domenica 15 aprile 2012

Un papa raro con "sense of humor"


 

Per il compleanno del Santo Padre riporto due commenti: il primo che traggo da Vatican Insider, a firma di Marco Tosatti, e il secondo dal blog di Sandro Magister.

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Ho una curiosità, un po’ maligna. Mi chiedo quanti di quelli che nell’aprile del 2005 hanno votato per il cardinale Joseph Ratzinger pensavano che sette anni più tardi il pontefice bavarese sarebbe stato ancora lì, in mezzo a noi; con i suoi passettini veloci, resi più incerti dai problemi all’anca e al ginocchio destro; ma ancora lì, e con un’evidente voglia di fare. Purtroppo è una domanda difficile da porre, e a cui è probabilmente ancora più difficile rispondere sinceramente. Ma quello che nelle intenzioni di molti porporati doveva essere un papato di transizione si sta rivelando qualche cosa di diverso. Un regno fondante, l’opera di qualcuno che cerca di lavorare in silenzio e ostinazione, e in profondità.

Come? Pochi sanno che una gran parte del suo tempo e del suo impegno Benedetto XVI li pone in un lavoro oscuro, che non attira – e non potrebbe – l’interesse dei media, ma che è fondamentale per la vita della Chiesa: proprio per evitare che di qui a qualche anno i media abbiano motivi, non esaltanti, per occuparsi di lei.

Benedetto XI è convinto che la forza – e la debolezza – della Chiesa sia in primo luogo nelle diocesi, nelle Chiese locali. Nel pontificato di Giovanni Paolo II molto spesso la scelta dei vescovi era delegata ai presidenti delle Conferenze episcopali, ai nunzi, e ad altre componenti della Chiesa centrale e di quelle locali. Il Papa, molto spesso, e soprattutto negli ultimi anni di vita, se quello che ci viene raccontato è vero (e non abbiamo motivo di dubitarne), si limitava a firmare. Giovanni Paolo II delegava; si fidava dei suoi collaboratori, non sempre con molta fortuna, come la storia ci ha dimostrato.

Benedetto XVI ha uno stile diverso. Studia ogni “ponenza” (così si chiamano i dossier preparati per i tre candidati a ogni diocesi), studia il percorso di studi e di lavoro dei possibili futuri vescovi, e alla fine decide. E non è infrequente che chieda che gli siano presentati altri candidati, perché nessuno della “terna” lo soddisfa. E’ un lavoro tedioso, poco appariscente, ma di cui la Chiesa dei prossimi decenni dovrà essergli grata.

E’ lo stile di Benedetto. Che era anche quello di Joseph Ratzinger cardinale. Uno stile solitario, certamente; a parte qualche rara visita ad anziani cardinali di lingua tedesca, non si ricorda nella memoria della Curia un “Ratzinger sociale”, che invita e ed invitato a casa di colleghi e amici.

La stessa solitudine la si percepisce ora che è Papa. E il progressivo indebolirsi della figura del suo Segretario di Stato, il card. Tarcisio Bertone, sottolinea questa caratteristica. Pio XII nell’autunno del suo pontificato aveva Tardini e Ottaviani, due “mastini” di prima grandezza, a vegliare sulle spalle che si andavano curvando; Paolo VI aveva Benelli a tenere sotto verga di ferro la Segreteria di Stato e la Curia. Ma sarebbe difficile oggi indicare con certezza chi siano “gli uomini del Papa” al di là del Portone di Bronzo, fatta eccezione per Bertone, che però sembra incapace di reagire in maniera efficace agli attacchi che i vari corvi gli hanno sferrato nei mesi scorsi. Senza che ancora si veda una risposta di qualche tipo dalle conclamate “indagini” su Vatileaks, le fughe di documenti che hanno toccato anche l’Appartamento, e dalla misteriosa commissione vaticana di cardinali, di cui non si conoscono né i componenti, né le opere, tanto che non sono pochi quelli che dubitano della sua esistenza reale.

In questi sette anni Benedetto XVI ha camminato, portando avanti la sua opera; cercando di onorare un’eredità, lasciata dal profetico papa polacco, spesso pesante e ambigua; di difendere se stesso e la Chiesa da una quantità di attacchi e di malevolenza quale non si registrava dai tempi della Guerra fredda, con strumenti spesso inadeguati e insufficienti. E, soprattutto, per tornare all’inizio di questa riflessione, con una capacità, anche fisica, di resistenza che non può non stupire, e che forse stupisce qualcuno. E che porta altri a ipotizzare che forse non è tanto solo, forse è in una buona Compagnia. Ad multos annos.

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Oggi 16 aprile 2012 Benedetto XVI compie 85 anni. E tre giorni dopo compie sette anni di pontificato. Uno scrittore ne traccia un profilo. A sorpresa

di Andrea Monda





"La gioia profonda del cuore
è anche il vero presupposto dello 'humour';
e così lo 'humour',
sotto un certo aspetto,
è un indice,
un barometro della fede".

(Benedetto XVI)

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Non ho fatto un esame accurato, ma sono pronto a scommettere che se si analizzassero le ricorrenze verbali all'interno dei testi di Benedetto XVI, la parola più presente sarebbe “gioia”.

Partiamo da una delle tantissime sue affermazioni sull'importanza, per il cristiano, della gioia e proviamo ad applicarla a questo papa che si presentò appena eletto come "umile lavoratore nella vigna del Signore". È una frase tratta dal libro-intervista "Luce del mondo" e, posta quasi in apertura, suona categorica: 

“Tutta la mia vita è sempre stata attraversata da un filo conduttore, questo: il cristianesimo dà gioia, allarga gli orizzonti. In definitiva un'esistenza vissuta sempre e soltanto 'contro' sarebbe insopportabile”. 

Primo punto: gioia e ragione sono collegati. E il collegamento si trova in questa strana religione che “allarga gli orizzonti”. Scriveva Gilbert K. Chesterton parlando della sua conversione: “Diventare cattolici allarga la mente” e, più avanti: “Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.

Secondo punto, a sorpresa: ci eravamo forse abituati all'idea di un papa rivoluzionario, di un papa "contro”, ed ecco che arriva subito la smentita, perché non si può vivere “sempre e soltanto 'contro'”.

Ovviamente la contrapposizione è solo apparente. Nella stessa frase, più avanti, infatti il papa precisa:  “Ma allo stesso tempo ho sempre avuto presente, anche se in misura diversa, che il Vangelo si trova in opposizione a costellazioni potenti. […] Sopportare attacchi e opporre resistenza quindi fa parte del gioco; è una resistenza, però tesa a mettere in luce ciò che vi è di positivo”.

Resistenza, dunque, che vuol dire abbandono di ogni rassegnazione, lamento o risentimento, e cammino di ricerca paziente e tenace di “ciò che vi è di positivo”, di quella bontà che è nascosta nelle pieghe della storia degli uomini. È questo il coraggio di Benedetto, il coraggio della gioia:

“La gioia semplice, genuina, è divenuta più rara. La gioia è oggi in certo qual modo sempre più carica di ipoteche morali e ideologiche. […] Il mondo non diventa migliore se privato della gioia, il mondo ha bisogno di persone che scoprono il bene, che sono capaci di provare gioia per esso e che in questo modo ricevono anche lo stimolo e il coraggio di fare il bene. […] Abbiamo bisogno di quella fiducia originaria che, ultimamente, solo la fede può dare. Che, alla fine, il mondo è buono, che Dio c'è ed è buono. Da qui deriva anche il coraggio della gioia, che diventa a sua volta impegno perché anche gli altri possano gioire e ricevere il lieto annuncio”. 

Umiltà vuol dire coraggio, il coraggio della gioia. 

Gioia e umiltà progrediscono o regrediscono di pari passo. Lo aveva ben colto Chesterton nel suo breve ma denso saggio del 1901 sull'umiltà: 

“Secondo la nuova filosofia dell'autostima e dell'autoaffermazione, l'umiltà è un vizio. […] Essa accompagna ogni grande gioia della vita con la precisione di un orologio. Nessuno per esempio è mai stato innamorato senza abbandonarsi a una vera e propria orgia di umiltà. […] Se oggi l'umiltà è stata screditata come virtù, non sarà del tutto superfluo osservare che questo discredito coincide con il grande regresso della gioia nella letteratura e nella filosofia contemporanee. […] Quando siamo genuinamente felici pensiamo di non meritare la felicità. Ma quando pretendiamo un'emancipazione divina, sembriamo avere la certezza assoluta di non meritare nulla”.

Gioia e umiltà, quindi. Le due stanno o cadono insieme. Manca un piccolo tassello intermedio che però è molto presente nell'uomo e nel papa bavarese: l'umorismo. 

Gioia e umorismo sono per Benedetto XVI strettamente collegati. Scrive a conclusione del suo saggio di teologia dogmatica “Il Dio di Gesù Cristo”:

”Una delle regole fondamentali per il discernimento degli spiriti potrebbe essere dunque la seguente: dove manca la gioia, dove l'umorismo muore, qui non c'è nemmeno lo Spirito Santo, lo Spirito di Gesù Cristo. E viceversa: la gioia è un segno della grazia. Chi è profondamente sereno, chi ha sofferto senza per questo perdere la gioia, costui non è lontano dal Dio del Vangelo, dallo Spirito di Dio, che è lo Spirito della gioia eterna”.

Diceva Jacques Maritain che una società che perde il senso dell'umorismo si prepara il suo funerale.

Umorismo come via per la gioia; il "sense of humour" come modo divertente (nel senso più sano del termine) di vivere la vita, partendo dal punto fondamentale: l'essenza del cristianesimo è la gioia. Per dirla con Chesterton, maestro di umorismo, “la gioia è il gigantesco segreto del cristiano”. Scrive Benedetto XVI in "Il sale della terra":

“La fede dà la gioia. Se Dio non è qui, il mondo è una desolazione, e tutto diventa noioso, ogni cosa è del tutto insufficiente. […] L'elemento costitutivo del cristianesimo è la gioia. Gioia non nel senso di un divertimento superficiale, il cui sfondo può anche essere la disperazione”.

Se il mondo volta le spalle a Dio, ci dice il papa-teologo ex prefetto dell'ex Sant'Uffizio, non si condanna alla falsità, alla bestemmia e neanche all'eresia, ma alla noia. Viene in mente la battuta di Clive S. Lewis pronunciata quando ancora non si era convertito dall'ateismo al cristianesimo: “I cristiani hanno torto, ma tutti gli altri sono noiosi”.

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(s.m.) La pagina sopra riportata è tratta dall'ultimo capitolo del libro su Benedetto XVI che l'autore ha pubblicato in questi giorni:

Andrea Monda, "Benedetta umiltà. Le virtù semplici di Joseph Ratzinger", Lindau, Torino, 2012, pp. 192, euro 14,00.


Nel tracciare il profilo del papa, Monda mette decisamente al centro della scena due sue virtù, l'umiltà e "il suo frutto più gustoso", l'umorismo:

"Sono due parole che trovano in 'humus', terra, una comune radice etimologica. Chi è 'terra terra', chi non si insuperbisce, è a un tempo umile e dotato di umorismo, perché avverte che esiste un mondo più grande del proprio io e, oltre questo mondo, Qualcuno di ancora più grande. Umiltà e umorismo son il segreto della vita, soprattutto per un cattolico, e sono due tratti che caratterizzano al massimo grado l'uomo Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, non meno della sua opera".

Andrea Monda è laureato alla Pontificia Università Gregoriana. Insegna religione nei licei di Roma. Scrive su vari quotidiani e periodici. È autore di volumi dedicati a Tolkien e a C. S. Lewis.