giovedì 5 giugno 2014

«La Civiltà Cattolica» sostiene la «teologia in ginocchio» di Kasper

Walter Kasper


Il teologo Scannone, pur senza citarle, sembra riferirsi ad alcune reazioni negative alla relazione sulla famiglia del cardinale tedesco: c'è un pensiero e un linguaggio univoco che «in questioni morali tende a rinchiudersi in una pura casuistica astorica e astratta, che astrae dai contesti reali e personali»

ANDREA TORNIELLICITTÀ DEL VATICANO
È un mini-saggio molto colto e scientificamente attrezzato quello che padre Juan Carlos Scannone - il gesuita argentino che fu insegnante di Bergoglio - pubblica nel numero de «La Civiltà Cattolica» che sarà in distribuzione da sabato. Un articolo nel quale, a partire dall'elogio fatto da Papa Francesco alla relazione tenuta dal cardinale Walter Kasper al concistoro dello scorso febbraio, Scannone spiega l'importanza non solo di «ciò che» si dice, ma anche del «come» lo si dice, poiché questo «come» fa parte del contenuto, non è una semplice circostanza accidentale estrinseca.


Il punto di partenza è l'elogio che Francesco rivolse Kasper. Il Papa parlò infatti di «teologia in ginocchio», ringraziando pubblicamente il porporato di fronte al concistoro, dopo che la relazione sulla famiglia, nella quale trovava posto anche un capitolo sui sacramenti ai divorziati risposati, aveva suscitato varie reazioni contrarie. Padre Scannone ricorda inoltre il discorso tenuto da Bergoglio lo scorso 10 aprile ai professori e agli studenti si alcuni atenei pontifici, quando aveva parlato una filosofia e di una teologia realizzate «con mente aperta e in ginocchio», facendo riferimento di nuovo all’«atteggiamento esistenziale» che deve accompagnarle perché siano feconde. In quella occasione Francesco aggiunse: «Il teologo che si compiace del suo pensiero completo e concluso è un mediocre. Il buon teologo e filosofo ha un pensiero aperto, cioè incompleto, sempre aperto al maius di Dio e della verità, sempre in sviluppo».


All'opposto, osserva Scannone, troviamo «un pensiero univoco, non aperto, per mezzo dell’analogia del linguaggio, né alla trascendenza, né alla novità storica, né all’alterità irriducibile degli altri». Un chiudersi che «spesso è provocato dal timore proprio di queste novità e alterità, e persino della propria libertà e dell’imprevedibilità del Dio sempre più grande». Il teologo gesuita, parlando dell’importanza di un linguaggio adeguato per «la proclamazione e accettazione del Vangelo», cita le parole del Papa contenute nell'esortazione «Evangelii gaudium»: «A volte, ascoltando un linguaggio completamente ortodosso, quello che i fedeli ricevono, a causa del linguaggio che essi utilizzano e comprendono, è qualcosa che non corrisponde al vero Vangelo di Gesù Cristo».


Padre Scannone, dopo aver osservato che «in tutte le circostanze Papa Francesco parla con semplicità, ma non per questo smette di avere profondità», analizza e approfondisce la lode fatta al cardinale Kasper e quello che definisce «il carattere sereno della sua teologia», servendosi delle due filosofie del linguaggio contemporanee, cioè «la filosofia analitica, prevalentemente anglosassone, e la fenomenologia, prevalentemente europea».


E mette in guardia da quello che definisce il «timore della novità inattesa o del futuro sconosciuto, che sono sempre una sfida e possono smuovere il piano della nostre (apparenti) sicurezze. Il proverbio dice che il timore è il peggiore consigliere: lo è non solo nelle decisioni pratiche, ma anche nelle affermazioni teoriche (quando esse suppongono il momento pratico di opzione ermeneutica per una determinata interpretazione o comprensione dell’elemento umano, storico, morale, sociale, politico, culturale, religioso); e lo è soprattutto quando si tratta del timore della libertà (sia della propria, sia di quella dello Spirito Santo)».

Il rischio è che «il timore di una novità imprevista — propria dell’azione di Dio in quanto mistero libero e insondabile —, del rischio della libertà e dell’irriducibile alterità di ogni altra persona, immagine di Dio», si rifletta «in un pensiero e in un linguaggio univoci, cioè non aperti alla trascendenza di Dio, dell’imprevedibile e degli altri, forse per timore di perdere sicurezze. In questioni morali, esso allora tende a rinchiudersi in una pura casuistica astorica e astratta, che astrae dai contesti reali e personali, li formalizza in semplici applicazioni sillogistiche, riducendoli così a semplici «casi» di una regola generale».


«Da qui l’importanza - continua il teologo gesuita - di quella che Bernard Lonergan chiama "conversione affettiva" (conversione da un affetto disordinato alla serenità di lasciar essere la verità a se stessa). Per questo studioso del metodo, essa è necessaria anche per la metodologia delle scienze, in primo luogo per la teologia. Quanto più lo è allora nelle decisioni della vita ordinaria, specialmente nella convivenza con gli altri, sia nelle relazioni personali, sia nelle "macro-relazioni", mediate da istituzioni e strutture, perché, come insegna Benedetto XVI (cfr Caritas in veritate, n. 2), la carità deve informare entrambe».


Infine, l'articolo de «La Civiltà Cattolica», ispirandosi al teologo Hans Urs von Balthasar, distingue chiaramente «il timore negativo» di cui si è parlato a proposito dell'«ermeneutica del timore», dalla «funzione essenziale (sebbene non sia la più essenziale) che nella Chiesa ha il timore di essere infedeli alla tradizione».


Von Balthasar afferma che tutti i cristiani «condividono il principio mariano, in quanto Maria è madre, immagine e prototipo di tutta la Chiesa e di ciascuno di noi nella Chiesa e in quanto Chiesa». Perciò anche quelli che in essa hanno il carisma, ed esercitano il compito di custodire la tradizione «non cessano di partecipare innanzitutto al principio mariano e al suo corrispondente stato d’animo di amore disinteressato per tutti e per ciascuno degli altri, e di misericordia materna verso quelli che soffrono». E il loro «timore fondato di essere infedeli alla tradizione - conclude padre Scannone -  non è mai il timore della libertà  - cattivo consigliere -, ma fa parte dell’avvicinamento comunitario del popolo di Dio alla verità nella carità, e pertanto saprà anche riconoscere opportunamente la voce che dice alla Chiesa ciò che Gabriele disse alla Vergine: "Non temere, Maria!"».

L'approfondimento di padre Scannone non entra nel dibattito in corso sul prossimo Sinodo sulla famiglia. Ma è evidente che - al di là del merito delle diverse posizioni circa questione dei sacramenti ai divorziati risposati - a essere messo in discussione è un modo di accostarsi a queste tematiche e di parlarne che «tende a rinchiudersi in una pura casuistica astorica e astratta» e che «astrae dai contesti reali» della vita delle persone.