabato. Il "perché?" ripetuto all'infinito ci sgorga da dentro, sbatte sulla pietra e ci rimbalza contro. Qualcosa non quadra. L'amore, le nozze, lo studio, il lavoro, i giochi, le vacanze, gli amici, le gravidanze, i parti, le gioie e i dolori che percorrono le nostre vite non riescono proprio ad adeguarsi a questo sabato. No, non può essere definitivo.
Sì, ora sembra guardarci quella pietra, sembra chiamarci. Gli occhi umidi e stanchi di troppe lacrime non possono sbagliarsi. Ci attira, ci seduce, ci desidera. E' una pietra, ma sembra viva, ora. Albeggia, guardiamo in su, ed è apparsa la stella del mattino, il segno che sta scivolando via questo sabato! Allora era vero, non siamo nati per spegnerci in una notte.
C'è una luce strana ora, mai vista. Fissiamo meglio, e la pietra dov'è? Ma sì, certo che era viva, s'è mossa infatti, rotolata via. E la tomba è spalancata, luminosa. Ci accostiamo, è vuota. Le bende, il sudario, gli abiti della morte son lì, ripiegati, come una pagina del passato, ma Lui, e tutti noi sepolti nella tristezza e nell'angoscia, dove siamo? Dov'è Lui? Dov'è la morte?
Una voce, qualcuno, qualcosa ci sussurra parole strane: "Non è qui, è risorto! Andate in Galilea, là lo vedrete!". Che vuol dire tutto questo, che significa? Sorpresi, stonati come pugili al tappeto, una gioia straripante mista a dubbi che ci tempestano il cuore, e quella domanda che ritorna prepotente, quel "perché?" che neanche ora ci abbandona.
Ma quelle parole - "E' risorto! Non è qui!" - ci hanno sconvolto, afferrato, e non ci lasciano. Che fare ora che il sabato è volato via, che questa luce infinita ci avvolge e ci sospinge? "In Galilea!". Ecco che fare, andare in Galilea. E dov'è la Galilea, e che cos'è la Galilea? Ma sì, certo, è lì dove Lui ci ha incontrati. E' lì dove è venuto a cercarci. Dove ci ha perdonati, chiamati, amati. E' la nostra vita, la nostra povera storia di tutti i giorni, di tutte le ore. E' esattamente il luogo dove ci ha sorpreso la morte, dove avevamo smarrito speranze e risposte. La Galilea è lì dove il "perché?" non ha smesso un secondo di risuonarci dentro. In Galilea è la risposta. La Galilea è dove Cristo, risuscitato e vittorioso sulla morte e sul peccato, ci ha dato appuntamento.
La risposta è Lui dunque, una persona viva. Un amore vivo. La risposta, l'unica, che non appartiene a nessun criterio, a nessuna intelligenza, la risposta nascosta perfino agli angeli, è uno sguardo d'amore e di compassione. Lo sguardo di Cristo risuscitato dai morti che colma ogni vuoto, lenisce ogni ferita, asciuga ogni lacrima. Lo sguardo di Cristo che attraversa spazio e tempo e incontra, in questa Pasqua, il nostro sguardo impaurito, proprio dove siamo.
La risposta non è una risposta, è Cristo. La risposta si guarda, molto prima di pensarla e capirla. E' in questa notte, è per gli occhi di chi, dopo aver tanto sentito parlare di Lui, finalmente lo guardano. Lo fissano. E ne restano trafitti. La risposta è sperimentare, oggi, e ogni istante, il suo amore infinito, l'unico capace di rotolare la pietra del dolore e del peccato e cancellare, dal cuore, il "perché?" che ci uccide. Il Suo amore, misterioso, eppure così vero, reale, concreto, infinito, eterno. Il Suo amore, la Vita eterna per la quale siamo nati, come un fiume in piena ad irrigare e trasformare ogni centimetro della nostra esistenza, sino alle sue periferie, quelle tanto care al nostro Papa Francesco. La Galilea è la periferia del nostro cuore, della nostra storia, dell'umanità. Vivere e sperimentare la Pasqua è allora, semplicemente, lasciarci raggiungere, sorpassare, amare e coinvolgere da Gesù risorto nelle periferie della nostra vita, di quelle di chi ci è accanto o  che incontreremo domani. Le periferie che visitate dal Signore risorto in questa Notte Santa son divenute il centro della storia, il cuore di Dio; il luogo dove accogliere, vivere, annunciare e donare il suo amore più forte della morte, nel Giorno che non conosce tramonto, quello che ci accoglie per non abbandonarci mai più. 
Che Dio ci conceda l'incontro con questo amore, in questa Notte Santa. Buona Pasqua. (d. A. Japicca)