lunedì 29 settembre 2014

Martedì della XXVI settimana del Tempo Ordinario



Mentre stavano compiendosi i giorni in cui Gesù sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme e mandò avanti dei messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per lui. Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Ma Gesù si voltò e li rimproverò. E si avviarono verso un altro villaggio. (Dal Vangelo secondo Luca 9,51-56)
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L'amore autentico desidera il bene dell'amato, per questo conosce il dolore del rifiuto. Per «compiersi» ed «elevare» al Cielo ciò che sta marcendo sotto terra, l'amore di Dio deve farsi pellegrino e scendere nell'abisso del male che incatena il cuore. Per salvare ciò che è perduto Gesù doveva perdere se stesso. Chi è diretto a Gerusalemme, al Tempio ma anche alla Croce, è rifiutato. Questo il destino di Cristo e di chi ne prepara la Pasqua. La Croce è lo scandalo e l'idiozia indigeribile al mondo e alla nostra povera carne. I samaritani sono immagine dell'eresia che cova nel nostro cuore, quella che rifiuta l'amore perché legato al Monte Garizim. 

Ogni eresia, infatti, sbuccia la verità per attaccarsi a una scorza e farne l'assoluto. Non possiamo accettare la Croce che rivela l'amore di Dio perché siamo attaccati ai fatti nella vita nei quali crediamo di avere patito delle ingiustizie. Adoriamo noi stessi e non accettiamo chi ci profetizza che è a Gersualemme dove si impara il nuovo culto in Spirito e Verità. E' sulla Croce che sono sciolti i nodi nell'amore che dona uno sguardo nuovo su Dio, e quindi su se stessi, sulla storia e sugli altri. Così ogni luogo e persona diviene immagine di Gerusalemme, dove si compie la Pasqua e la superbia è trasformata in amore. Gerusalemme è una porta dischiusa sul Cielo, sulla Gerusalemme celeste patria definitiva di ogni uomo

Secondo la tradizione ebraica erano legati a Gerusalemme la creazione di Adamo e il sacrificio di Isacco al Monte Moria: profezie che si sarebbero compiute nel nuovo Adamo tentato in un giardino e, come Isacco, legato ad un legno. A Gerusalemme la stessa tradizione fissava il luogo del sogno di Giacobbe,  quando, "addormentato sulle pietre riconciliate e riunite" (Gen R 68), aveva visto "la scala dalla terra fino al cielo" (Gen. 28,10-22), la croce che avrebbe dischiuso il Regno al Figlio di Dio. Ma la Città della Pace è anche la quella che uccide i profeti, la santa e prostituta nella quale si riflette la contraddizione che caratterizza ogni uomo: amato come un figlio, è condannato a vivere come un orfano. 

Israele viveva Gerusalemme come il luogo della Presenza di Dio, della sua fedeltà più forte di ogni peccato. In Gerusalemme si scontravano l'altissima vocazione dell'uomo e la sua reale capacità di distruggersi nel modo più abietto; l'esilio, la lontananza e la nostalgia struggente di Gerusalemme sono immagine di ogni cuore esiliato dalla Verità. Dimenticare Gerusalemme, la presenza di Dio, era peggiore che vedersi seccare la mano, paralizzarsi la lingua: "Se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia!" (Sal. 137). 

Per questo, con il «volto saldo» e pronto per ricevere insulti, sputi e bestemmie, Gesù si reca a Gerusalemme, con lo sguardo puntato irrevocabilmente al compimento dell'opera del Padre, deciso a salvare ogni uomo. Passo dopo passo, villaggio dopo villaggio, rifiuto dopo rifiuto, Gesù non poteva che recarsi pellegrino a Gerusalemme, come a visitare il cuore malato di ciascuno di noi; e non poteva che, rifiutato, salire sulla Croce e «compiere» la Pasqua, che è proprio assumere il rifiuto e trasformarlo in accoglienza umile. E' questo il passaggio che trascina nel l'uomo nell'obbedienza che sana la contraddizione che porta nel cuore. 

Ma non si tratta solo della Croce e della risurrezione: l'elevazione-esodo di Gesù inizia a compiersi proprio nel viaggio a Gerusalemme, il viaggio del profeta che doveva morire a Gerusalemme. Le sue parole e gli avvenimenti che lo attendevano erano tutti parte della profezia di misericordia di Dio sulla storia e sull'uomo. Il Mistero Pasquale di Cristo non è avvenimento di un istante circoscritto, è un pellegrinaggio, una salita-elevazione verso e attraverso Gerusalemme, ha una storia, passa per villaggi e incontri, relazioni; così è anche della nostra vita. Non vi sono eventi isolati, dove improvvisamente essere cristiani. Tutto è legato, anche le relazioni e i fatti che sembrano marginali, la routine quotidiana ci preparano ai momenti dove il Moria, come il Golgota, appaiono dinanzi a noi. Nulla si improvvisa, e non si può essere cristiani e vivere da figli di Dio se non si cammina in conversione ogni istante.

Secondo la tradizione ebraica, la Pasqua esigeva «preparativi» accurati e lunghi, quanto il cammino di Gesù verso Gerusalemme. E «messaggeri» scelti per realizzarli. Essi, come i membri di uno staff che conosce intimamente il presidente e ne condivide la missione, sono inviati per bonificare e preparare la visita. Anche noi, «angeli inviati davanti al volto» di Gesù come recita l’originale greco, ci «incamminiamo» ogni giorno verso il «villaggio dei samaritani» eretici che rifiutavano scandalizzati il Tempio di Gerusalemme. Senza dimenticare di essere stati guariti gratuitamente dalla stessa eresia, siamo inviati in famiglia, al lavoro, a scuola, ovunque la Croce sia di scandalo, per prepararvi la Pasqua del Signore, bonificando la menzogna con l'annuncio del Vangelo e con il caricarci del rifiuto. 

E questo non ci piace, piuttosto vorremmo bruciare peccati e peccatori, fraintendendo il fuoco di Elia che incendiò l'idolatria per mostrarne l'inganno. Ma non è questa la missione di Gesù, e il suo sguardo che ci ha sempre perdonato ce lo ricorda anche oggi. Siamo inviati a cercare hametz, il lievito vecchio dell'ipocrisia che rifiuta la verità, e a prenderlo su di noi, perché Gesù possa compiere in tutti la sua Pasqua. Siamo inviati a bruciare con il fuoco dell’amore indiviso a Cristo gli idoli che tengono schiavi gli uomini. Con la pazienza e l’umiltà che impariamo da Gesù, le fondamenta sulle quali sorge, incrollabile e decisa, la nostra missione.