sabato 30 aprile 2016

Rendiamo grazie al Padre di tutte le misericordie...




Omelia del Cardinale Leonardo Sandri,nella Celebrazione Eucaristica della Solennità di Santa Caterina da Siena, Patrona di Italia e di Europa -  Roma, Basilica di Santa Maria sopra Minerva
(a cura Redazione "Il sismorafo") 
Alle ore 18 di venerdì 29 aprile 2016, nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva, il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali ha presieduto la Celebrazione Eucaristica nella Solennità di Santa Caterina da Siena, Vergine e Dottore della Chiesa, Compatrona della città di Roma, di Italia e di Europa. Alla Santa Messa hanno assistito Sua Beatitudine Youssef Ignace III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri, S.E. Mons. Cyril Vasil', Arcivescovo Segretario del Dicastero. Hanno concelebrato, oltre a numerosi religiosi domenicani e sacerdoti, anche i Superiori dei Frati Predicatori della Provincia del Centro-Italia e di quella di San Tommaso d'Aquino.  All'inizio della celebrazione, come tradizione, un rappresentante dell'Amministrazione Capitolina, ha offerto un omaggio floreale dinanzi all'altare che custodisce le spoglie mortali della Santa Senese. 
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1.Rendiamo grazie al Padre di tutte le misericordie, perché ci ha radunato a celebrare i santi misteri nella festa della Compatrona di Roma, di Italia e di Europa, Santa Caterina, vergine e dottore della Chiesa. 
Con stupore e commozione vogliamo sentirla vicina, non soltanto a motivo delle sue spoglie mortali che sono conservate e venerate sotto l'altare maggiore di questa basilica, ma ancor più perché in questi luoghi Ella visse per lunghi anni della sua vita mortale. Anche qui certamente allora fece l'esperienza di quel diventare dimora del Padre e del Figlio di cui ci ha parlato il Vangelo, il segreto più profondo della sua esistenza che espresse in numerose e bellissime preghiere e meditazioni.
Caterina, che fece la sua scelta religiosa dopo una visione del Santo Maestro Domenico, è gemma fulgida che brilla dentro il firmamento degli ottocento anni dall'approvazione dell'ordine dei Predicatori, che anche oggi, come ai tempi della Santa, officiano la Chiesa e animano la parte dell'antico convento che è stata restituita alla vita religiosa. Saluto qui con gioia i Superiori della Provincia Romana e di quella di San Tommaso d’Acquino, il Rettore della Chiesa, gli studenti e i confratelli domenicani, oltre che l’Arcivescovo Segretario e il Sotto-Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali, che mi accompagnano. Un saluto colmo di affetto va a Sua Beatitudine Youssef Ignace III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri, che ha voluto essere presente qui oggi per pregare con noi.
2. La Colletta, con cui ho rivolto la preghiera al Signore all’inizio dell’assemblea liturgica, ha tratteggiato l’opera di Dio in Santa Caterina, “ardente dello Spirito di amore”: “unire la contemplazione del Crocefisso e il servizio della Chiesa”. Ella, come testimone, ci cammina innanzi, e con la sua intercessione ci ricorda che noi pure siamo partecipi in virtù del nostro battesimo del mistero di Cristo e come figli, ogni giorno, chiediamo al Signore che ci conceda “di esultare nella rivelazione della sua gloria”. La gioia, l’esultanza, ci dice la Madre Chiesa con le parole della liturgia, scaturisce nel cuore perchéDio non è rimasto nascosto, ma si è fatto conoscere e, come dice Giovanni all’inizio del suo Vangelo “noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità”. Il Verbo che si è fatto carne, è il testimone fedele, l’Agnello che ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, abbiamo letto nell’Apocalisse, ma soprattutto Egli è “Colui che ci ama”. Caterina afferma: “Da qualunque lato io mi volgo trovo ineffabile amore, e non ci possiamo scusare di non amare, poiché tu solo, Dio e uomo, sei colui che amasti me senza essere amato da me, perché io non ero e tu mi facesti”. Al Signore, come l’apostolo Tommaso nell’ultima cena, Ella domanda quale sia la via per raggiungere il Padre: “O verità eterna, quale è la dottrina tua e quale è la via per la quale tu vuoi e ci conviene andare al Padre? Non ci so vedere altra strada se non quella che tu hai lastricata con le vere e reali virtù del fuoco della carità tua. Tu, Verbo eterno, l’hai battuta col sangue tuo: questa è la via adunque”.
3. La chiara percezione della misura dell’amore di Dio per l’uomo è motivo in Caterina di sentire la miseria del peccato che è rifiuto di Dio, rottura del legame autentico con Lui e con i fratelli: ciascuno di noi, anziché essere dimora di Dio, può lasciare che del cuore prenda possesso il mistero dell’iniquità. La risposta della santa che oggi celebriamo non è anzitutto quella di porsi sul piedistallo a giudicare il mondo, lei che forse ne avrebbe avuto maggiormente l’autorevolezza, ma quella di scegliere una via di penitenza evangelica e di conversione, per diventare con la sua vita un appello a tornare a Dio, ad essere Chiesa Sposa di Cristo, alla pace e alla riconciliazione tra i popoli divisi dalle guerre. È lo spirito del Giubileo della misericordia, indetto da Papa Francesco: ritornando a Cristo, passando attraverso la Porta Santa ma in realtà spalancando la porta del nostro cuore a Lui, tutti siamo chiamati a riprendere la via del Vangelo, anche i più lontani, gli esclusi, i peccatori impenitenti. Questa trasformazione interiore operata dalla Grazia deve dilatarsi intorno a noi e nel mondo intero, attraverso le opere di misericordia corporale e spirituale, e renderlo una dimora accogliente, una casa di giustizia e di pace. È la riprova di quello che san Giovanni ha affermato nella seconda lettura: “Se camminiamo nella luce, come egli (Gesù) è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri”. Preghiamo per il Papa e per la Chiesa, con la consapevolezza colma di fede della santa senese: “Grazia, grazia sia a te, sommo ed eterno Padre che, come pazzo della fattura tua, oggi mostri in che modo si possa riformare la santa Chiesa sposa tua. E supplico te che, come tu hai provveduto da l’una parte d’illuminare l’occhio dell’intelletto di questa necessità, così provveda dall’altra disponendo i ministri e, massimamente il vicario tuo, a seguire il lume che tu hai infuso e infonderai”.
4. Caterina dal cielo vede e contempla Roma, l’Italia e l’Europa, che le sono state affidate come compatrona. Con la sua preghiera Ella è chiamata a trafiggere le fosche nubi di tenebra che rendono difficile riconoscere come la Nazione e il Continente stiano camminando nella luce. Caterina assiste ancora, come ai suoi tempi, alla litigiosità colma di sterili divisioni e fazioni, anche tra coloro che hanno responsabilità nelle sorti dei popoli, o ai persistenti episodi di corruzione, di calunnia o di violenza. Ella amava definire Cristo come il ponte tra il cielo e la terra, ormai riconciliati nel Suo Sangue prezioso, e attraversava i confini degli Stati per recarsi dal Papa ad Avignone: ora vede l’Europa - essa che pure si conta tra i grandi produttori di armamenti - riempirsi di muri che ostacolano il cammino di coloro che fuggono dalla guerra e dalla miseria. Anche questo è un modo di far trionfare l’egoismo dell’individuo-Stato, anziché la collaborazione e la solidarietà tra i popoli, consentendo che si mantenga come sistema globale quanto il Santo Padre ha più volte denunciato. La comunione, la partecipazione, la solidarietà vanno protette, non la chiusura tra i popoli e le Nazioni!
5. Insieme con Caterina anche noi leviamo lo sguardo, ma non possiamo permettere alle tenebre evocate di essere l’ultima parola su noi e sul mondo. Più grande è il mistero della misericordia: anche noi dobbiamo invocarla e supplicarla. Dal nostro cuore, a causa del nostro peccato, delle priorità del proprio tornaconto in Europa, delle sofferenze indicibili dei fratelli in Siria, Iraq, Medio Oriente, Corno d’Africa (per ridestare l’attenzione sulla loro condizione tra qualche ora la Fontana di Trevi si tingerà di rosso..), del dramma degli sfollati in Ucraina, visto il pericolo in cui è messa la pace del mondo, sgorgano lacrime di impotenza, che chiediamo al Signore di asciugare, donandoci la consolazione e la speranza, come anche accadrà nella Veglia presieduta dal Santo Padre il prossimo 5 maggio. Scrive la nostra Patrona: “Oggi grido dinanzi alla misericordia tua che tu mi dia di seguitare la verità tua con cuore schietto; dàmmi fuoco ed abisso di carità; dàmmi continua fame di portare per te pene e tormenti; dà, Padre eterno, agli occhi miei fonte di lacrime, con le quali io inchini la misericordia tua sopra tutto quanto il mondo, e particolarmente sopra la sposa tua”. Amen

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«Cuore» è il titolo del primo seminario internazionale pensato per elaborare «una teologia intrinsecamente femminile»
L'Osservatore Romano
Cuore. «Cuore» è il titolo del primo seminario internazionale pensato per elaborare «una teologia intrinsecamente femminile» che si tiene dal 28 al 30 aprile a Roma nella sede della Pontificia università Urbaniana grazie all’impulso di Lucinda M. Vardey. Rispondendo all’invito più volte ripetuto da Papa Francesco di elaborare «una profonda teologia delle donne», l’iniziativa prevede altri due incontri che — sempre in coincidenza con il 29 aprile, festa di santa Caterina da Siena — si svolgeranno nel 2017 e nel 2018. Aperto da una relazione di Lucetta Scaraffia sui legami con il cuore nella storia della santità femminile, l’incontro di quest’anno comprende interventi di Judette Gallares, Mary Madeline Todd, Anne-Marie Pelletier, Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz, Lucinda M. Vardey, Leanna Cappiello, Emily Van Berkum, Philomena Njeri Mwaura, Elena Buia Rutt e Giulia Galeotti. Pubblichiamo stralci di due relazioni sulla figura di Maria nei vangeli di Luca e di Giovanni e sul pensiero di Edith Stein.Reinterpretando la figura di Maria. Donna tra le donne
(Anne-Maria Pelletier) L’umanità è associata in modo più intimo all’opera di salvezza attraverso la persona di una donna (cfr. Galati, 4, 4) e questo implica che le nostre teologie devono aprirsi decisamente alla realtà dell’“essere donna”. In un corpus evangelico che, si sa, è incredibilmente parsimonioso e discreto sulla persona della Vergine Maria, occorre fare riferimento al vangelo di Luca, precisamente al capitolo 23, versetti 19 e 51, dove due episodi del racconto dell’infanzia di Gesù — la visita dei pastori a Betlemme e il racconto su Gesù che rimane a Gerusalemme dopo la partenza dei suoi genitori — si concludono con l’affermazione che «Maria / sua madre, serbava tutte queste cose / parole (rèmata) meditandole nel suo cuore», con la duplice precisazione al verso 19 di un «serbava con cura» (sunetèrei) e di un lavoro della memoria sui rèmata meditati (sumbàllousa en te kardìa autès). 
Questa breve osservazione ha una portata a priori modesta, in ogni caso meno immediatamente teologica delle menzioni giovannee della «madre di Gesù», corredate dal titolo solenne e inatteso di gynè, “donna”, che, nel racconto di Cana e in quello della Passione, hanno immediatamente una portata cristologica ed ecclesiologica. Le parole di Luca appaiono piuttosto come una discreta incursione nel registro segreto dei pensieri di Maria nascosti in Dio, nell’intimo del suo cuore. Così, per un breve istante il racconto di Luca varca il recinto segreto di un cuore di donna la cui vita è toccata, nella quotidianità dei suoi giorni, da un disegno di Dio esorbitante, che sconvolge la sua carne e che accompagna la storia del bambino nato dal suo seno. 
Pertanto, il riferimento fatto qui al “cuore” fa intravedere che il discorso va oltre l’aneddoto dei “fioretti”, cosa che, tra l’altro, i due primi capitoli di Luca non sono affatto. È nota in effetti la densità di significato della parola “cuore” in antropologia biblica. Il cuore è il luogo della libertà, dunque della decisione, che comanda l’ascolto, il consenso a Dio o la chiusura alla sua Parola. Il cuore è anche chiamato all’esercizio di memoria delle opere di Dio, dei suoi comandamenti, delle sue promesse. Perciò la sua debolezza fa appello alla speranza di un cuore sul quale i comandamenti saranno iscritti, in Geremia, o più radicalmente, di un cuore nuovo, cuore di carne capace di palpitare d’amore, in Ezechiele. Allo stesso modo, la tematica del “serbare” è una pietra di paragone dell’alleanza e della fedeltà a cui essa impegna. Parlare dell’atteggiamento del cuore è dunque esprimere nel suo punto nevralgico la relazione con Dio. 
Pur rispettando la grande sobrietà del racconto di Luca, occorre cogliere qualcosa dell’atteggiamento interiore di Maria sottolineato da Luca con parole molto semplici, ma cariche di un silenzio che dobbiamo interpretare correttamente. Alla luce del duplice versetto riportato qui, vorrei in particolare reinterrogare l’eccezionalità di Maria che l’episodio di Luca 11, 27 sembra chiamare in causa, e che paragona la beatitudine del ventre che ha portato Gesù a quella dei cuori che ascoltano (akùontes) e serbano (phulàssontes) la Parola di Dio. Il che porterà a proporre alla nostra riflessione alcuni pensieri su una qualità del femminile di cui la fedeltà/fede di Maria è una testimonianza eminente, che la Chiesa da lei maternamente generata deve a sua volta riconoscere e vivere.
Volendo passare dal vangelo di Luca a quello di Giovanni, possiamo immaginare che è l’apprendimento di questa fedeltà paziente a permettere a Maria di stare ai piedi della croce. Qui più che mai l’eloquenza dei commenti spirituali svanisce e concede a Maria una percezione sublime dell’evento, ben lontana dalla realtà desolata del patibolo del Golgota dove si consuma «l’amore fino alla fine» di Cristo. Il succedersi delle perplessità che avevano suscitato le sue domande (all’angelo: «Come avverrà questo?», e all’adolescente ritrovato: «Perché ci hai fatto questo?») confluisce in questa ora in cui tutti i segni si spengono, mentre si compie la misteriosa profezia di Simeone. Che cosa capiva Maria ai piedi della Croce, mentre ripercorreva nella sua memoria lacerata il cammino di quel figlio senza eguali? Chi può dirlo? Ed è poi importante forzare il segreto? Nella notte oscura del venerdì santo è possibile che il «mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?» del figlio sia restato estraneo al cuore della madre? Ma a importare è solo ciò che attesta Giovanni: lei era lì, in piedi, sul calvario, alla portata degli occhi di Gesù. Si potrebbe allora anche immaginare qualcosa come l’ingresso di Maria nella nube della presenza divina, al tempo stesso oscura e luminosa: il dito sulla bocca.
Di fatto Maria non era sola sul Calvario. «Le donne che seguivano Gesù sin dalla Galilea» non lo avevano abbandonato come tutti gli altri. Anche nella nostra storia, Maria non è sola, contrariamente a un’immagine mitologica e tendenziosa («Sola tra tutte le donne, seppe piacere a Dio», Sedulius). Dobbiamo tenere presente che Maria, nel suo destino eccezionale, non è meno donna tra le donne. Teresa di Lisieux ha insistito su ciò sul suo letto di morte: «Non bisognerebbe dire di Lei cose inverosimili o che non si sanno». La stessa Teresa voleva che si dicesse: «viveva di fede come noi». Se la Vergine Maria è in stretta solidarietà con le donne del passato d’Israele, non lo è di meno con le donne di sempre e di ogni luogo. Credo, in effetti, che aiuti a percepire la capacità propriamente femminile di vivere l’oscuro, resistendo allo sconforto, superando l’evidenza della sconfitta, dunque senza abbandonare l’invisibile in cui la vita è invitta, dove la carne — per quanto sfigurata e decaduta — può sempre essere accolta, consolata, onorata. Una citazione per concludere: «tutti i viventi sono nel mio cuore. La locanda è vasta. Vi è perfino un letto e un pasto caldo per i criminali e i folli». Queste parole, che descrivono bene Teresa, potrebbero essere riferite altrettanto bene a Maria. Ebbene, sono le parole di un uomo, del poeta Christian Bobin. Mi piace questo confluire del maschile e del femminile. Credo che dobbiamo tenerlo presente nel nostro lavoro attuale. Ciò significa, nella fattispecie, che guardare e comprendere Maria è imparare la nostra umanità comune. E, per cominciare, chiaramente, è imparare a essere Chiesa, quella Chiesa che Maria riceve la vocazione di generare maternamente dalla bocca di Gesù sulla Croce. Possa tutta la Chiesa entrare nell’interiorità di questa fede di Maria che vede il mondo in Dio, serba una fiducia invincibile, qualunque sia la prova presente delle scadenze escatologiche.
La visione di Edith Stein. Nel profondo dello Spirito
(Hann-Barbara Gerl-Falkovitz)
Nei molteplici scritti teorici di Edith Stein, l’espressione “cuore” è poco comune, perché di solito lei non pone in rilievo l’affetto o il sentimento; nella maggior parte dei suoi documenti (escludendo le preghiere e le poesie) è rigorosamente riflessiva.
Ma nel suo capolavoro Essere finito ed essere eterno, scritto nel 1936-1937, si scopre l’espressione Herzmitte (“centro del cuore”). Cuore viene di solito usato come metafora di anima, ed è così possibile costruire un ponte verso la teoria dell’anima come centro inesauribile dell’essere umano. Questa antropologia porta, attraverso alcune riflessioni fenomenologiche, alla teologia dell’unità trinitaria in Dio. Ma soprattutto questo “cuore/anima” conduce in parte a Teresa d’Ávila, maestra psicologica e spirituale di Edith Stein.
La grandezza del “cuore” è quindi sia intellettuale che affettiva. Anche la chiara affinità con Agostino mostra la similitudine e la differenza nell’approccio di Edith Stein alla realtà umana e divina. La domanda se tale approccio può essere definito “femminile” richiede una risposta dettagliata.
In un testo straordinario e quasi sconosciuto del 1937, intitolato Pfingst-Novene (“novena di Pentecoste”) Edith Stein vede espresso nello Spirito Santo l’archetipo di donna. In sette versi innodici privi di rima e ritmo, la religiosa carmelitana domanda per sette volte «chi sei?» o «sei tu?», e di solito alla domanda aggiunge immagini o espressioni nelle quali si sente battere il suo cuore. Per esempio: «Sei forse tu la dolce manna, che emana dal cuore di tuo Figlio nel mio cuore?». Oppure riflette rifacendosi ai suoi scritti filosofici: «Dove tutti sentono il segreto significato del suo essere in modo delizioso». Il tono innodico le è familiare per aver lei stessa tradotto molti inni. Ma non condivide solo le immagini classiche, bensì le combina con il vivace ricordo di sua madre: l’aiuto altruistico, infinito, il calore naturale. Tutte queste esperienze si assommano nell’“avvocato”, lo Spirito santo: «Chi sei, dolce luce che m’inondi e rischiari la notte del mio cuore? Tu mi guidi come la mano di una mamma. Ma, se mi lasciassi, non più di un passo solo avanzerei».
In una sua riflessione questa idea ha radici ancora più profonde: «Nell’essere donna, ciò che è amore servizievole; non è un’immagine appropriata della divinità? Amore servizievole significa aiutare tutte le creature a giungere alla perfezione. Ebbene, tale è l’ufficio dello Spirito santo. Conseguentemente, nello spirito di Dio che si sparge su tutte le creature, potremmo vedere il prototipo dell’essere femminile. La sua immagine più perfetta la troviamo nella purissima Vergine (...); a lei più vicine sono le vergini consacrate (...). Sono sua immagine anche quelle donne che stanno accanto a un uomo che è immagine di Cristo, e che edificano il suo corpo, la Chiesa, attraverso la maternità fisica e spirituale» (Probleme der neueren Mädchenbildung).
Così, in modo del tutto inaspettato, si ritrova la poetessa nella filosofa, la donna credente nella pensatrice. Vivere a partire dal proprio cuore è la qualità dello spirito, dello Spirito santo, ed Edith Stein vede in questa persona divina l’immagine originale dell’essere donna. Cuore ed essere donna sono uniti tra loro in una terza entità, lo Spirito Santo.
Non vi è alcun dubbio che, nell’affrontare tali concetti, Edith Stein vada oltre il semplice significato-evento che (già di per sé) fa saltare i metodi e i confini della fenomenologia. Non lo prende come una cosa neutrale per quanto riguarda i fatti, ma come l’emergere di un potere personale. Ovviamente le catene dell’ego individuale vengono efficacemente sciolte da ciò attraverso una «pienezza che proviene d’altrove» (Natur und Gnade).
Proprio perché si tratta di una questione di potere personale, costituisce il suo corrispondente come persona. Ciò significa che esige una risposta: «Questo è il grande segreto della libertà personale davanti a cui Dio si arresta al fine di consentirlo. Egli vuole poter regnare sullo spirito creato solo come dono liberamente offerto dell’amore di quello spirito» (Kreuzeswissenschaft). Viene così descritto in modo esplicito un processo di reciprocità. Fintanto che il significato-evento rimane un “esso”, ha solo un carattere violento, depotenziante. Ma se giunge come “tu”, dischiude la possibilità di un amore libero, reciproco. L’essere umano riecheggia Dio, ma anche Dio riecheggia l’essere umano. Il solo avvicinarsi a immaginare ciò è, di fatto, un significato-evento che porta all’insondabile.
In sintesi: «Nel nascondimento e nel silenzio si compie l’opera di salvezza. Nel silenzioso dialogo del cuore con Dio vengono preparati gli elementi vivi dai quali cresce il regno di Dio, vengono forgiati gli eccellenti strumenti che aiutano a innalzare l’edificio» (cfr. Das Gebet der Kirche). In altri termini: «Il giorno in cui Dio arriverà ad avere potere illimitato sul nostro cuore, anche noi arriveremo ad avere potere illimitato sul suo cuore».
L'Osservatore Romano