giovedì 28 marzo 2013

Messa "In Coena Domini". Omelia di Papa Francesco. Testo ufficiale e commenti.


 


Santa Messa "nella Cena del Signore" nell’Istituto penale per minori di Casal del Marmo in Roma. Omelia del Santo Padre (testo ufficiale)
Sala stampa Santa Sede

Alle ore 17 di oggi, Giovedì Santo, Papa Francesco ha lasciato il Vaticano per recasi all’Istituto Penale per Minori di Casal del Marmo dove, alle ore 17.30, ha celebrato la Santa Messa "nella Cena del Signore", inizio del Triduo Pasquale.
Hanno concelebrano con il Santo Padre il Cardinale Vicario Agostino Vallini, il Sostituto della Segreteria di Stato S.E. Mons. Giovanni Angelo Becciu, il Segretario Mons. Alfred Xuereb, il Cappellano dell’Istituto, P. Gaetano Greco, terziario cappuccino dell’Addolorata, con un confratello. Nella Cappella dedicata al "Padre Misericordioso" erano presenti circa 50 giovani fra cui 11 ragazze, tutti ospiti dell’Istituto di pena. Presenti anche rappresentanti delle diverse categorie del personale del penitenziario e volontari.
Il gesto della lavanda dei piedi è stato compiuto da Papa Francesco ed ha riguardato 12 giovani ospiti dell’Istituto penale, di diversa nazionalità e confessione religiosa, e tra questi due ragazze.
Al termine della Santa Messa, prima di rientrare in Vaticano, Papa Francesco ha incontra in palestra la Famiglia dell’Istituto, alla presenza, fra gli altri, del Ministro di Grazia e Giustizia, On. Paola Severino, del Capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile, Caterina Chinnici, del comandante della Polizia Penitenziaria di Casal del Marmo, Saulo Patrizi, e di Liana Giambartolomei, direttrice di Casal del Marmo. I ragazzi del penitenziario hanno donato al Papa un crocifisso in legno e un inginocchiatoio, anche questo in legno, realizzato da loro stessi nel laboratorio artigianale dell’Istituto.
Di seguito  il testo dell’omelia che il Santo Padre ha pronunciato nel corso della Santa Messa "nella Cena del Signore", dopo la lettura del Vangelo:

Questo è commovente. Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli. Pietro non capiva nulla, rifiutava. Ma Gesù gli ha spiegato. Gesù – Dio – ha fatto questo! E Lui stesso spiega ai discepoli: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come ho fatto io» (Gv 13,12-15). E’ l’esempio del Signore: Lui è il più importante e lava i piedi, perché fra noi quello che è il più alto deve essere al servizio degli altri. E questo è un simbolo, è un segno, no? Lavare i piedi è: "io sono al tuo servizio". E anche noi, fra noi, non è che dobbiamo lavare i piedi tutti i giorni l’uno all’altro, ma che cosa significa questo? Che dobbiamo aiutarci, l’un l’altro. A volte mi sono arrabbiato con uno, con un’altra … ma… lascia perdere, lascia perdere, e se ti chiede un favore, fatelo. Aiutarci l’un l’altro: questo Gesù ci insegna e questo è quello che io faccio, e lo faccio di cuore, perché è mio dovere. Come prete e come vescovo devo essere al vostro servizio. Ma è un dovere che mi viene dal cuore: lo amo. Amo questo e amo farlo perché il Signore così mi ha insegnato. Ma anche voi, aiutateci: aiutateci sempre. L’un l’altro. E così, aiutandoci, ci faremo del bene. Adesso faremo questa cerimonia di lavarci i piedi e pensiamo, ciascuno di noi pensi: "Io davvero sono disposta, sono disposto a servire, ad aiutare l’altro?". Pensiamo questo, soltanto. E pensiamo che questo segno è una carezza di Gesù, che fa Gesù, perché Gesù è venuto proprio per questo: per servire, per aiutarci.



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Il commento di padre Lombardi

Papa Francesco ha dato personalmente la comunione ai fedeli per la prima volta da quando è diventato Papa. Lo ha fatto durante la Messa "in Coena Domini" celebrata nel carcere minorile di Casal del Marmo a Roma. A riferirlo è il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, che ha incontrato i giornalisti al termine della Messa e della visita del Pontefice. 

Lombardi ha quindi specificato che alla Messa erano presenti fra le 100 e le 150 persone, tra cui i 49 detenuti, tutti ragazzi tra i 14 e i 21 anni, molti stranieri, i volontari che li assistono quotidianamente e il personale del carcere. Raccontando la celebrazione, Lombardi ha aggiunto: "È stata molto semplice e molto rapida, come fa sempre il Papa. "Il Pontefice - ha proseguito Lombardi - ha ringraziato tutti, in particolare i giovani e li ha incoraggiati a non farsi rubare la speranza". "Il Papa ha quindi baciato e abbracciato tutti i giovani dando loro un piccolo dono pasquale".

"Perchè sei venuto qui?", ha chiesto a Papa Francesco uno dei ragazzi detenuti. Risposta: "Perchè è qualcosa che mi è venuta dal cuore". È uno dei momenti più commoventi della visita del Papa avvenuta questo pomeriggio al carcere minorile di Casal del Marmo. Padre Federico Lombardi ha aggiunto: "È un pomeriggio per tutti noi molto emozionante e ce lo porteremo veramente nel cuore". "Il Santo Padre aveva desiderato celebrare la Messa del giovedì Santo in un luogo significativo per la carità, per l'esercizio dell'amore e del servizio e ha quindi deciso di venire qui".​

"Era molto appropriato che ci fossero anche dei musulmani e delle ragazze". Così, ancora, il direttore della sala stampa vaticana ha risposto a chi gli chiedeva se fosse stato giusto coinvolgere anche dei giovani musulmani nella celebrazione della Messa del giovedì Santo di Papa Francesco, nel carcere minorile di Casal del Marmo. "Il cappellano - ha proseguito Lombardi - ci aveva detto che tutte le attività all'interno del carcere vengono svolte tutti insieme, maschi e femmine, di tutte le religioni. Il Papa ha quindi ritenuto normale che alla Messa partecipassero tutti e che alla lavanda dei piedi fossero coinvolte anche delle ragazze". Lombardi ha infine ricordato che Bergoglio "lavava i piedi anche a Buenos Aires e oggi ha quindi continuato una usanza che osservava già in passato".

"Papa Francesco si è inginocchiato 6 volte per lavare baciare e i piedi dei ragazzi, che erano seduti due per volta. È stato un gesto commovente e impegnativo, un meraviglioso atto di servizio". Così padre Lombardi ha commentato il rito della lavanda dei piedi compiuto dal Pontefice nella Cappella del carcere minorile. In proposito Lombardi ha anche sottolineato che "il Papa lo ha fatto agevolmente, nonostante i 76 anni di età. Da parte loro - ha aggiunto - anche i ragazzi apparivano commossi". "C'erano un paio di musulmani e anche due ragazze. A Francesco hanno donato, ha detto, un crocifisso in legno e un inginocchiatoio, sempre in legno, realizzato da loro stessi nel laboratorio artigianale del carcere". ​


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 Di seguito alcuni stralci del capitolo “La Chiesa e il carcere”, tratto da, “La grande storia della carità”, di Francesco Agnoli, Ed. Cantagalli, in libreria tra una settimana (riprendo i tagli dal sito di Tempi).


Una delle sette “opere di carità corporale” presenti nella storia della Chiesa sin dalle origini è la visita ai carcerati. Proprio Gesù aveva insegnato ai suoi discepoli: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Matteo, 25-31).
Del resto Gesù stesso avrebbe patito la prigionia; come lui il primo capo degli apostoli, san Pietro (nel carcere Mamertino di Roma), e una fitta schiera di santi delle origini: san Basilide, oggi patrono del Corpo di polizia penitenziaria, san Peregrino, santa Felicita e santa Perpetua…
I primi segnali evidenti di questa concezione si hanno con il solito Costantino: l’imperatore che diede la libertà ai cristiani, che abolì la crocifissione e il marchio a fuoco per gli schiavi e contrastò i giochi gladiatori in nome del Dio cristiano, nel 320 d. C. si interessò agli schiavi e prescrisse un trattamento più umano per i prigionieri, imponendo l’alleggerimento delle catene e la possibilità per i prigionieri di qualche uscita all’aperto. Inoltre, al concilio di Nicea, introdusse la figura del “procuratore dei poveri”, che aveva il compito di dare assistenza giudiziaria ai più indigenti. Sua madre, santa Elena, fece liberare molti prigionieri condannati ad metalla o ad bestias…
Dopo Costantino, l’imperatore Valentiniano II stabilì l’amnistia, in tempo di Pasqua e di Natale, per i prigionieri rei di delitti non gravi. Intanto vescovi e sinodi invitavano i parroci a visitare periodicamente le carceri, per portare sollievo spirituale e materiale. Nei secoli nacquero varie confraternite dedite proprio al sollievo delle pene fisiche e psichiche dei carcerati e talora anche dei loro familiari. Nel 1198 venne fondato l’Ordine dei Fratelli della Redenzione dei prigionieri (o Fratelli Trinitari); nel 1218 l’Ordine della Beatissima Vergine Maria per la Redenzione dei prigionieri…
Ma fu soprattutto dopo il Concilio di Trento, e in particolare nella città pontificia di Roma, che l’attività in favore dei carcerati divenne notevole e diffusa. A partire dal XVI secolo, infatti, nella città santa “si assistette al sorgere di numerose associazioni laicali che, animate da un nuovo spirito caritativo, cercarono di soccorrere la multiforme umanità emarginata che popolava le città e le prigioni ecclesiali. Lo sviluppo del movimento confraternale, avviato dal Concilio di Trento, fu influenzato dalle nuove condizioni sociali ed economiche del periodo, ma anche dalla vivacità degli ordini religiosi e dal crescere di uno spirito religioso, congiunto con una nuova coscienza dei doveri sociali del cristiano. Le nuove confraternite ripresero la spiritualità di quelle medioevali, cercando però di adattarla ai nuovi bisogni della società: ai tradizionali compiti culturali si aggiunse una notevole operosità apostolica e caritativa e la tendenza ad assumersi direttamente alcuni compiti sociali, svolgendo talvolta una funzione di supplenza nei confronti del clero”. Così a Viterbo, nel 1541, “la preesistente Confraternita di S. Leonardo fu trasformata in una società di beneficenza per il soccorso dei detenuti. In quel periodo, le spese per la conduzione del carcere erano erogate direttamente dai reclusi; coloro che non riuscivano a pagare la tassa di detenzione e il vitto erano aiutati economicamente dalla Confraternita. Quest’ultima cercò di garantire con la sua presenza un trattamento più umano ai prigionieri. I confratelli sollecitavano i processi, controllavano la distribuzione quotidiana del cibo e fornivano il necessario vestiario ai detenuti. Una volta alla settimana, normalmente il sabato, accompagnavano il governatore, il vescovo, il priore, “l’avvocato dei poveri” e il procuratore del fisco nella visita generale delle carceri. Papa Pio IV conferì alla Confraternita il privilegio di liberare dalla prigione, ogni venerdì santo, un condannato; il prescelto, anche se destinato alla pena capitale, poteva essere scarcerato con il consenso della parte offesa. A questi compiti, di natura prettamente materiale, si aggiungevano quelli di carattere spirituale; l’istituzione effettuava quotidianamente un’opera di evangelizzazione, istruendo nella fede i reclusi e spronandoli al pentimento e alla conversione… (…)
Questo breve ricordo di tanta carità, spiega perché spetti alla Chiesa il merito di una svolta epocale nella storia della carcerazione, con la costruzione, nel 1650, in via Giulia, a Roma, del primo penitenziario moderno (le cosiddette “carceri Nuove”). In precedenza le prigioni medievali e rinascimentali erano stati luoghi di custodia e di pena improvvisati, bui e privi di ogni igiene, ricavati nelle torri, nelle segrete di un castello o nei sotterranei umidi di un palazzo. Tali luoghi erano, inevitabilmente, inadatti, e comportavano una reclusione di straordinaria durezza. Il pontefice Innocenzo X ritenne che fosse il momento di far costruire all’architetto Antonio Del Grande, con la collaborazione di Virgilio Spada, un luogo “più mite e più sicuro” nello stesso tempo: il primo “carcere polifunzionale completo di servizi, alloggi per il personale, infermeria e cucine per ogni settore, con celle suddivise razionalmente fra tipi di prigionieri, per sesso, per età, per pericolosità e per tipi di reato commesso”. In questa grande struttura, funzionale, nata con precisa funziona custodialistica, non vi erano più segrete sotterranee, ma celle luminose, areate, “poste lateralmente all’asse longitudinale del corridoio”, secondo una “soluzione architettonica semplice, funzionale che rimarrà immutata sino ai nostri giorni”. Per i detenuti erano previsti la possibilità di pregare, di avere assistenza spirituale, di leggere, di scrivere, di praticare un mestiere, addirittura dietro piccolo compenso. “Questo penitenziario- nota Parente- divenne ben presto il fiore all’occhiello, il simbolo, a livello mondiale, di una nuova era nel campo carcerario”.
Analogamente, in un capitolo intitolato “Carceri Nuove. A Roma spunta l’alba della riforma carceraria”, Carlo Cirillo Fornili nota che fu il volere di un pontefice cattolico, indirizzato anche dall’Arciconfraternita della Carità, a produrre una svolta che sarebbe stata elogiata e imitata in tutta Europa: “Soltanto un secolo più tardi il celebre filantropo Howard iniziò la peregrinazione nei penitenziari europei, araldo e suscitatore anch’egli di sentimenti umanitari verso i detenuti nelle carceri e propugnatore di nuovi sistemi. A Roma trovò il migliore carcere d’Europa, ne ammirò la struttura e la propugnò nei suoi scritti
Il primato della Roma papale di aver avuto il “primo carcere costruito per servire da prigione”, a differenza dei “contenitori indifferenziati per diverse categorie di emarginati” come le case di correzione elisabettiane o la Rasp House di Amsterdam, venne “riattestato dalla edificazione del carcere di san Michele” destinato ai giovani malfattori, “fino ad allora divisi nelle varie prigioni della città”.
Il san Michele a Ripa Grande (Porta Portese) si segnala per essere stato il primo carcere per minorenni, un “esempio rivoluzionario di architettura sociale”, grazie all’organicità, agli “elementi umanizzanti” e ai requisiti di igiene, che sarebbero risultati all’avanguardia ancora per molti anni. Constava di sessanta celle, una per ogni ragazzo, fornite di servizi igienici, all’interno di una “struttura carceraria-correzionalistica molto semplice e molto funzionale”, in cui vi era spazio per preghiera, attività lavorative…, capace di segnare il passaggio da struttura “ad correctionem” piuttosto che “ad puniendum”.
Uno spaccato sulle carceri settecentesche-ricorda sempre Parente – “l’ha lasciato il filantropo inglese John Howard, che tra il 1775 ed il 1790 compie molti viaggi, con l’intento di studiare i sistemi carcerari dei diversi Paesi americani ed europei. Al suo rientro in patria, Howard lamenta le misere e deplorevoli condizioni dei prigionieri e delle prigioni europee, dove constata disordine, corruzione, cattive condizioni igieniche, squallido vitto e l’eterogeneità dei reclusi ammassati nelle celle. Nella sua relazione, Howard fa eccezione per le carceri papali di Roma. Nell’elogiare, in particolare, il sistema e le strutture dell’ istituto correzionale del San Michele, che porta come esempio, conclude la descrizione delle carceri romane affermando che esse sono le migliori d’Europa: “… le condizioni sono molto buone, le Carceri Nuove sono tenute, arieggiate, sono dotate di due infermerie bene attrezzate visitate quotidianamente dai medici, uomini e donne sono separati , come i criminali incalliti dai rei di lievi reati. Le visitano i detenuti e li assistono materialmente e , mentre il servizio religioso si presenta perfetto; anche i sono assistiti fin sul patibolo ..”. (J. HOWARD, 1788). Il regime carcerario vigente nei diversi Stati italiani pre-unitari è detto invece “e durissimo”, quasi a voler pareggiare, attraverso il supplizio della carcerazione, la pena di morte. (…)