mercoledì 22 ottobre 2014

Una porta aperta sul futuro



Inaugurato a Rabat l’istituto ecumenico di teologia Al Mowafaqa.

Da «la Croix» dell’11 ottobre scorso pubblichiamo in una nostra traduzione un articolo dell’arcivescovo di Rabat.
(Vincent Landel) Il 20 settembre abbiamo inaugurato ufficialmente, a Rabat, Al Mowafaqa, istituto ecumenico di teologia, radicato nel contesto marocchino, aperto all’ecumenismo e al dialogo con la cultura e con l’islam. Non posso che rendere grazie per quella giornata. Non è un punto di partenza, e neppure un punto d’arrivo, ma è una porta aperta sul futuro. In effetti, il punto di partenza sono state la stima e la fiducia che abbiamo vissuto, il pastore Samuel Amedro, presidente della comunità evangelica in Marocco, e io, arcivescovo cattolico di Rabat. Quella fiducia reciproca si è costruita giorno dopo giorno, permettendoci di condividere i nostri interrogativi riguardo al futuro. 

Al punto che l’incontro è diventato dialogo, è diventato creatore. Volevamo far sì che le nostre comunità cristiane, sparse nel regno, potessero essere accompagnate da cristiani formati prima di tutto su un piano teologico. Quella stima e quella fiducia reciproca un giorno dovevamo celebrarle ufficialmente, per rientrare in un cammino di speranza.
Perciò abbiamo voluto cominciare con una preghiera ecumenica, ponendo l’intera riflessione sotto lo sguardo di Dio. Devo dire che, durante tutta la preghiera nella cattedrale, il mio cuore è scoppiato di gioia. Non avevo mai visto la cattedrale così piena, di sera durante la settimana, per una preghiera ecumenica. Lo Spirito è davvero all’opera. Come non mai, soprattutto perché molti cristiani, in Marocco, sono dell’Africa subsahariana, appartengono a numerose confessioni diverse e non sono molto sensibilizzati all’ecumenismo. La nostra presenza comune in terra d’islam ci “obbligava” a fare comunione. Come ci ha detto il pastore Laurent Schumberger nella sua predica, «l’altro è un cambiamento per la mia vita». Io l’ho toccato con mano. Un cammino di fiducia e di speranza è così tracciato per noi.
Ho reso grazie anche vedendo come potevamo lavorare subito nel campo interculturale; un concerto pubblico animato da un gruppo congolese insieme ai nostri cori ha mostrato quanto la Chiesa non possa essere estranea al profano. Ciò ha posto alcuni interrogativi, ed è un bene, perché c’invita a non fissarci nel conformismo, ma ad avanzare con fiducia nella speranza.
Ho reso grazie per lo svolgimento di quattro tavole rotonde, di alto livello intellettuale, riunite dal pastore Bernard Coyault e dalla sua équipe. Anche in quel caso, non avevo mai visto così tanta gente riunita nei locali di «La Source»; tanta gente, che veniva da ogni dove, dall’Africa subsahariana, come pure dal Marocco e dall’Europa, che condivideva una stessa dinamica, che viveva una totale fiducia e si aspettava molto da quell’istituto. Il gruppo dei nostri venti relatori colpiva per la sua competenza; erano quasi tutti docenti universitari provenienti dall’Europa, dall’Africa, di diverse confessioni cristiane e del mondo musulmano, sia uomini che donne. L’interesse è stato evidente per l’intera giornata. Quante persone ci hanno detto: «Non accade spesso che si possa realizzare un evento simile. Ed è in Marocco che l’abbiamo potuto fare».
Ho reso grazie durante l’inaugurazione propriamente detta, quando abbiamo sentito il rappresentante del ministro degli Habous e degli Affari islamici sottolineare «il ruolo che spetta ai teologi e agli uomini di Dio, che consiste, fra le altre cose, nell’aiutare le persone a vedere chiaramente ciò che avviene in un determinato momento, a dissipare la confusione e a schierarsi contro ogni sorta di terrore».
Ho reso grazie quando ho inteso la rappresentante del ministro degli Affari esteri dirci: «La scelta del Marocco per ospitare un istituto ecumenico delle Chiese cristiane testimonia la qualità dei rapporti che intratteniamo, come pure la fiducia reciproca che è la chiave di volta dei nostri legami fraterni. La creazione di questo istituto costituisce un atto forte al fine di testimoniare, di agire e di difendere la nostra condizione comune e la nostra capacità di vivere insieme e di rispettarci nella pace».
E perché non camminare nella fiducia e nella speranza, quando a concludere quel messaggio sono state queste parole: «Siamo sensibili alla vostra volontà di andare al di là di una formazione interna destinata unicamente a dei cristiani per aprirvi a una migliore comprensione religiosa in generale, ma anche all’insegnamento dell’arabo e dell’islam».
Non avremmo mai immaginato di ricevere simili messaggi in un simile giorno. Quanta fiducia ci è stata data. Non è forse un invito a correre nella speranza? Ho preso in prestito queste ultime parole da un fratello vescovo dell’Africa subsahariana. Era presente e mi ha subito scritto: «È stato per me un momento di grazia. Grazia della scoperta di un islam che guardavo da lontano senza cercare di conoscerlo meglio, il che è tuttavia indispensabile per un dialogo profondo; grazia anche della scoperta di questa audace collaborazione tra la comunità protestante e la Chiesa cattolica, e ne rendo grazie a Dio».
L'Osservatore Romano