martedì 14 ottobre 2014

Le pesche di Paolo VI



Un pomeriggio con Montini. 
L’arazzo. È ricavato da una fotografia di Pepi Merisio l’arazzo ufficiale che sarà usato per la beatificazione di Paolo VI. Si tratta dell’immagine del fotografo originario di Caravaggio scattata a Manila, durante l’incontro di Papa Montini con il mondo universitario delle Filippine, il 28 novembre 1970. L’immagine usata per l’arazzo si differenzia dall’originale per lo sfondo che, fatto di sanpietrini, salendo verso il cielo, va dalla tonalità azzurra al blu. In occasione della beatificazione, il 14 ottobre alle 21.30 va in onda su Rai Storia il documentario «Paolo VI. Il Papa audace» di Antonia Pillosio, con testimonianze dei cardinali Poupard, Ravasi e Tucci.
Anticipiamo un estratto dal libro «Rialza il povero dall’immondizia. Confidenze sulla mia famiglia e la mia vocazione» (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2014, pagine 222, euro 18) del cardinale diacono di San Lino. 
(Giovanni Coppa) Il 1° novembre 1975 fui nominato Assessore della Segreteria di Stato, il numero tre dell’ufficio, come si diceva scherzosamente. Monsignor Benelli me l’aveva comunicato riservatamente qualche giorno prima come intenzione di Paolo VI, dandomi tempo per rifletterci.
La proposta mi sorprese non poco, e mi procurò anche qualche preoccupazione, perché sapevo quale lavoro mi sarebbe toccato. Ma il giorno dopo, quando dovevo dare la risposta, il Vangelo della Messa era quello della pesca miracolosa e della risposta di Pietro a Gesù: In verbo tuo laxabo retia (Luca, 4, 5), nel tuo nome getterò le reti; e quelle parole mi diedero la sicurezza che, se il Signore chiamava, mi avrebbe anche dato la forza. E poi, come dire di no a Paolo VI? Accettai dunque; e credo che ripetei quel pensiero nella lettera di ringraziamento della nomina, a cui, come altre volte, il Santo Padre mandò una sua risposta autografa, come sempre molto espressiva e affettuosa.
I colleghi, informati pubblicamente in riunione congiunta, se ne dimostrarono contenti. Il lavoro cominciò subito: ogni giorno vi erano mucchi di brevi risposte, in tutte le lingue, da firmare e inviare ai fedeli che scrivevano al Santo Padre da tutto il mondo. Mi accorsi in seguito che quelle letterine, benché impersonali e stereotipate, erano gelosamente conservate dai destinatari, perché le vidi incorniciate e appese in case private in Roma o fuori, e anche in Cecoslovacchia, quando fui Nunzio là, e il mittente mi ricordò entusiasta il fatto; una famiglia inglese del Galles mi scrive tuttora spesse volte all'anno, e ne sono passati da allora! Qualche volta le risposte non calzavano con le confidenze anche intime dei mittenti, e mi toccava ritoccare o avvertire i colleghi del settore, causando qualche malumore. Oltre a questo, bisognava anche ricevere persone per incarico del Sostituto, talora per richieste ritenute dai superiori un po’ fuori degli schemi, e spiegare, chiarire, consigliare: cosa né facile né simpatica. E qualche volta, per ordine di monsignor Sostituto, bisognava fare anche una “partaccia” con qualcuno.
A Natale di quell’anno ci fu, in piazza San Pietro, la conclusione solenne dell’Anno Santo 1975, ed era la prima volta che partecipavo a una cerimonia papale nel nuovo incarico. Poco per volta, conobbi personalmente tutti gli Ambasciatori presso la Santa Sede, perché toccava all’Assessore incontrare i nuovi Capi Missione dopo il loro arrivo, e dar loro le informazioni necessarie per l’inizio della loro missione: e lo faceva l’antico ragazzo di via Pierino Belli 13 di Alba, che ora trattava con quelle personalità di grande spicco, ed era da esse ricambiato con tanto rispetto.
Era poi una grande lezione collaborare a fianco a fianco del Sostituto Benelli, un uomo tutto d’un pezzo, che non risparmiava osservazioni quando necessarie, ma aveva una grandissima carica umana e una viva fantasia inventiva per rendere sempre più efficace il servizio della Santa Sede. Il suo ricordo rimane vivo in me come di un uomo autentico, aperto, immediato, sincero fino alla rudezza, ma comprensivo nel contatto umano: il suo ideale era la “fedeltà” assoluta al dovere, al Papa, alla Chiesa, e per essa non guardava in faccia nessuno. Fu la mano destra di Paolo VI nel post-Concilio, interpretando con la massima esattezza le direttive del Papa alla guida della Chiesa (cf. Giovanni Coppa, in Antonio Lovascio, Giovanni Benelli. Un pastore coraggioso e innovatore, Firenze 2012, pp. 42 s.).
Paolo VI manteneva il ritmo da lui stesso impresso come Sostituto nella Segreteria di Stato negli anni precedenti, com’egli ricordava bene e con tanta delicatezza. Ebbi con lui un’udienza come Assessore, nel periodo estivo di uno di quegli anni: monsignor Sostituto era in vacanza, io lo sostituivo, e il Papa mi chiamò perciò in luogo di monsignor Benelli, un pomeriggio a Castel Gandolfo. Radunai le pratiche più urgenti e importanti dell’ufficio, preparandomi molto seriamente all’incontro; ma Paolo VI, davanti al quale avevo collocato la cartella dei dossier, non vi dedicò alcuna attenzione per parlare di tutt’altro. In primo luogo mi chiese se, come Assessore, fossi contento del mio lavoro. Al che risposi di sì, com’era vero, e la mia ansia sparì completamente: fu una grande lezione spirituale ascoltare il Papa che mi diceva tra l’altro: «Caro monsignore, la nostra vita è come un filo d’oro, che il Signore svolge per ciascuno di noi col suo amore infinito»: e così via di questo passo, con quel suo stile pensoso e persuasivo, che entrava nel cuore. Alla fine mi benedisse e mi accompagnò fino alla porta.
Ma quale non fu la mia sorpresa e la mia contentezza quando, rientrato a casa, vidi che l’autista teneva con le due braccia una grossa cassetta con tante pesche belle e profumate, specialità sopraffina di quella cittadina dei Castelli Romani dov’è il Palazzo Apostolico. Bellissima conclusione fuori programma di quello splendido pomeriggio passato con Paolo VI.
L'Osservatore Romano