domenica 24 marzo 2013

Romero, vivere la fede fino al dono di se stesso.





Di Fulvio De Giorgi
in “Avvenire” del 23 marzo 2013
Quest’anno il 24 marzo, giorno del ricordo del martirio di mons. Romero, viene durante l’inizio di
pontificato del primo papa latinoamericano. Che è poi anche il primo papa gesuita. Ma il martirio di
Romero, peraltro, richiama anche quello dei gesuiti salvadoregni: da Padre Rutilio Grande a Padre
Ellacuria e agli altri docenti, trucidati, dell’Università cattolica del Salvador.
C’è chi si è chiesto quale sarà il primo santo canonizzato da papa Francesco: qualcuno ha parlato,
appunto, di Romero, qualcuno ha ricordato padre Carlos de Dios Murias, torturato e ucciso dalla
dittatura militare argentina. In queste richieste vi è un’intuizione evangelica profonda: l’autenticità
della testimonianza del Vangelo si misura dall’amare senza limiti e dal dare la vita. Come Gesù
sulla croce: è la misura dell’Amore Crocifisso. Il mistero di Cristo: la morte in Croce del Figlio di
Dio.
In realtà si sa quale sarà la prima canonizzazione. L’ha decisa Benedetto XVI il giorno stesso e
durante il medesimo concistoro in cui ha annunciato la sua rinuncia all’esercizio del ministero
petrino: sarà, cioè, la canonizzazione degli ottocento Martiri di Otranto, uccisi nel XV secolo
durante l’avanzata ottomana in Occidente. Si tratta, pertanto, di martiri vittime della politica
‘imperialistica’ del loro tempo, che preferirono perdere la vita piuttosto che rinnegare la fede in
Gesù. Tra coloro che furono uccisi in quel tragico eccidio, vi fu pure il vescovo di Otranto: morto
sull’altare. Come Romero.
Naturalmente i martiri di Otranto non sono, oggi, un simbolo di anti-islamismo della Chiesa
cattolica, ma anzi di amore – mite, nonviolento e innocente – che testimonia la Croce. Sul sangue di
questi martiri, dunque, si vogliono costruire rapporti e legami di amore, di rispetto, di comprensione
e di pace: non di odio, di violenza e di guerra. È bene ricordare le parole che pronunciò Giovanni
Paolo II quando, nel 1980, si recò pellegrino ad Otranto: “Riuniti oggi qui, presso le tombe dei
Martiri di Otranto, […] in unione con questi Martiri, noi presentiamo al Dio Unico, al Dio Vivente,
al Padre di tutti gli uomini i problemi della pace in Medio Oriente ed anche il problema, che tanto ci
è caro, dell'avvicinamento e del vero dialogo con coloro ai quali ci unisce - nonostante le differenze
- la fede in un solo Dio, la fede ereditata da Abramo. Lo spirito di unità, di reciproco rispetto e di
intesa si dimostri più potente di ciò che divide e contrappone. […] Gerusalemme […] divenga il
punto d'incontro, verso cui continueranno a volgersi gli sguardi dei Cristiani, degli Ebrei e dei
Musulmani, come al proprio focolare comune; intorno a cui essi si sentiranno fratelli, nessuno
superiore, nessuno debitore agli altri; verso cui torneranno a dirigere i loro passi i pellegrini, seguaci
di Cristo, o fedeli della legge mosaica, o membri della comunità dell'Islam”.
La voce cristiana che si leva dal sangue dei martiri è sempre di amore fraterno: nessuno superiore,
nessuno debitore. Il centro è sempre il mistero di Cristo: il sangue versato per noi e per tutti.
E questo è stato anche l’insegnamento del Concilio Vaticano II: “Ciò si otterrà innanzi tutto con la
testimonianza di una fede viva e matura, vale a dire opportunamente educata alla capacità di
guardare in faccia con lucidità alle difficoltà per superarle. Di una fede simile hanno dato e danno
testimonianza sublime moltissimi martiri. Questa fede deve manifestare la sua fecondità, col
penetrare l’intera vita dei credenti, anche quella profana, col muoverli alla giustizia e all’amore
specialmente verso i bisognosi” (Gaudium et Spes, n. 21).
Nella sua spiritualità gesuitica e ignaziana, papa Francesco avrà certo tante volte pregato con le
parole della preghiera Anima di Cristo, che dice tra l’altro: “Corpo di Cristo, salvami. Sangue di
Cristo, inebriami. Acqua del costato di Cristo, lavami. Passione di Cristo, fortificami”. E aggiunge
pure: “Nelle tue piaghe, nascondimi”. La devozione al sangue di Cristo e alle sue Piaghe, forte nella
tradizione francescana, è giunta fino Bonaventura da Recanati, a Muratori, a Rosmini, a Roncalli. E,
da cristologica, è diventata pure ecclesiologica, dando la ‘forma cristica’ alla re-formatio Ecclesiae,


alla riforma continua della Chiesa: le piaghe, le Cinque Piaghe della Santa Chiesa.
E, nel suo primo discorso ai cardinali, papa Francesco ha affermato: “Io vorrei che tutti, dopo questi
giorni di grazia abbiamo il coraggio di camminare in presenza del Signore, con la Croce del
Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare
l’unica gloria: Cristo crocifisso. E la Chiesa andrà avanti”. 
Papa Francesco è stato eletto in Conclave il giorno del ricordo del martirio di Marianela Garcia
Villas, luminosa figura di cristiana impegnata per la difesa dei diritti umani, soprattutto dei poveri e
degli umili, per più versi legata alla memoria di mons. Romero. Ed ecco appunto che a Romero
ritorniamo, per ricordare le parole della sua quarta lettera pastorale: “alla base di tutto il nostro
lavoro vi è il mistero di Cristo che predichiamo […] Tanto più saremo Chiesa e potremo offrire
meglio il nostro contributo di Chiesa per la liberazione del nostro popolo, quanto più ci
identificheremo con Lui e saremo docili strumenti della Sua verità e grazia”. 
E proprio guardando al mistero d’amore di Gesù Crocifisso e vedendolo ‘identificato’ nel martirio
di mons. Romero, il Popolo di Dio riconosce già santo il vescovo salvadoregno. Aspettiamo
fiduciosi che papa Francesco lo canonizzi subito, come martire della fede e come modello chiaro e
forte per i cristiani del XXI secolo, sul passo degli ultimi.

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Su Mons Romero vedi anche in questo blog:

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