martedì 23 settembre 2014

Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (18 gennaio 2015)



Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (18 gennaio 2015). “La Chiesa senza frontiere, madre di tutti, diffonde nel mondo la cultura dell’accoglienza e della solidarietà, secondo la quale nessuno va considerato inutile, fuori posto o da scartare 
Sala stampa della Santa Sede
[Text: Italiano, Français, English, Español, Português]
Chiesa senza frontiere: madre di tutti è il tema scelto dal Papa per la prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che - a livello ecclesiale - sarà celebrata domenica 18 gennaio 2015. Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio che il Santo Padre Francesco ha preparato in vista di tale Giornata:
Chiesa senza frontiere: madre di tutti
Cari fratelli e sorelle!
Gesù è «l’evangelizzatore per eccellenza e il Vangelo in persona» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 209). La sua sollecitudine, particolarmente verso i più vulnerabili ed emarginati, invita tutti a prendersi cura delle persone più fragili e a riconoscere il suo volto sofferente, soprattutto nelle vittime delle nuove forme di povertà e di schiavitù. Il Signore dice: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36). Missione della Chiesa, pellegrina sulla terra e madre di tutti, è perciò di amare Gesù Cristo, adorarlo e amarlo, particolarmente nei più poveri e abbandonati; tra di essi rientrano certamente i migranti ed i rifugiati, i quali cercano di lasciarsi alle spalle dure condizioni di vita e pericoli di ogni sorta. Pertanto, quest’anno la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato ha per tema: Chiesa senza frontiere, madre di tutti.
In effetti, la Chiesa allarga le sue braccia per accogliere tutti i popoli, senza distinzioni e senza confini e per annunciare a tutti che «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16). Dopo la sua morte e risurrezione, Gesù ha affidato ai discepoli la missione di essere suoi testimoni e di proclamare il Vangelo della gioia e della misericordia. Nel giorno di Pentecoste, con coraggio ed entusiasmo, essi sono usciti dal Cenacolo; la forza dello Spirito Santo ha prevalso su dubbi e incertezze e ha fatto sì che ciascuno comprendesse il loro annuncio nella propria lingua; così fin dall’inizio la Chiesa è madre dal cuore aperto sul mondo intero, senza frontiere. Quel mandato copre ormai due millenni di storia, ma già dai primi secoli l’annuncio missionario ha messo in luce la maternità universale della Chiesa, sviluppata poi negli scritti dei Padri e ripresa dal Concilio Ecumenico Vaticano II. I Padri conciliari hanno parlato di Ecclesia mater per spiegarne la natura. Essa infatti genera figli e figlie e«li incorpora e li avvolge con il proprio amore e con le proprie cure» (Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 14).
La Chiesa senza frontiere, madre di tutti, diffonde nel mondo la cultura dell’accoglienza e della solidarietà, secondo la quale nessuno va considerato inutile, fuori posto o da scartare. Se vive effettivamente la sua maternità, la comunità cristiana nutre, orienta e indica la strada, accompagna con pazienza, si fa vicina nella preghiera e nelle opere di misericordia. Oggi tutto questo assume un significato particolare. Infatti, in un’epoca di così vaste migrazioni, un gran numero di persone lascia i luoghi d’origine e intraprende il rischioso viaggio della speranza con un bagaglio pieno di desideri e di paure, alla ricerca di condizioni di vita più umane. Non di rado, però, questi movimenti migratori suscitano diffidenze e ostilità, anche nelle comunità ecclesiali, prima ancora che si conoscano le storie di vita, di persecuzione o di miseria delle persone coinvolte. In tal caso, sospetti e pregiudizi si pongono in conflitto con il comandamento biblico di accogliere con rispetto e solidarietà lo straniero bisognoso. Da una parte si avverte nel sacrario della coscienza la chiamata a toccare la miseria umana e a mettere in pratica il comandamento dell’amore che Gesù ci ha lasciato quando si è identificato con lo straniero, con chi soffre, con tutte le vittime innocenti di violenze e sfruttamento. Dall’altra, però, a causa della debolezza della nostra natura, «sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 270).
Il coraggio della fede, della speranza e della carità permette di ridurre le distanze che separano dai drammi umani. Gesù Cristo è sempre in attesa di essere riconosciuto nei migranti e nei rifugiati, nei profughi e negli esuli, e anche in questo modo ci chiama a condividere le risorse, talvolta a rinunciare a qualcosa del nostro acquisito benessere. Lo ricordava il Papa Paolo VI, dicendo che «i più favoriti devono rinunciare ad alcuni dei loro diritti per mettere con maggiore liberalità i loro beni al servizio degli altri»(Lett. ap. Octogesima adveniens, 14 maggio 1971, 23).
Del resto, il carattere multiculturale delle società odierne incoraggia la Chiesa ad assumersi nuovi impegni di solidarietà, di comunione e di evangelizzazione. I movimenti migratori, infatti, sollecitano ad approfondire e a rafforzare i valori necessari a garantire la convivenza armonica tra persone e culture. A tal fine non può bastare la semplice tolleranza, che apre la strada al rispetto delle diversità e avvia percorsi di condivisione tra persone di origini e culture differenti. Qui si innesta la vocazione della Chiesa a superare le frontiere e a favorire «il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di emarginazione ... ad un atteggiamento che abbia alla base la ‘cultura dell’incontro’, l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno» (Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2014).
I movimenti migratori hanno tuttavia assunto tali dimensioni che solo una sistematica e fattiva collaborazione che coinvolga gli Stati e le Organizzazioni internazionali può essere in grado di regolarli efficacemente e di gestirli. In effetti, le migrazioni interpellano tutti, non solo a causa dell’entità del fenomeno, ma anche «per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che sollevano, per le sfide drammatiche che pongono alle comunità nazionali e a quella internazionale» (Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate, 29 giugno 2009, 62). Nell’agenda internazionale trovano posto frequenti dibattiti sull’opportunità, sui metodi e sulle normative per affrontare il fenomeno delle migrazioni. Vi sono organismi e istituzioni, a livello internazionale, nazionale e locale, che mettono il loro lavoro e le loro energie al servizio di quanti cercano con l’emigrazione una vita migliore. Nonostante i loro generosi e lodevoli sforzi, è necessaria un’azione più incisiva ed efficace, che si avvalga di una rete universale di collaborazione, fondata sulla tutela della dignità e della centralità di ogni persona umana. In tal modo, sarà più incisiva la lotta contro il vergognoso e criminale traffico di esseri umani, contro la violazione dei diritti fondamentali, contro tutte le forme di violenza, di sopraffazione e di riduzione in schiavitù. Lavorare insieme, però, richiede reciprocità e sinergia, con disponibilità e fiducia, ben sapendo che «nessun Paese può affrontare da solo le difficoltà connesse a questo fenomeno, che è così ampio da interessare ormai tutti i Continenti nel duplice movimento di immigrazione e di emigrazione» (Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2014).
Alla globalizzazione del fenomeno migratorio occorre rispondere con la globalizzazione della carità e della cooperazione, in modo da umanizzare le condizioni dei migranti. Nel medesimo tempo, occorre intensificare gli sforzi per creare le condizioni atte a garantire una progressiva diminuzione delle ragioni che spingono interi popoli a lasciare la loro terra natale a motivo di guerre e carestie, spesso l’una causa delle altre. Alla solidarietà verso i migranti ed i rifugiati occorre unire il coraggio e la creatività necessarie a sviluppare a livello mondiale un ordine economico-finanziario più giusto ed equo insieme ad un accresciuto impegno in favore della pace, condizione indispensabile di ogni autentico progresso.
Cari migranti e rifugiati! Voi avete un posto speciale nel cuore della Chiesa, e la aiutate ad allargare le dimensioni del suo cuore per manifestare la sua maternità verso l’intera famiglia umana. Non perdete la vostra fiducia e la vostra speranza! Pensiamo alla santa Famiglia esule in Egitto: come nel cuore materno della Vergine Maria e in quello premuroso di san Giuseppe si è conservata la fiducia che Dio mai abbandona, così in voi non manchi la medesima fiducia nel Signore. Vi affido alla loro protezione e a tutti imparto di cuore la Benedizione Apostolica. Dal Vaticano, 3 settembre 2014
FRANCISCUS

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Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (18 gennaio 2015)   
Sala stampa della Santa Sede
 
Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si tiene la conferenza stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (18 gennaio 2015), che ha per tema: Chiesa senza frontiere, madre di tutti. (...) 

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Francese
L’Église sans frontières, mère de tous
Chers frères et soeurs,
Jésus est « l’évangélisateur par excellence et l’Évangile en personne » (Exhort. ap. Evangelii gaudium, n. 209). Sa sollicitude, particulièrement envers les plus vulnérables et marginalisés, nous invite tous à prendre soin des personnes plus fragiles et à reconnaître son visage souffrant, surtout dans les victimes des nouvelles formes de pauvreté et d’esclavage. Le Seigneur dit : « J’ai eu faim et vous m’avez donné à manger, j’ai eu soif et vous m’avez donné à boire, j’étais un étranger et vous m’avez accueilli, nu et vous m’avez vêtu, malade et vous m’avez visité, prisonnier et vous êtes venus me voir » (Mt 25, 35-36). La mission de l’Église, pèlerine sur la terre et mère de tous, est donc d’aimer Jésus Christ, de l’adorer et de l’aimer, particulièrement dans les plus pauvres et abandonnés ; au nombre de ceux-ci figurent certainement les migrants et les réfugiés, qui cherchent à tourner le dos aux dures conditions de vie et aux dangers de toute sorte. Donc, cette année la Journée Mondiale des Migrants et des Réfugiés a pour thème : l’Église sans frontières, mère de tous.
En effet, l’Église ouvre ses bras pour accueillir tous les peuples, sans distinctions et sans frontières et pour annoncer à tous que « Dieu est amour » (1 Jn 4, 8.16). Après sa mort et sa résurrection, Jésus a confié aux disciples la mission d’être ses témoins et de proclamer l’Évangile de la joie et de la miséricorde. Le jour de la Pentecôte, avec courage et enthousiasme, ils sont sortis du Cénacle ; la force du Saint-Esprit a prévalu sur les doutes et les incertitudes et a fait que chacun comprenait leur annonce dans sa propre langue ; ainsi, dès le début, l’Église est une mère au coeur ouvert sur le monde entier, sans frontières. Ce mandat couvre désormais deux mille ans d’histoire, mais depuis les premiers siècles, l’annonce missionnaire a mis en lumière la maternité universelle de l’Église, développée ensuite dans les écrits des Pères de l’Église et reprise par le Concile OEcuménique Vatican II. Les Pères conciliaires ont parlé d’Ecclesia mater pour en expliquer la nature. Elle génère, en effet, des fils et des filles qu’elle incorpore et qu’elle « enveloppe déjà de son amour en prenant soin d’eux » (Const. dogm. sur l’Église Lumen gentium, n. 14).
L’Église sans frontières, mère de tous, diffuse dans le monde la culture de l’accueil et de la solidarité, selon laquelle personne ne doit être considéré inutile, encombrant ou être écarté. En vivant effectivement sa maternité, la communauté chrétienne nourrit, oriente et indique le chemin, accompagne avec patience et se fait proche dans la prière et dans les oeuvres de miséricorde.
Aujourd’hui, tout cela prend une signification particulière. En effet, à une époque de si vastes migrations, un grand nombre de personnes laissent leur lieu d’origine et entreprennent le voyage risqué de l’espérance avec un bagage plein de désirs et de peurs, à la recherche de conditions de vie plus humaines. Souvent, cependant, ces mouvements migratoires suscitent méfiances et hostilités, même dans les communautés ecclésiales, avant même qu’on ne connaisse les parcours de vie, de persécution ou de misère des personnes impliquées. Dans ce cas, suspicions et préjugés entrent en conflit avec le commandement biblique d’accueillir avec respect et solidarité l’étranger dans le besoin.
D’une part, résonne dans le sanctuaire de la conscience l’appel à toucher la misère humaine et à mettre en pratique le commandement de l’amour que Jésus nous a laissé quand il s’est identifié avec l’étranger, avec celui qui souffre, avec toutes les victimes innocentes de la violence et de l’exploitation. D’autre part, cependant, à cause de la faiblesse de notre nature, « nous sommes tentés d’être des chrétiens qui se maintiennent à une prudente distance des plaies du Seigneur » (Exhort. apost. Evangelii gaudium, n. 270).
Le courage de la foi, de l’espérance et de la charité permet de réduire les distances qui séparent des drames humains. Jésus-Christ est toujours en attente d’être reconnu dans les migrants et dans les réfugiés, dans les personnes déplacées et les exilés, et aussi de cette manière il nous appelle à partager nos ressources, parfois à renoncer à quelque chose de notre bien-être acquis. Le Pape Paul VI le rappelait, en disant que «les plus favorisés doivent renoncer à certains de leurs droits, pour mettre avec plus de libéralité leurs biens au service des autres » (Lett. ap. Octogesima adveniens, 14 mai 1971, n. 23).
D’ailleurs, le caractère multiculturel des sociétés contemporaines encourage l’Église à assumer de nouveaux engagements de solidarité, de communion et d’évangélisation. Les mouvements migratoires, en effet, demandent qu’on approfondisse et qu’on renforce les valeurs nécessaires pour garantir la cohabitation harmonieuse entre les personnes et entre les cultures. À cet effet, ne peut suffire la simple tolérance, qui ouvre la voie au respect des diversités et qui met en route des parcours de partage entre des personnes d’origines et de cultures différentes. Ici, se greffe la vocation de l’Église à dépasser les frontières et à favoriser « le passage d’une attitude de défense et de peur, de désintérêt ou de marginalisation…à une attitude qui ait comme base la ‘‘culture de la rencontre’’, seule capable de construire un monde plus juste et fraternel » (Message pour la Journée Mondial des Migrants et des Réfugiés 2014).
Les mouvements migratoires ont cependant pris de telles dimensions que seule une collaboration systématique et effective, impliquant les États et les Organisations internationales, peut être en mesure de les réguler efficacement et de les gérer. En effet, les migrations interpellent chacun, non seulement à cause de l’ampleur du phénomène, mais encore « des problématiques sociale, économique, politique, culturelle et religieuse qu’il soulève, et à cause des défis dramatiques qu’il lance aux communautés nationales et à la communauté internationale» (Benoît XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate, 29 juin 2009, n. 62). Dans l’agenda international, trouvent place de fréquents débats sur l’opportunité, sur les méthodes et sur les réglementations pour affronter le phénomène des migrations. Il y a des organismes et des institutions, aux niveaux international, national et local, qui mettent leur travail et leur énergie au service de ceux qui cherchent par l’émigration une vie meilleure. Malgré leurs généreux et louables efforts, une action plus incisive et efficace est nécessaire, qui s’appuie sur un réseau universel de collaboration, fondé sur la défense de la dignité et de la centralité de chaque personne humaine. De cette manière, la lutte contre le honteux et criminel trafic d’êtres humains, contre la violation des droits fondamentaux, contre toutes les formes de violence, d’oppression et d’esclavage sera plus incisive. Travailler ensemble, cependant, exige réciprocité et synergie, avec disponibilité et confiance, étant entendu qu’« aucun pays ne peut affronter seul les difficultés liées à ce phénomène, qui est si vaste qu’il concerne désormais tous les continents dans le double mouvement d’immigration et d’émigration» (Message pour la Journée Mondiale des Migrants et des Réfugiés 2014).
À la mondialisation du phénomène migratoire, il faut répondre par la mondialisation de la charité et de la coopération, de manière à humaniser les conditions des migrants. En même temps, il faut intensifier les efforts pour créer les conditions aptes à garantir une diminution progressive des causes qui poussent des peuples entiers à laisser leur terre natale, en raison de guerres et de famines, l’une provoquant souvent l’autre. A la solidarité envers les migrants et les réfugiés, il faut joindre le courage et la créativité nécessaires pour développer au niveau mondial un ordre économico-financier plus juste et équitable uni à un engagement croissant en faveur de la paix, condition indispensable de tout progrès authentique.
Chers migrants et réfugiés ! Vous avez une place spéciale dans le coeur de l’Église, et vous l’aidez à élargir les dimensions de son coeur pour manifester sa maternité envers la famille humaine tout entière. Ne perdez pas votre confiance ni votre espérance ! Pensons à la sainte Famille exilée en Égypte : de même que dans le coeur maternel de la Vierge Marie et dans le coeur prévenant de saint Joseph s’est conservée la confiance que Dieu n’abandonne jamais, ainsi, que cette même confiance dans le Seigneur ne manque pas en vous. Je vous confie à leur protection et de grand coeur je vous accorde à tous la Bénédiction Apostolique.
Du Vatican, le 3 septembre 2014.
FRANCISCUS
Inglese
Church without frontiers, mother to all
Dear Brothers and Sisters,
Jesus is “the evangelizer par excellence and the Gospel in person” (Evangelii Gaudium, 209). His solicitude, particularly for the most vulnerable and marginalized, invites all of us to care for the frailest and to recognize his suffering countenance, especially in the victims of new forms of poverty and slavery. The Lord says: “I was hungry and you gave me food, I was thirsty and you gave me drink, I was a stranger and you welcomed me, I was naked and you clothed me, I was sick and you visited me, I was in prison and you came to me” (Mt 25:35-36). The mission of the Church, herself a pilgrim in the world and the Mother of all, is thus to love Jesus Christ, to adore and love him, particularly in the poorest and most abandoned; among these are certainly migrants and refugees, who are trying to escape difficult living conditions and dangers of every kind. For this reason, the theme for this year’s World Day of Migrants and Refugees is: Church without frontiers, mother to all.
The Church opens her arms to welcome all people, without distinction or limits, in order to proclaim that “God is love” (1 Jn 4:8,16). After his death and resurrection, Jesus entrusted tothe disciples the mission of being his witnesses and proclaiming the Gospel of joy and mercy. On the day of Pentecost, the disciples left the Upper Room with courage and enthusiasm; the strength of the Holy Spirit overcame their doubts and uncertainties and enabled all to understand the disciples’ preaching in their own language. From the beginning, the Church has been a mother with a heart open to the whole world, and has been without borders. This mission has continued for two thousand years. But even in the first centuries, the missionary proclamation spoke of the universal motherhood of the Church, which was then developed in the writings of the Fathers and taken up by the Second Vatican Council. The Council Fathers spoke of Ecclesia Mater to explain the Church’s nature. She begets sons and daughters and “takes them in and embraces them with her love and in her heart” (Lumen Gentium, 14). The Church without frontiers, Mother to all, spreads throughout the world a culture of acceptance and solidarity, in which no one is seen as useless, out of place or disposable. When living out this motherhood effectively, the Christian community nourishes, guides and indicates the way, accompanying all with patience, and drawing close to them through prayer and works of mercy.
Today this takes on a particular significance. In fact, in an age of such vast movements of migration, large numbers of people are leaving their homelands, with a suitcase full of fears and desires, to undertake a hopeful and dangerous trip in search of more humane living conditions. Often, however, such migration gives rise to suspicion and hostility, even in ecclesial communities,prior to any knowledge of the migrants’ lives or their stories of persecution and destitution. In such cases, suspicion and prejudice conflict with the biblical commandment of welcoming with respect and solidarity the stranger in need.
On the other hand, we sense in our conscience the call to touch human misery, and to put into practice the commandment of love that Jesus left us when he identified himself with the stranger, with the one who suffers, with all the innocent victims of violence and exploitation. Because of the weakness of our nature, however, “we are tempted to be that kind of Christian who keeps the Lord’s wounds at arm’s length” (Evangelii Gaudium, 270).
The courage born of faith, hope and love enables us to reduce the distances that separate us from human misery. Jesus Christ is always waiting to be recognized in migrants and refugees, in displaced persons and in exiles, and through them he calls us to share our resources, and occasionally to give up something of our acquired riches. Pope Paul VI spoke of this when he said that “the more fortunate should renounce some of their rights so as to place their goods more generously at the service of others” (Octogesima Adveniens, 23).
The multicultural character of society today, for that matter, encourages the Church to take on new commitments of solidarity, communion and evangelization. Migration movements, in fact, call us to deepen and strengthen the values needed to guarantee peaceful coexistence between persons and cultures. Achieving mere tolerance that respects diversity and ways of sharing between different backgrounds and cultures is not sufficient. This is precisely where the Church contributes to overcoming frontiers and encouraging the “moving away from attitudes of defensiveness and fear, indifference and marginalization … towards attitudes based on a culture of encounter, the only culture capable of building a better, more just and fraternal world” (Message for the World Day of Migrants and Refugees 2014).
Migration movements, however, are on such a scale that only a systematic and active cooperation between States and international organizations can be capable of regulating and managing such movements effectively. For migration affects everyone, not only because of the extent of the phenomenon, but also because of “the social, economic, political, cultural and religious problems it raises, and the dramatic challenges it poses to nations and the international community” (Caritas in Veritate, 62).
At the international level, frequent debates take place regarding the appropriateness, methods and required norms to deal with the phenomenon of migration. There are agencies and organizations on the international, national and local level which work strenuously to serve those seeking a better life through migration. Notwithstanding their generous and laudable efforts, a more decisive and constructive action is required, one which relies on a universal network of cooperation, based on safeguarding the dignity and centrality of every human person. This will lead to greater effectiveness in the fight against the shameful and criminal trafficking of human beings, the violation of fundamental rights, and all forms of violence, oppression and enslavement. Working together, however, requires reciprocity, joint-action, openness and trust, in the knowledge that “no country can singlehandedly face the difficulties associated with this phenomenon, which is now so widespread that it affects every continent in the twofold movement of immigration and emigration” (Message for the World Day of Migrants and Refugees 2014).
It is necessary to respond to the globalization of migration with the globalization of charity and cooperation, in such a way as to make the conditions of migrants more humane. At the same time, greater efforts are needed to guarantee the easing of conditions, often brought about by war or famine, which compel whole peoples to leave their native countries. Solidarity with migrants and refugees must be accompanied by the courage and creativity necessary to develop, on a world-wide level, a more just and equitable financial and economic order, as well as an increasing commitment to peace, the indispensable condition for all authentic progress.
Dear migrants and refugees! You have a special place in the heart of the Church, and you help her to enlarge her heart and to manifest her motherhood towards the entire human family. Do not lose your faith and hope! Let us think of the Holy Family during the flight in Egypt: Just as the maternal heart of the Blessed Virgin and the kind heart of Saint Joseph kept alive the confidence that God would never abandon them, so in you may the same hope in the Lord never be wanting. I entrust you to their protection and I cordially impart to all of you my Apostolic Blessing.
From the Vatican, 3 September 2014
FRANCISCUS
Spagnolo
Una Iglesia sin fronteras, madre de todos
Queridos hermanos y hermanas:
Jesús es «el evangelizador por excelencia y el Evangelio en persona» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, 209). Su solicitud especial por los más vulnerables y excluidos nos invita a todos a cuidar a las personas más frágiles y a reconocer su rostro sufriente, sobre todo en las víctimas de las nuevas formas de pobreza y esclavitud. El Señor dice: «Tuve hambre y me disteis de comer, tuve sed y me disteis de beber, fui forastero y me hospedasteis, estuve desnudo y me vestisteis, enfermo y me visitasteis, en la cárcel y vinisteis a verme» (Mt 25,35-36). Misión de la Iglesia, peregrina en la tierra y madre de todos, es por tanto amar a Jesucristo, adorarlo y amarlo, especialmente en los más pobres y desamparados; entre éstos, están ciertamente los emigrantes y los refugiados, que intentan dejar atrás difíciles condiciones de vida y todo tipo de peligros. Por eso, el lema de la Jornada Mundial del Emigrante y del Refugiado de este año es: Una Iglesia sin fronteras, madre de todos.
En efecto, la Iglesia abre sus brazos para acoger a todos los pueblos, sin discriminaciones y sin límites, y para anunciar a todos que «Dios es amor» (1 Jn 4,8.16). Después de su muerte y resurrección, Jesús confió a sus discípulos la misión de ser sus testigos y de proclamar el Evangelio de la alegría y de la misericordia. Ellos, el día de Pentecostés, salieron del Cenáculo con valentía y entusiasmo; la fuerza del Espíritu Santo venció sus dudas y vacilaciones, e hizo que cada uno escuchase su anuncio en su propia lengua; así desde el comienzo, la Iglesia es madre con el corazón abierto al mundo entero, sin fronteras. Este mandato abarca una historia de dos milenios, pero ya desde los primeros siglos el anuncio misionero hizo visible la maternidad universal de la Iglesia, explicitada después en los escritos de los Padres y retomada por el Concilio Ecuménico Vaticano II. Los Padres conciliares hablaron de Ecclesia mater para explicar su naturaleza. Efectivamente, la Iglesia engendra hijos e hijas y los incorpora y «los abraza con amor y solicitud como suyos» (Const. dogm. sobre la Iglesia Lumen gentium, 14). La Iglesia sin fronteras, madre de todos, extiende por el mundo la cultura de la acogida y de la solidaridad, según la cual nadie puede ser considerado inútil, fuera de lugar o descartable. Si vive realmente su maternidad, la comunidad cristiana alimenta, orienta e indica el camino, acompaña con paciencia, se hace cercana con la oración y con las obras de misericordia. Todo esto adquiere hoy un significado especial. De hecho, en una época de tan vastas migraciones, un gran número de personas deja sus lugares de origen y emprende el arriesgado viaje de la esperanza, con el equipaje lleno de deseos y de temores, a la búsqueda de condiciones de vida más humanas. No es extraño, sin embargo, que estos movimientos migratorios susciten desconfianza y rechazo, también en las comunidades eclesiales, antes incluso de conocer las circunstancias de persecución o de miseria de las personas afectadas. Esos recelos y prejuicios se oponen al mandamiento bíblico de acoger con respeto y solidaridad al extranjero necesitado. Por una parte, oímos en el sagrario de la conciencia la llamada a tocar la miseria humana y a poner en práctica el mandamiento del amor que Jesús nos dejó cuando se identificó con el extranjero, con quien sufre, con cuantos son víctimas inocentes de la violencia y la explotación. Por otra parte, sin embargo, a causa de la debilidad de nuestra naturaleza, “sentimos la tentación de ser cristianos manteniendo una prudente distancia de las llagas del Señor” (Exhort. ap. Evangelii gaudium, 270).
La fuerza de la fe, de la esperanza y de la caridad permite reducir las distancias que nos separan de los dramas humanos. Jesucristo espera siempre que lo reconozcamos en los emigrantes y en los desplazados, en los refugiados y en los exiliados, y asimismo nos llama a compartir nuestros recursos, y en ocasiones a renunciar a nuestro bienestar. Lo recordaba el Papa Pablo VI, diciendo que «los más favorecidos deben renunciar a algunos de sus derechos para poner con mayor liberalidad sus bienes al servicio de los demás» (Carta ap. Octogesima adveniens, 14 mayo 1971, 23).
Por lo demás, el carácter multicultural de las sociedades actuales invita a la Iglesia a asumir nuevos compromisos de solidaridad, de comunión y de evangelización. Los movimientos migratorios, de hecho, requieren profundizar y reforzar los valores necesarios para garantizar una convivencia armónica entre las personas y las culturas. Para ello no basta la simple tolerancia, que hace posible el respeto de la diversidad y da paso a diversas formas de solidaridad entre las personas de procedencias y culturas diferentes. Aquí se sitúa la vocación de la Iglesia a superar las fronteras y a favorecer «el paso de una actitud defensiva y recelosa, de desinterés o de marginación a una actitud que ponga como fundamento la “cultura del encuentro”, la única capaz de construir un mundo más justo y fraterno» (Mensaje para la Jornada Mundial del Emigrante y del Refugiado 2014).
Sin embargo, los movimientos migratorios han asumido tales dimensiones que sólo una colaboración sistemática y efectiva que implique a los Estados y a las Organizaciones internacionales puede regularlos eficazmente y hacerles frente. En efecto, las migraciones interpelan a todos, no sólo por las dimensiones del fenómeno, sino también «por los problemas sociales, económicos, políticos, culturales y religiosos que suscita, y por los dramáticos desafíos que plantea a las comunidades nacionales y a la comunidad internacional» (Benedicto XVI, Carta enc. Caritas in veritate, 29 junio 2009, 62).
En la agenda internacional tienen lugar frecuentes debates sobre las posibilidades, los métodos y las normativas para afrontar el fenómeno de las migraciones. Hay organismos e instituciones, en el ámbito internacional, nacional y local, que ponen su trabajo y sus energías al servicio de cuantos emigran en busca de una vida mejor. A pesar de sus generosos y laudables esfuerzos, es necesaria una acción más eficaz e incisiva, que se sirva de una red universal de colaboración, fundada en la protección de la dignidad y centralidad de la persona humana. De este modo, será más efectiva la lucha contra el tráfico vergonzoso y delictivo de seres humanos, contra la vulneración de los derechos fundamentales, contra cualquier forma de violencia, vejación y esclavitud. Trabajar juntos requiere reciprocidad y sinergia, disponibilidad y confianza, sabiendo que «ningún país puede afrontar por sí solo las dificultades unidas a este fenómeno que, siendo tan amplio, afecta en este momento a todos los continentes en el doble movimiento de inmigración y emigración» (Mensaje para la Jornada Mundial del Emigrante y del Refugiado 2014).
A la globalización del fenómeno migratorio hay que responder con la globalización de la caridad y de la cooperación, para que se humanicen las condiciones de los emigrantes. Al mismo tiempo, es necesario intensificar los esfuerzos para crear las condiciones adecuadas para garantizar una progresiva disminución de las razones que llevan a pueblos enteros a dejar su patria a causa de guerras y carestías, que a menudo se concatenan unas a otras. A la solidaridad con los emigrantes y los refugiados es preciso añadir la voluntad y la creatividad necesarias para desarrollar mundialmente un orden económico-financiero más justo y equitativo, junto con un mayor compromiso por la paz, condición indispensable para un auténtico progreso.
Queridos emigrantes y refugiados, ocupáis un lugar especial en el corazón de la Iglesia, y la ayudáis a tener un corazón más grande para manifestar su maternidad con la entera familia humana. No perdáis la confianza ni la esperanza. Miremos a la Sagrada Familia exiliada en Egipto: así como en el corazón materno de la Virgen María y en el corazón solícito de san José se mantuvo la confianza en Dios que nunca nos abandona, que no os falte esta misma confianza en el Señor. Os encomiendo a su protección y os imparto de corazón la Bendición Apostólica. Vaticano, 3 de septiembre de 2014
FRANCISCUS
Portoghese
Igreja sem fronteiras, mãe de todos
Queridos irmãos e irmãs!
Jesus é «o evangelizador por excelência e o Evangelho em pessoa» (Exort. ap. Evangelii gaudium, 209). A sua solicitude, especialmente pelos mais vulneráveis e marginalizados, a todos convida a cuidar das pessoas mais frágeis e reconhecer o seu rosto de sofrimento sobretudo nas vítimas das novas formas de pobreza e escravidão. Diz o Senhor: «Tive fome e destes-Me de comer, tive sede e destes-Me de beber, era peregrino e recolhestes-Me, estava nu e destes-Me que vestir, adoeci e visitastes-Me, estive na prisão e fostes ter comigo» (Mt 25, 35-36). Por isso, a Igreja, peregrina sobre a terra e mãe de todos, tem por missão amar Jesus Cristo, adorá-Lo e amá-Lo, particularmente nos mais pobres e abandonados; e entre eles contam-se, sem dúvida, os migrantes e os refugiados, que procuram deixar para trás duras condições de vida e perigos de toda a espécie. Assim, neste ano, o Dia Mundial do Migrante e do Refugiado tem por tema: Igreja sem fronteiras, mãe de todos.
Com efeito, a Igreja estende os seus braços para acolher todos os povos, sem distinção nem fronteiras, e para anunciar a todos que «Deus é amor» (1 Jo 4, 8.16). Depois da sua morte e ressurreição, Jesus confiou aos discípulos a missão de ser suas testemunhas e proclamar o Evangelho da alegria e da misericórdia. Eles, no dia de Pentecostes, saíram do Cenáculo cheios de coragem e entusiasmo; sobre dúvidas e incertezas, prevaleceu a força do Espírito Santo, fazendo com que cada um compreendesse o anúncio dos Apóstolos na própria língua; assim, desde o início, a Igreja é mãe de coração aberto ao mundo inteiro, sem fronteiras. Aquele mandato abrange já dois milénios de história, mas, desde os primeiros séculos, o anúncio missionário pôs em evidência a maternidade universal da Igreja, posteriormente desenvolvida nos escritos dos Padres e retomada pelo Concílio Vaticano II. Os Padres conciliares falaram de Ecclesia mater para explicar a sua natureza; na verdade, a Igreja gera filhos e filhas, sendo «incorporados» nela que «os abraça com amor e solicitude» (Const. dogm. sobre a Igreja Lumen gentium, 14).
A Igreja sem fronteiras, mãe de todos, propaga no mundo a cultura do acolhimento e da solidariedade, segundo a qual ninguém deve ser considerado inútil, intruso ou descartável. A comunidade cristã, se viver efectivamente a sua maternidade, nutre, guia e aponta o caminho, acompanha com paciência, solidariza-se com a oração e as obras de misericórdia. Nos nossos dias, tudo isto assume um significado particular. Com efeito, numa época de tão vastas migrações, um grande número de pessoas deixa os locais de origem para empreender a arriscada viagem da esperança com uma bagagem cheia de desejos e medos, à procura de condições de vida mais humanas. Não raro, porém, estes movimentos migratórios suscitam desconfiança e hostilidade, inclusive nas comunidades eclesiais, mesmo antes de se conhecer as histórias de vida, de perseguição ou de miséria das pessoas envolvidas. Neste caso, as suspeitas e preconceitos estão em contraste com o mandamento bíblico de acolher, com respeito e solidariedade, o estrangeiro necessitado.
Por um lado, no sacrário da consciência, adverte-se o apelo a tocar a miséria humana e pôr em prática o mandamento do amor que Jesus nos deixou, quando Se identificou com o estrangeiro, com quem sofre, com todas as vítimas inocentes da violência e exploração. Mas, por outro, devido à fraqueza da nossa natureza, «sentimos a tentação de ser cristãos, mantendo uma prudente distância das chagas do Senhor» (Exort. ap. Evangelii gaudium, 270).
A coragem da fé, da esperança e da caridade permite reduzir as distâncias que nos separam dos dramas humanos. Jesus Cristo está sempre à espera de ser reconhecido nos migrantes e refugiados, nos deslocados e exilados e, assim mesmo, chama-nos a partilhar os recursos e por vezes a renunciar a qualquer coisa do nosso bem-estar adquirido. Assim no-lo recordava o Papa Paulo VI, ao dizer que «os mais favorecidos devem renunciar a alguns dos seus direitos, para poderem colocar, com mais liberalidade, os seus bens ao serviço dos outros» [Carta ap. Octogesima adveniens (14 de Maio de 1971), 23].
Aliás, o carácter multicultural das sociedades de hoje encoraja a Igreja a assumir novos compromissos de solidariedade, comunhão e evangelização. Na realidade, os movimentos migratórios solicitam que se aprofundem e reforcem os valores necessários para assegurar a convivência harmoniosa entre pessoas e culturas. Para isso, não é suficiente a mera tolerância, que abre caminho ao respeito das diversidades e inicia percursos de partilha entre pessoas de diferentes origens e culturas. Aqui se insere a vocação da Igreja a superar as fronteiras e favorecer «a passagem de uma atitude de defesa e de medo, de desinteresse ou de marginalização (...) para uma atitude que tem por base a “cultura de encontro”, a única capaz de construir um mundo mais justo e fraterno» (Mensagem para o Dia Mundial do Migrante e do Refugiado - 2014).
Mas os movimentos migratórios assumiram tais proporções que só uma colaboração sistemática e concreta, envolvendo os Estados e as Organizações Internacionais, poderá ser capaz de os regular e gerir de forma eficaz. Na verdade, as migrações interpelam a todos, não só por causa da magnitude do fenómeno, mas também «pelas problemáticas sociais, económicas, políticas, culturais e religiosas que levantam, pelos desafios dramáticos que colocam à comunidade nacional e internacional» [BENTO XVI, Carta enc. Caritas in veritate (29 de Junho de 2009), 62].
Na agenda internacional, constam frequentes debates sobre a oportunidade, os métodos e os regulamentos para lidar com o fenómeno das migrações. Existem organismos e instituições a nível internacional, nacional e local, que põem o seu trabalho e as suas energias ao serviço de quantos procuram, com a emigração, uma vida melhor. Apesar dos seus esforços generosos e louváveis, é necessária uma acção mais incisiva e eficaz, que lance mão de uma rede universal de colaboração, baseada na tutela da dignidade e centralidade de toda a pessoa humana. Assim será mais incisiva a luta contra o tráfico vergonhoso e criminal de seres humanos, contra a violação dos direitos fundamentais, contra todas as formas de violência, opressão e redução à escravidão. Entretanto trabalhar em conjunto exige reciprocidade e sinergia, com disponibilidade e confiança, sabendo que «nenhum país pode enfrentar sozinho as dificuldades associadas a este fenómeno, que, sendo tão amplo, já afecta todos os continentes com o seu duplo movimento de imigração e emigração» (Mensagem para o Dia Mundial do Migrante e do Refugiado - 2014). À globalização do fenómeno migratório é preciso responder com a globalização da caridade e da cooperação, a fim de se humanizar as condições dos migrantes. Ao mesmo tempo, é preciso intensificar os esforços para criar as condições aptas a garantirem uma progressiva diminuição das razões que impelem populações inteiras a deixar a sua terra natal devido a guerras e carestias, sucedendo muitas vezes que uma é causa da outra.
À solidariedade para com os migrantes e os refugiados há que unir a coragem e a criatividade necessárias para desenvolver, a nível mundial, uma ordem económico-financeira mais justa e equitativa, juntamente com um maior empenho a favor da paz, condição indispensável de todo o verdadeiro progresso.
Queridos migrantes e refugiados! Vós ocupais um lugar especial no coração da Igreja e sois uma ajuda para alargar as dimensões do seu coração a fim de manifestar a sua maternidade para com a família humana inteira. Não percais a vossa confiança e a vossa esperança! Pensemos na Sagrada Família exilada no Egipto: como no coração materno da Virgem Maria e no coração solícito de São José se manteve a confiança de que Deus nunca nos abandona, também em vós não falte a mesma confiança no Senhor. Confio-vos à sua protecção e de coração concedo a todos a Bênção Apostólica.
Vaticano, 3 de Setembro de 2014.
FRANCISCUS