martedì 3 giugno 2014

Paolo VI e la vita consacrata.




 Guida del rinnovamento

(Pier Giordano Cabra) Paolo VI è il Papa del rinnovamento della vita consacrata. Lo ha promosso per fedeltà al concilio, lo ha guidato con fiducia e saggezza, ha sofferto per le difficoltà e le incomprensioni, si è santificato accettando d’essere inchiodato sulla croce dagli opposti estremismi. Aveva accettato per fede il concilio, prevedendone la complessità e la conflittualità, lo aveva continuato con speranza, certo della guida dello Spirito Santo, lo ha realizzato con carità, cercando formule e soluzioni che raccogliessero il consenso, sempre con rispetto verso tutti.

Dalla prima sgomenta reazione alla notizia dell’indizione del concilio al fiducioso e laborioso coordinamento delle varie correnti durante i lavori, alla paziente, mite, ferma e sofferta azione per metterne in atto le indicazioni, ha dimostrato di essere sorretto da una indiscutibile vita teologale. Il che è strettamente connesso con la santità. Ha promosso il rinnovamento della vita consacrata con i due documenti Ecclesiae sanctae e Renovationis causam, lo ha richiamato tempestivamente alle sue autentiche finalità con la fine esortazione apostolica Evangelica testificatio, lo ha seguito con un consistente numero di discorsi, non ha mai cessato di dialogare e di tendere la mano anche quando altri esitavano a fare altrettanto.
Aveva studiato dai gesuiti e aveva frequentato il celebre Oratorio della Pace dei padri filippini, ai quali resterà sempre legato. Per un certo periodo di tempo si sentì attratto anche dalla vita monastica benedettina, incontrata a Chiari, nei pressi di Brescia, in un monastero trapiantato dalla Francia. Dalla sua famiglia, autorevolmente inserita nel movimento cattolico bresciano, aveva appreso il senso di un forte radicamento nella Chiesa locale, assieme alla non meno radicata convinzione che la presenza della Chiesa nella società spetta soprattutto ai laici, a differenza della cosiddetta controriforma, dove principalmente il clero e gli ordini religiosi ebbero il merito non solo di darvi il contenuto dottrinale ma di offrire altresì la fatica pratica della sua volgarizzazione. Ebbe presto la percezione che i mutamenti in corso esigessero una maggior presenza dei laici in settori tradizionali occupati negli ultimi secoli dalla vita consacrata, senza per questo sminuire la stima per la vita consacrata, quale valido impulso per loro (i laici) nella ricerca della santità, alla quale anch’essi sono chiamati, specie per le forme “più alte” dei grandi Ordini, a partire dai monasteri. Uomo del clero diocesano e convinto promotore del protagonismo dei laici, frequentò personalità della vita consacrata per affinità culturali e spirituali. Ma soprattutto frequentò monasteri italiani, francesi, belgi, tedeschi, dove soleva sostare per ritiri spirituali o per pause distensive, rimanendone fortemente segnato, tanto che uno studioso esigente come Jean Leclercq giunse a dire: «Non si possono leggere le numerose dichiarazioni di Paolo VI sul monachesimo senza restare impressionati a motivo della loro precisione e costanza».
Fu eletto Papa in un periodo di ottimismo per l’occidente. Erano anni di proiezione fiduciosa verso il futuro, di crescita economica che faceva presagire l’uscita dalla povertà, di sguardo critico verso il passato, di convinzione di assistere a un passaggio epocale, di affermazione di una cultura progressista che avrebbe permesso di “fare nuove tutte le cose”. È il tempo della fiducia illimitata nella politica, con la quale si pensava possibile riplasmare la società. È il tempo dello sviluppo delle scienze umane e sociali, che sposta l’attenzione dal soggetto all’aggregazione dei soggetti, quali la società e la comunità. È il tempo dello spostamento dell’attenzione dall’homo aeternus all’homo faber sui. È il tempo che sfocerà nel Sessantotto, dove le tendenze del decennio subiranno una vistosa accelerazione, con la contestazione all’autorità, alle istituzioni e al costume tradizionale, con i suoi acclamati slogan: «Vietato vietare», «La fantasia al potere», «Non fate la guerra, fate l’amore». La Chiesa conciliare, mentre guardava con soddisfazione l’aggiornamento che le avrebbe permesso di essere finalmente riconciliata con il mondo moderno, si trovò contestata da quello stesso mondo, che intendeva liberarsi da ogni tutela. E la vita consacrata che si stava dedicando, come nessun’altra componente ecclesiale, al suo rinnovamento, coinvolgendo l’insieme dei religiosi, si trovò immersa in questa rivoluzione culturale che intendeva romperla con il passato, con le sue norme repressive, con i suoi tabù, con le sue disuguaglianze. Paolo VI, che non era certamente un conservatore, da uomo di notevole intelligenza, nel suo discorso conclusivo del concilio, aveva sorpreso non pochi, affermando con lucidità e preveggenza: «Quando noi uomini spingiamo i nostri pensieri, i nostri desideri, verso una concezione ideale della vita, ci troviamo subito o nell’utopia o nella caricatura retorica o nell’illusione o nella delusione». Mai parole trovarono più riscontro negli anni successivi, non solo negli ambienti della vita consacrata, ma anche della Chiesa e della società.
Mentre la vita consacrata stava mettendo in moto il suo rinnovamento, seguendo l’invito e le indicazioni del concilio, la rivoluzione culturale in atto nella società invade più o meno percettibilmente la vita consacrata, intaccando i suoi valori fondamentali, quali i consigli evangelici, con suoi sottoprodotti: la rivoluzione sessuale, la rivoluzione economicistica, la rivoluzione individualistica. Nel breve periodo di un decennio, la vita consacrata perde un terzo delle sue forze, per abbandoni e mancati rincalzi. Nel frattempo si susseguono esperimenti innovativi, sia nelle norme, sia nelle realizzazioni pratiche. Ma la crisi sembra inarrestabile, aggravata anche dallo scontro tra innovatori e tradizionalisti, che si accusano e si attaccano reciprocamente per la confusione in corso. Paolo VI segue questa delicata fase, con il suo incoraggiamento a continuare l’opera di aggiornamento, dando anche indicazioni per superare remore e paure, ma anche con puntualizzazioni tanto ferme quanto delicate. Lo fa nei numerosi discorsi rivolti ai religiosi, da lui ricevuti in occasioni di capitoli generali o di incontri vari. Egli era consapevole della situazione difficile: per questo ha preferito fare interventi propositivi e orientativi, con pazienza e mitezza, senza esasperare posizioni di per sé esplosive, nonostante la sua crescente sofferenza per la piega presa dagli avvenimenti.
Nel 1971 esce l’esortazione apostolica Evangelica testificatio, un documento stupendo, dinamico, incoraggiante e coraggioso, ricco di ispirazione e di amore per la vita religiosa. «Desidero aiutarvi a continuare il vostro cammino di seguaci di Cristo» (n. 1) e «stimolarvi a procedere con maggior sicurezza e con fiducia lungo la strada che avete prescelto» (n. 6). Il documento rappresenta l’invito a passare dall’aggiornamento al rinnovamento, a passare dall’adattamento esteriore al rinnovamento interiore, dal momento che «la fedeltà alla preghiera o il suo abbandono sono il paradigma della vitalità e della decadenza della vita religiosa» (n. 42). Un documento realista, perché affronta con concretezza le tensioni del momento, tensioni tra autonomia personale e istituzione, tra regolare osservanza e realizzazione personale, tra grandi e piccole comunità. Un documento scritto con la delicatezza di una lettera d’amore e con la sincerità di chi conosce le esigenze dell’amore che promana da Cristo.
In un momento di egualitarismo e di livellamento al minimo comun denominatore di tutte le vocazioni, Paolo VI ha il coraggio di dire che la vita consacrata ha «un posto d’elezione nella vita della Chiesa» (n. 2), per il fatto che permette di conformarsi più profondamente al genere di vita di Cristo. Donde le citatissime parole: «Senza questo segno concreto, la carità che anima l’intera Chiesa rischia di raffreddarsi, il paradosso salvifico del Vangelo di smussarsi, il sale della terra di diluirsi in un mondo in fase di secolarizzazione» (n. 3). In tal modo «la Chiesa non può fare a meno di questi testimoni eccezionali della trascendenza dell’amore di Cristo». Chi dice queste cose è un uomo che appartiene alla gerarchia ecclesiastica, che promuove con forza il laicato, ma che dalla tradizione della Chiesa ha appreso che sono le vette che permettono di alzare lo sguardo per stimolare a innalzarsi, che in un mondo che si appiattisce sul “qui e ora” sono indispensabili coloro che vivono per il “non ancora”, che nel totalitarismo del visibile affermino di essere mossi dall’invisibile, che nella proiezione verso il futuro, tipico dell’epoca, le guide più affidabili sono coloro che tendono al futuro assoluto. Quando dice che occorrono i testimoni dell’Assoluto, che cosa vuol dire se non che occorre chi accetti di dedicarsi tutto al Tutto perché altri siano spinti a dedicare qualcosa a Colui dal quale tutto proviene?
Evangelica testificatio, uno dei documenti più belli sulla vita consacrata, non ha avuto tutta l’attenzione che si meritava: il clima generale era troppo ideologizzato per essere valutato serenamente. Il suo procedere con finezza e sfumature, la poneva troppo al di sopra delle semplificazioni correnti. Padre Yves Congar dirà: «Nel periodo del dopo concilio si sono fatte delle terribili semplificazioni». L’eccesso di idealismo in libera uscita ha sovente rotto l’equilibrio tra ideale e reale, tra i grandi slanci su cui si basa la scelta di questo genere di vita e la povertà della debole natura umana. L’abitudine a discutere tutto non ha permesso di lasciarsi mettere in discussione dalle indicazioni dottrinali e operative del documento. Il destino di Evangelica testificatio può essere visto come lo specchio del destino del suo autore, un padre che rivolge parole sagge a dei figli che pensano di non averne bisogno o che le considerano belle ma inadeguate ai tempi, salvo scoprirne la pertinenza e la saggezza quando ormai il padre non c’è più. Paolo VI percepiva questa situazione, sentiva che le sue parole e i suoi gesti venivano accettati con i filtri delle precomprensioni e dei pregiudizi. Ne soffriva, ma lasciò che il tempo decantasse le polarizzazioni. Soffrì, pazientò, si santificò. Voleva una vita consacrata santa e la vita consacrata lo “aiutò” a santificarsi. Ma non cessò di amare la vita consacrata, alla quale volle dare come guida il cardinal Pironio, un uomo di comunione, in grado di comprendere lo straordinario dinamismo della vita consacrata dell’America latina e di attuare un avvicinamento con le varie correnti del mondo occidentale. Una preziosa eredità, destinata a santificare anche lui con e per la vita consacrata, nel discernimento di nuovi non facili cammini. La vita consacrata, delineata da Paolo VI, sembrava ad alcuni un sogno utopico o, quanto meno, fuori tempo. Eppure quel sogno ha prodotto forti personalità, fra le quali basta citare Papa Francesco, il quale certifica la verità delle parole del suo predecessore: «Ciò equivale a sottolineare come l’autentico rinnovamento della vita religiosa sia di capitale importanza per il rinnovamento stesso della Chiesa e del mondo» (Evangelica testificatio, 52).
L'Osservatore Romano