mercoledì 1 ottobre 2014

Quale speranza al fallimento dell’amore?

La Chiesa deve confermare il progetto di Dio su matrimonio e famiglia, non risolvere 'problemi tecnici'

Intervista a Josè Noriega, docente di Teologia morale presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II su Matrimonio e Famiglia, direttore editoriale della rivista "Anthropotes"

Di cosa soffre la famiglia naturale nei Paesi avanzati? Perché una certa cultura continua a chiedere di stravolgere la natura, il ruolo e l’identità di uomini e donne? Che senso ha interrompere la gravidanza per milioni di bambini e bambine, e poi essere disposti a tutto, fino a affittare uteri e commercializzare ovuli e gameti per nascite selezionate con criteri eugenetici? E di tutti questi temi ne discuteranno i vescovi riuniti a Roma per il Sinodo straordinario sulla Famiglia? Per cercare di comprendere la sostanza delle discussioni in atto sul presente e futuro della famiglia, ZENIT ha intervistato il prof. Josè Noriega, ordinario della cattedra di Teologia morale speciale presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, nonché direttore editoriale della Rivista Anthropotes.

Quali secondo lei i temi più rilevanti che il Sinodo sulla Famiglia dovrebbe discutere?
Questo numero della rivista Anthropotes (Quale speranza al fallimento dell’amore? Rifarsi la vita nella fedeltà) vuole mettere in rilievo un aspetto importante della discussione sui divorziati risposati e, in questo modo, aprire alle vere domande del Sinodo. Ciò che stupisce di più è l’assenza delle grandi domande di fondo. Si discute solo sulla praticabilità di questa o quella soluzione tecnica, ma non è emerso quanto è veramente in gioco nel dibattito, ovvero la grande domanda: quale è il ruolo della sessualità nell’economia della salvezza e se in essa si trova una strada verso la comunione con Dio. La vera domanda, in fondo, è quella riguardante la vocazione all’amore umano ed il suo percorso verso una pienezza. La grande 

Chiesa è chiamata a confermare il progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia, non a trovare soluzioni tecniche ai problemi.
I media hanno dato molto spazio alla discussione relativa alla comunione dei divorziati risposati. Secondo lei è questo un tema importante da discutere? Perché?
Come dicevo, il tema è importante perché è in gioco la proposta della Chiesa sul matrimonio e la famiglia, cioè, se la Grande Chiesa ha o no una proposta di amore umano che conduca ad una vita piena. Per evidenziarlo, i contributi di Anthropoteshanno presso in considerazione una visione “narrativa” della persona. Vale a dire, gli autori si sono domandati come è possibile riuscire a raccontare in modo unitario la nostra storia, in modo che abbia un’origine e un destino e possa essere un viaggio verso la comunione con Dio. L’insegnamento della Chiesa sull’indissolubilità è un buona novella perché ci dice che quest’unità, questa possibilità di radunare i momenti della vita, è data all’uomo e alla donna che si sposano. Il problema dei divorziati risposati consiste nell’aver cercato un nuovo inizio, ma senza connessione con la promessa sponsale, e così pensano di poter ricostruire un frammento della loro vita, rinunciando all’unità. La Chiesa, invece, dice: c’è una speranza anche per il fallimento dell’amore, è possibile rifarsi una vita; non ricominciando da capo ogni volta che si fallisce, ma rifacendosi la vita nella fedeltà. Il punto di vista narrativo evidenzia la drammaticità con la quale costruiamo la vita, e come solo nella fedeltà alle grandi promesse si può acquistare l’unità.
Ho avuto l'occasione di incontrare vescovi, sacerdoti, laici di diversi paesi nel mondo protagonisti della pastorale familiare. Tanti si sono stupiti di quanto hanno scritto i giornali del mondo occidentale. In moltissime parti del mondo la condizione dei divorziati risposati è un argomento marginale e di nessuna rilevanza. Hanno sollevato invece altri problemi quali la povertà della famiglie, le culle vuote, il crollo demografico, la cultura dello scarto, il non rispetto dei diritti umani soprattutto nei confronti delle donne, i condizionamenti per limitare le nascite, i pochi aiuti per le famiglie numerose, le difficoltà educative, l’abbandono dei figli. Cosa ne pensa di questo? 
In un naufragio il tentativo di salvare qualcosa ad ogni costo può far dimenticare la cosa più importante: navigare necesse est, vivere non necesse est. Il senso delle cose è più importante delle cose. Il tentativo dei media di centrare l’interesse del Sinodo sulla comunione ai divorziati risposati corrisponde al momento culturale di tarda modernità, che dimentica proprio il senso del matrimonio. L’intento della rivista è stato quello di mostrare un altro modo di vedere questo problema, che mette in rilievo la grande domanda e, in questo modo, può aiutare a vedere la questione centrale della famiglia. In fondo, quello che è in gioco è un grande dono di Dio, che Egli dona ad ogni coppia nel sacramento del matrimonio. Le aspettative del Sinodo non sono di risolvere questo o quel problema, ma di rispondere alla grande aspettativa di Dio, essendo fedele al dono che Egli ha affidato alla Chiesa. Questo dono si rende presente nell’Eucaristia, e si vive in ogni coppia nel sacramento del matrimonio. La consonanza tra matrimonio ed Eucaristia, come mostrano i diversi contributi di questo numero, è una consonanza “narrativa”, vale a dire, ci offrono uno stesso racconto (la possibilità del “per sempre” dell’amore), che dà senso alle nostre difficoltà. Oscurare questo “per sempre” vuol dire oscurare il dono di Dio per la Chiesa, dono eucaristico e matrimoniale, e non essere più capaci di annunciare la grandezza del Vangelo. L’altra strada è proprio quella di mettere al primo posto il grande dono di Dio, e così non partire dai problemi della famiglia, ma dalla speranza della famiglia, unico vero modo in cui la Chiesa può illuminare il mondo.
Il 19 ottobre sarà beatificato Paolo VI, il Papa che ha scritto e pubblicato l'Humanae Vitae. Una enciclica che provocò posizioni discordanti. Per alcuni è stata coraggiosa e profetica, per altri l'imposizione di un magistero retrogrado. Qual è la sua posizione in proposito?
L’insegnamento di Paolo VI è stato lungimirante: individuava i grandi problemi di fondo, la grande questione del futuro, come oggi vediamo. Il Magistero di San Giovanni Paolo II ha approfondito i fondamenti di questa visione. Il Vaticano II aveva messo in rilievo con chiarezza la dimensione personale dell’amore e del matrimonio. Ma questa grande ricchezza ha rischiato di vedersi oscurata in una visione individualista del soggetto e della coscienza, propria di una visione moderna ormai datata. La cultura odierna possiede uno sguardo nuovo sul corpo e sui rapporti che non è più quella moderna e che invita a sollevare nuove questioni. Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno sottolineato, appunto, la grande domanda: può il corpo umano, nei suoi rapporti, essere portatore di senso? Può, tramite l’amore, insegnarci a mettere insieme i diversi momenti della nostra storia? Papa Benedetto XVI ha messo in evidenza il pericolo di un “fai da te” con il corpo. Parlare di sessualità, nella grande visione di questi Pontefici, è parlare di rapporti e di vincoli che intrecciano la nostra vita alla vita degli altri, di fecondità che rende grande la vita. Si può allora capire la convenienza umana del matrimonio, della sua indissolubilità e della sua apertura alla vita. In questi modi la sessualità non si esaurisce nel godimento che offre, ma diventa luogo dove poter raccontare in modo unitario la nostra storia, come il numero della rivista Anthropotes mette in rilievo. La sessualità e l’amore umano possono avere allora un ruolo nell’amore divino, nella storia comune di Dio con gli uomini. Corpo, sessualità e amore, possono essere integrati in un movimento verso la comunione, in una strada di pienezza umana e divina. 
A. Gaspari