domenica 12 ottobre 2014

Al Sinodo le proposte dei cattolici indiani

Cattoliche indiane durante una processione


Secondo un gruppo di laici più che una “Chiesa domestica”, la famiglia cattolica è considerata un animale “messo in gabbia, utile a fare uova e aumentare la popolazione”. Sì ai contraccettivi artificiali

PAOLO AFFATATOROMA



Lo straordinario attivismo di un gruppo di leader laici cattolici in India, in occasione del Sinodo sulla famiglia, partorisce “proposte alternative” che hanno fatto storcere il naso ad alcuni vescovi indiani. E che giungono a Roma nel contributo del sacerdote Arul Raj Gali, direttore nazionale di un gruppo di Pastorale familiare, presente al Sinodo tra i collaboratori del Segretario speciale.


Tutto è partito dal “vulnus” registrato da un gruppo laici che hanno constatato come in India il noto questionario pre-sinodale – distribuito nelle diocesi di tutto il mondo – sia rimasto, in molti casi, appannaggio dei soli parroci. Si sono allora attivati per lanciare una “consultazione di base”, intesa come reale espressione del laicato cattolico indiano, costituendo un gruppo informale denominato “Forum cattolico indiano”.


Il gruppo ha messo in campo uno sforzo non indifferente con l’obiettivo di far sentire il protagonismo dei laici nella comunità, rispetto alla gerarchia. Consultazioni locali si sono svolte a Pune, Chennai, Kanpur. Ai fedeli è stato distribuito un “questionario alternativo”, elaborato sul modello di quello ufficiale, ma semplificato in molte parti. Va detto che alcuni vescovi come George Atnonysamy di Madras e Thomas Dabre di Pune hanno incoraggiato attivamente le consultazioni, che hanno registrato risultati anche numericamente apprezzabili.


Il tutto è stato presentato alla Consulta nazionale delle famiglie cattoliche, tenutasi a fine agosto a Pune, appuntamento istituzionale guidato dal vescovo Lawrence Dorairaj, presidente della Commissione episcopale per la famiglia, e da Arul Raj Gali, direttore nazionale del movimento “Holy cross family ministry”, uno dei delegati indiani al Sinodo.


I dati emersi hanno confermato il trend: il vescovo Dorairaj ha deplorato il fatto che, delle 125 diocesi di rito latino interpellate, solo 55 avevano risposto al questionario ufficiale, e in modo non molto sistematico. La Consulta si è rammaricata del fatto che, lungi dall'essere considerata dal clero come “Chiesa domestica”, la famiglia cattolica troppe volte “è simile a un uccello addomesticato, messo in gabbia per produrre uova, cioè per aumentare la popolazione cattolica”.


Dal “questionario parallelo”, promosso dal Forum, sono emersi dati interessanti: ad esempio, a Chennai l'alcolismo risulta una delle principali cause di disgregazione della famiglia. Ancora: le famiglie spesso rifiutano di accettare e osservare gli insegnamenti dell’enciclica “Humanae Vitae” sul divieto alla contraccezione artificiale. Altro “nervo scoperto”: si segnala la condizione di subalternità della donna nella Chiesa indiana, immersa in una società dove vige la mentalità e la cultura patriarcale.


I corsi prematrimoniali esistenti – emerge dalle risposte – risultano, poi, gravemente insufficienti e spesso non liberano le coppie cattoliche da pratiche tradizionali radicate come “la dote”. Altrettanto necessario risulta il confronto tra diritto canonico e leggi civili, quando si toccano le disposizioni sui matrimoni interrituali (tra cattolici di riti diversi), interconfessionali e interreligiosi.


Il gruppo ha elaborato, dunque, una serie di proposte giunte in Vaticano tramite Arul Raj Gali: si parte dall’urgenza di rendere la formazione sul matrimonio “parte integrante del ministero pastorale della Chiesa”, coinvolgendo attivamente i laici. E si invitano le diocesi a “istituire centri pastorali diocesani per accogliere le donne vittime di violenza domestica”. In tali casi, “il processo di annullamento del matrimonio cattolico dovrebbe essere più celere”, si afferma.


I laici indiani sposano la visione che considera i sacramenti “un mezzo di santificazione, non una ricompensa per i buoni”. E appoggiano, dunque, la ricerca di soluzioni pastorali per riammettere i divorziati risposati all'Eucaristia, a condizione che siano adeguatamente disposti e formati.


Tra le proposte di riforma, quella del canone 1398 che prevede la scomunica “latae sententiae” per la donna che si procura un aborto, a prescindere dalle circostanze. Si chiede anche di armonizzare con le leggi civili le disposizioni del diritto canonico sull’età minima necessaria per contrarre le nozze (14 anni per le femmine, 16 per i maschi): problema, questo, molto sentito in un contesto come quello indiano, dove restano pratica consueta i matrimoni combinati dalle famiglie di origine, fin dalla tenera età dei figli. Alla Chiesa e alle stesse famiglie si chiede di compiere “sforzi concertati per superare la mentalità patriarcale e tutte le forme di discriminazione”.


Per i matrimoni interreligiosi, dato che per uno dei coniugi non è possibile ricevere l’Eucarestia, “è consigliabile celebrare le nozze al di fuori della Messa”, afferma il testo. E, a livello fisiologico, si contesta il divieto generale di “contraccezione artificiale”, chiedendo infine se si può rispettare, e non condannare, chi opta per fecondazione in vitro.

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