mercoledì 12 agosto 2015

Io Credo nella differenza fra i sessi

Adamo ed Eva

di Roberto Marchesini

È  estate: fa caldo, non c'è niente alla TV e i giornali si riempiono di gossip. Uniamoci quindi allo svacco estivo, e giochiamo un po'.
Il 31 luglio la professoressa Giaccardi ha scritto per Avvenire un lungo ed complesso articolo intitolato «Riappropriamoci del genere» . Su richiesta del direttore ho risposto con un sintetico articolo esprimendo le mie perplessità sulla tesi esposta dalla professoressa.
Un paio di giorni fa Avvenire ha pubblicato un articolo firmato dal professor D'Agostino in difesa della collega Giaccardi. Non è possibile che il mio articolo abbia meritato la risposta di un cattedratico sul quotidiano nazionale della Cei. Ma fingiamo (ecco il gioco estivo) che sia così.
Scrive D'Agostino: «L'intelligente, documentata ed esauriente analisi che Chiara Giaccardi ha pubblicato suAvvenire del 31 luglio (dal titolo, davvero perfetto, “Riappropriamoci del genere”) ha suscitato qualche reazione stizzita e persino aggressiva». Non mi pare che la mia risposta fosse «stizzita e persino aggressiva», ma può essere comunque che il professor D'Agostino si riferisse a me: se decidiamo di polemizzare con qualcuno, l'altro deve essere aggressivo, altrimenti come potremmo sentirci dalla parte della ragione?
Dicevamo: questa «reazione stizzita e persino aggressiva» è «arrivata sino all’accusa a questo giornale e alla studiosa di non percepire (!) la gravità delle tensioni culturali che caratterizzano il mondo di oggi, di non tenere nel giusto conto (!!) l’antropologia cristiana e soprattutto di non dare la dovuta considerazione (!!!) alle dichiarazioni sul tema del Magistero e dello stesso Papa». Non mi riconosco nel primo punto esclamativo, ma nel secondo e nel terzo, diamine, si! Per quanto scandalo possano suscitare nell'animo del professore è proprio così: credo che l'articolo della professoressa Giaccardi abbia totalmente ignorato due pesanti punti di contrasto tra il cattolicesimo e l'ideologia di genere, esattamente l'antropologia cattolica e il Magistero. Tra l'altro, il professor D'Agostino insegna all'Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, l'ente preposto ad approfondire e diffondere la Teologia del Corpo di Giovanni Paolo II: possibile che nemmeno lui rilevi qualche leggera incompatibilità tra il Magistero del papa polacco e la «rivoluzione antropologica» costituita dall'ideologia di genere?
Prosegue il cattedratico (e qui siamo in pieno clima estivo, da infradito, canotta e braghette): «Non intendo entrare nel merito di elucubrazioni frutto di letture grossolane e distorcenti, che si commentano da sole». Adoro quando qualcuno, in un dibattito, tira fuori una frase del tipo «Non mi abbasso nemmeno a commentare queste affermazioni...», l'ho sempre trovato esilarante.
Ma, al di là delle schermaglie polemiche e dei siparietti comici, veniamo al contenuto dell'articolo del professor D'Agostino: «A me interessa piuttosto rilevare come dietro certe pur modeste polemiche si nasconda un’insidia non irrilevante: quella di confondere la dimensione filosofica e quella teologica dell’antropologia cristiana e, cosa ancor più grave, quella di erigere l’adesione all’antropologia filosofica cristiana a unità di misura della stessa fede, quasi che al Credo che recitiamo ad alta voce ogni volta che partecipiamo alla Messa si dovesse aggiungere un’ulteriore proposizione: "Credo alla differenza tra i sessi"». Affrontiamola, dunque, quest'insidia.
Il rapporto tra scienza e fede può essere descritto secondo quattro modelli.
Il modello NOMA (non-overlapping magisteria). Secondo questo modello, proposto nel 1997 dal biologo Stephen Jay Gould, la scienza e la fede costituiscono “due magisteri non sovrapposti separati da una vasta terra di nessuno”. Precursori del modello NOMA possono essere considerati i cosiddetti “averroisti latini” (tra gli altri Sigieri da Brabante e Boezio di Dacia), con la dottrina della “doppia verità”.
Il modello razionalista (o illuminista). Secondo la visione razionalista, rappresentata a livello internazionale da Dawkins e Dennett e a livello nazionale da Odifreddi e Pievani, la fede – in quanto pericolosa credenza irrazionale – non può fornire alcun contributo alla ricerca della verità.
Il modello fideista. Questa posizione, speculare a quella razionalista, sostiene che la verità può essere solo rivelata (quindi accessibile esclusivamente attraverso la fede) e mostra una sfiducia nei confronti della ragione. Esempi di fideismo sono il fondamentalismo protestante e i commentatori musulmani di Aristotele.
Il modello scolastico. Secondo questo modello esiste un'unica verità, raggiungibile per vie diverse sia attraverso la fede che attraverso la ragione. Il più noto sostenitore di questo modello è Tommaso d'Aquino; recentemente questo modello è stato ripreso da Giovanni Paolo II che lo ha esposto diffusamente nella sua enciclica Fides et ratio.
Non vorrei apparire stizzito e persino aggressivo, ma a mio modesto parere, distinguere tra «la dimensione filosofica e quella teologica dell’antropologia cristiana» significa riproporre la dottrina della «doppia verità»: da un punto di vista religioso si, ok, «il cristianesimo ha sempre unito l’icona della tenerezza assolutamente silenziosa e gratuita e del rapporto misterioso e indissolubile tra i sessi». Però questa cosa vale fino alla soglia della sacrestia, perché «L’antropologia filosofica occidentale sta lentamente prendendo coscienza della complessità del tema del genere, dopo averlo per secoli semplificato grossolanamente e brutalmente assumendo (tranne rare eccezioni) come paradigma unitario e unificante del rapporto tra i sessi quello biologico».
Ecco: questa cosa, la «doppia verità» (tanto di moda ai giorni nostri, i giorni del «ma anche...») contrasta con il cristianesimo. Sia dal punto di vista filosofico (la filosofia cattolica ha fatto suo, con ottime ragioni, l'aristotelico «principio di non contraddizione») che teologico (l'enciclica Fides et ratio è interamente dedicata a questo argomento). D'accordo, la filosofia e la teologia hanno due metodi diversi (cfr. Fides et ratio § 49), ma non possono contraddirsi: esse sono «le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità» (Fides et ratio, incipit). Della stessa verità.
Veniamo infine alla «cosa ancor più grave, quella di erigere l’adesione all’antropologia filosofica cristiana a unità di misura della stessa fede, quasi che al Credo che recitiamo ad alta voce ogni volta che partecipiamo alla Messa si dovesse aggiungere un’ulteriore proposizione: "Credo alla differenza tra i sessi"». Bene, lo ammetto: sono colpevole della «cosa ancor più grave». Io «credo alla differenza tra i sessi». Lo credo per ragione, perché certum est et sensu constat. Lo credo per fede, perché lo insegna il Magistero ordinario autentico.
Perché, allora, questa proposizione non è stata inserita nel Credo? Perché ai tempi dell'estensione del Credo nessuno aveva posto in dubbio che gli uomini e le donne fossero diverse (abbiamo, in proposito, un documento filmato dell'epoca). Non escludo che in futuro vi verrà inserita.
In fondo la Chiesa non ha mai definito in modo solenne cose «nuove», ma cose «vecchie», che sono sempre state credute ma che, ad un certo punto, vengono messe in dubbio. Se adesso gli editorialisti del quotidiano della Cei, o i cattedratici di atenei cattolici mettono in dubbio la differenza tra i sessi, non è detto che essa non possa opportunamente diventare un dogma.

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Poligamia gay In Olanda sta cominciando
di Tommaso Scandroglio

In Olanda esiste la multigenitorialità gay o le plurifamiglie omosessuali. Si tratta di questo ed attenzione a non perdervi tra i legami di “parentela”. Jaco e Sjoerd sono una coppia di omosessuali maschi “sposati” tra loro. Hanno anche un altro amico omosessuale, Sean, che ha rapporti sessuali con loro. Jaco e Sjoerd vorrebbero sposare anche Sean ma purtroppo, loro dicono, la poligamia sia etero che omosessuale è vietata in Olanda: ”Jaco e io siamo sposati da otto anni. Purtroppo non possiamo sposare Sean, altrimenti lo avremmo già fatto in un batter d’occhio“. Ma proseguiamo. Daantje e Dewi sono una coppia lesbica. Anche loro sono “sposate”. I cinque si conoscono da anni. La coppia lesbica avrà un figlio tramite una sesta persona. Ora vogliono che questo figlio sia educato da tutti e cinque gli omosessuali. Dunque si sono recati dal notaio per sottoscrivere un regolare contratto di educazione multigenitoriale gay: “Cinque genitori con uguali diritti e doveri, divisi in due famiglie: queste sono le condizioni del contratto che tutti noi abbiamo firmato e sottoposto al notaio“.
Ma per i Paesi Bassi questo tipo di contratto non ha valore legale. Però dato che cinque teste gay pensano meglio di una etero, soprattutto quando è quella di un politico leguleio, le due “famiglie” hanno trovato la scappatoia. In Olanda c’è la possibilità che la madre biologica nomini, in sostituzione del padre biologico o del coniuge (anche gay), un altro genitore legale. E così Jaco è stato nominato genitore legale al posto di Dewi. “Abbiamo voluto fare in modo che ci fosse un genitore legale in entrambe le famiglie, perché divideremo anche l’educazione“, ha detto quest’ultima. 
La vicenda olandese che pare presa di peso dal teatro dell’assurdo è in realtà molto educativa perché apre gli occhi sulla reale rivoluzione che il gender ha innescato nell’antropologia e nel tessuto familiare. Dietro tutto questo si nasconde una logica tanto demente quanto ferrea che, se accettata, non può che portare a legittimare la multi-omo-genitorialità. Primo: perché limitare il matrimonio a due persone se il cardine è l’affetto? Tre amici non si possono volere così bene da desiderare di sposarsi? Secondo: se due gay – così si sostiene – possono egregiamente tirare grande un pupo, perché devono essere presenti nella stessa famiglia? Terzo: se “famiglia” è anche quella composta da una coppia gay, perché famiglia non può essere anche quella composta da cinque gay? Quarto: se il figlio può venire al mondo con il concorso anche di quattro o cinque persone, tra madri e padri biologici, donne che danno l’utero ed altre che “donano” il dna mitocondriale, perché parimenti non può essere educato sempre da più persone? Più gente c’è meglio è, no? Lo ripetiamo: se fai tue le premesse non puoi che accogliere anche le conclusioni.
Queste quattro domande provocatorie possono coagularsi in un’unica riflessione. La storia made in Netherlands trova il suo cuore pulsante in una parola: “desiderio”. Il desiderio per sua natura si espande all’infinito. Se lo lasciate correre a briglie sciolte,  state pur certi che il desiderio non farà più ritorno a casa ma vi porterà lontano, molto lontano. 
Ed infatti questa storia di genitori elevati alla “n” ha una dinamica centrifuga e al centro di questa omo-lavatrice c’è il desiderio. Un uomo desidera avere una relazione con un uomo. I due vogliono “sposarsi”. Questa coppia di “coniugi” conosce un terzo e avrebbero in animo di allargare la “famiglia”. I tre conoscono una coppia di lesbiche e desiderano allargare ancor di più la “famiglia”. La coppia lesbica anche lei vuole “sposarsi” e poi vuole un bambino. I cinque desiderano crescere tutti appassionatamente il pupo. E nessuno li ferma in questi loro propositi perché si pensa che siano desideri sacrosanti. Qualcuno all’opposto dice che vorrebbe vietare tutte queste cose. E no, questi tipi di desideri non devono essere assecondati. Liberals sì, ma fino ad un certo punto. Un punto ben piantato nel fondo della follia.