giovedì 14 marzo 2013

Il suo nome è Francesco

 

Preghiamo per il Papa Francesco.

Il Signore Lo conservi, Gli doni vita e salute,

Lo renda felice sulla terra

e Lo preservi da ogni male.



Amen.


Di seguito il testo integrale del messaggio inviato questa mattina dal cardinale vicario Agostino Vallini alla Chiesa di Roma:

Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa di Roma! Sapete tutti che mercoledì 13 marzo la nostra Chiesa di Roma e l’intero mondo cattolico hanno ricevuto dal Signore un nuovo Pastore. Il suo nome è Francesco. Le campane delle basiliche e delle chiese hanno suonato a festa per esprimere la gioia dell’avvenuta elezione. Ancora una volta Dio ha visitato il suo popolo!
Il nostro primo pensiero è di ringraziamento al Padre della misericordia che ha illuminato i Cardinali elettori nella scelta del nuovo Successore di Pietro. La Chiesa di Roma è lieta di aver ricevuto il suo Vescovo, che la guiderà nelle vie del Vangelo per gli anni a venire.
Al Papa Francesco, all’atto dell’obbedienza dopo l’elezione nella Cappella Sistina, ho promesso fedeltà e affetto anche a nome di tutti voi: vescovi ausiliari, sacerdoti, diaconi, consacrati e laici. Gli ho assicurato che la Chiesa di Roma sarà a lui vicina, non gli farà mancare il calore filiale, accoglierà con fede e docilità la sua guida e lo sosterrà nel portare il formidabile peso che il Signore gli ha messo sulle spalle.
In queste ultime settimane molti avvenimenti ci hanno fatto percepire la vitalità della Chiesa. L’inaspettata rinuncia al pontificato di Benedetto XVI, che in un primo momento ci ha sorpreso tutti e addolorato, pian piano è diventata una forte esperienza di purificazione della fede ed un incoraggiamento ad amare di più Cristo e la Chiesa. Il Signore visitava il suo popolo con la luce di un’esemplare testimonianza!
Altrettanta vitalità e passione per il Vangelo ho potuto registrare nei giorni del Conclave. Il Collegio cardinalizio, in un clima cordiale e franco, di intensa comunione, senza nascondere limiti ed errori, ha esaminato la vita della Chiesa nei vari continenti e le sfide che l’attendono in questo complesso passaggio della storia.
Ho apprezzato la fede indomita di tanti pastori, il coraggio nelle prove per Cristo, l’ansia per l’annuncio del Vangelo, la premura verso i sacerdoti e i fedeli, la fermezza nel condannare i peccati, i comportamenti indegni e le controtestimonianze, l’amore ai giovani, ai poveri, agli ultimi della terra. La Chiesa è viva e risplende per la santità di tanti sacerdoti, consacrati, laici, testimoni della fede fino al martirio.
La preghiera poi si è levata da Roma e da tutto il mondo per accompagnare il delicato compito di scegliere il successore di Benedetto XVI. Lo Spirito Santo si è manifestato in maniera sorprendente. Il nuovo Papa è un testimone gioioso del Signore Gesù, annunciatore instancabile, forte e mite del Vangelo per infondere fiducia e speranza.
Egli continuerà a guidare la Chiesa, la sposa bella del Signore risorto, purificandola dalle macchie che talvolta ne oscurano lo splendore del volto; farà sentire la sua vicinanza a tutti gli uomini, perché la Chiesa sia la casa di tutti e nessuno senta l’imbarazzo di non starci bene: i poveri e gli ultimi si sentiranno capiti e amati.  Il nome del Poverello d’Assisi è un forte messaggio e annuncia lo stile e l’impronta del nuovo pontificato.
Roma, che ha sempre amato il Papa, sarà la prima a seguire il suo Vescovo e a rispondere alla missione di far risplendere la fede e la carità, in maniera esemplare e con gioiosa vitalità.
In attesa di poterlo incontrare al più presto, lo accompagniamo con la costante preghiera e chiediamo per la nostra comunità diocesana la Sua benedizione apostolica.
Cardinale Agostino Vallini
Vicario Generale del Santo Padre per la Diocesi di Roma

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DICHIARAZIONE DEL P. GENERALE DELLA COMPAGNIA DI GESÙ


A nome della Compagnia di Gesù ringrazio Dio per l'elezione del nuovo Papa, il cardinale Jorge Mario Bergoglio S.J., che apre per la Chiesa una tappa piena di speranza.

Tutti noi gesuiti accompagniamo con la preghiera questo nostro fratello e lo ringraziamo per la sua generosità nell'accettare la responsabilità di guidare la Chiesa in un momento cruciale. Il nome "Francesco", con il quale sarà chiamato d'ora in avanti, evoca il suo spirito evangelico della vicinanza ai poveri, la sua identificazione con la gente semplice e il suo impegno nel rinnovo della Chiesa. Dal primo momento in cui si è presentato davanti al popolo di Dio ha dato testimonianza in modo visibile della sua semplicità, umiltà, esperienza pastorale e profondità spirituale.

"Il carattere proprio della nostra Compagnia è dunque di essere un ordine religioso, apostolico, sacerdotale e unito al Romano Pontefice con uno specialissimo vincolo di amore e di servizio" (NC 2, n. 2). Per questo, condividiamo la gioia di tutta la Chiesa, mentre desideriamo rinnovare la nostra disponibilità per essere inviati alla vigna del Signore, in conformità con lo spirito del nostro voto speciale di obbedienza, che ci unisce al Santo Padre in maniera così specifica (CG 35, D. 1, 17).

 Roma, 14 marzo 2013
P. Adolfo Nicolás S.J.
                                                        Superiore Generale

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L'eterna giovinezza della chiesa
di Bruno Forte
in “Il Sole 24 Ore” di oggi,  14 marzo 2014
La Chiesa non cessa di sorprendere: come diceva uno dei grandi Padri della fede dei primi secoli,
San Giovanni Crisostomo, «essa è più alta del cielo e più grande della terra, e non invecchia mai: la
sua giovinezza è eterna». Così ha dimostrato di essere ancora una volta, in questo sorprendente
Conclave: la pluralità delle ipotesi fatte, i diversi giochi mediatici del "toto-Papa", facevano pensare
a un Collegio cardinalizio piuttosto disorientato, perfino diviso. E invece, in appena una giornata,
ecco il nuovo Papa.
Un segno forte di unità, un messaggio lanciato al "villaggio globale" dall'unica realtà che lo abita
dappertutto, sapendo coniugare universalità e identità locali, globalizzazione e presenza fedele fra la
gente di tutte le latitudini e di tutte le lingue e culture: la Chiesa cattolica. Peraltro, l'attesa del
mondo intero, rappresentato dalle migliaia di operatori dei "media" accreditati in Vaticano, che
hanno fatto partecipi in tempo reale donne e uomini di ogni angolo della terra di ciò che accadeva
nella Cappella Sistina e sulla Loggia delle benedizioni, e le immagini eloquenti più di ogni parola
della folla in attesa in Piazza San Pietro e del nuovo Papa affacciato con semplicità e stupore su
Roma e sul mondo, fanno comprendere come ciò che è avvenuto ha un significato che va al di là
della comunità cattolica e dello stesso popolo dei credenti. Proverò allora a guardare al nuovo
Successore di Pietro muovendo da diversi angoli visuali, lasciando che la profondità del cuore di chi
è stato chiamato si riveli con i giorni che verranno.
Il primo sguardo non può che essere quello della fede: Francesco I, Jorge Mario Bergoglio, è il
prescelto da Dio! Il nome stesso che ha voluto - lui, gesuita, ha scelto il nome del Poverello di
Assisi - è un programma, quello che ha ispirato lo stile di vita dell'arcivescovo di Buenos Aires
eletto Papa.
Un uomo dallo stile di vita povero, austero, vicino ai poveri, amato dalla sua gente e comunque
rispettato anche da chi ne temeva la libertà evangelica. Un Pastore che parla con semplicità e
immediatezza, e chiede che il popolo preghi su di lui, prima di dare lui, il Vescovo di Roma, la
benedizione "urbi et orbi". Nella fede, Papa Bergoglio si presenta per quello che dal punto di vista
teologicamente più corretto è anzitutto diventato: il pastore della Chiesa di Roma, che per disegno
divino presiede nella carità a tutte le Chiese del mondo. Bellissimo e perfino toccante questo suo
insistere sul rapporto con la concreta Chiesa locale di cui Dio lo ha voluto vescovo! Non di meno e
inseparabile da questo è lo sguardo che viene su di lui dal mondo: è il primo Successore di Pietro
che viene dall'America Latina, il continente col più alto numero di cattolici, ma anche con situazioni
drammatiche di povertà e di disuguaglianza. Se, come ha detto, "i fratelli Cardinali sono andati a
prendere il nuovo Vescovo di Roma alla fine del mondo", non c'è dubbio che questo fatto lancia un
messaggio di luce e di speranza a tutti i poveri della terra, a tutte le situazioni che attendono svolte
di giustizia e attenzione nuova.
Francesco sarà il Vescovo della povera gente, il servitore degli umili, l'amico dei piccoli, che
proprio così saprà contagiare pace e speranza vera a tutti. È il Papa che aiuterà la Chiesa a dare
risposta alle domande decisive che un teologo latino americano, di grande profondità spirituale e a
lui ben noto, così poneva: "In che modo parlare di un Dio che si rivela come amore in una realtà
marcata dalla povertà e dall'oppressione? come annunciare il Dio della vita a persone che soffrono
una morte prematura e ingiusta? come riconoscere il dono gratuito del suo amore e della sua
giustizia a partire dalla sofferenza dell'innocente? con quale linguaggio dire a quanti non sono
considerati persone che essi sono figli e figlie di Dio?" (Gustavo Gutierrez). Papa Francesco
risponde col suo sorriso e la semplicità dei suoi gesti a queste domande, ricordandoci che Dio
raggiunge tutti i cuori e parla tutte le lingue ed è vicino a ogni dolore perché la Sua è la lingua
dell'amore!
Lo sguardo che su questo Papa verrà dagli altri cristiani, poi, non potrà che essere di grande fiducia:
come è stato chiaro sin dalle sue prime parole, egli non si vuol presentare che come un fratello, il
vescovo della Chiesa che presiede nell'amore, deciso a evangelizzare con nuovo slancio anzitutto il
popolo della città di Roma, e proprio così a offrire un servizio di testimonianza e di carità a tutte le
Chiese. Era quanto da anni il dialogo ecumenico e l'ecclesiologia del Vaticano II erano andati
chiedendo nel pensare a un ministero universale di unità per tutti i discepoli di Cristo: proprio così,
un'alba di luce e di speranza per chi vive la passione dell'unità fra i cristiani. Anche i credenti di
altre religioni potranno guardare a Papa Francesco con fiducia: egli - lo ha detto dalla loggia delle
benedizioni - vuole servire la "fiducia fra noi", la "fratellanza" fra tutti.
La Sua franchezza, il suo profondo senso di Dio toccherà tanti cuori e aprirà la strada a dialoghi e
incontri veramente inediti. Anche chi non crede potrà trovare nei gesti e nelle parole di questo
testimone di Gesù amico degli uomini, di questo Vescovo di Roma servo dei servi di Dio, un
messaggio per la propria vita: sono certo che da lui tutti si sentiranno rispettati e accolti, capiti e
amati. La Chiesa e il mondo avevano bisogno di un uomo così!
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Parole del Prelato dell'Opus Dei per l'elezione del Romano Pontefice Francesco

Per i cattolici di tutto il mondo è un momento di grande gioia: il nostro nuovo Papa Francesco è il 265° successore di Pietro. Dal momento in cui abbiamo visto la fumata bianca lo abbiamo accolto con profonda gratitudine ed ora, seguendo l'esempio di Benedetto XVI, gli manifestiamo una incondizionata venerazione ed obbedienza. E anche il nostro affetto e le nostre preghiere, in continuità con quelle che abbiamo elevato insieme al Papa nella sua prima apparizione dalla Loggia delle Benedizioni della Basilica di San Pietro.

In questo momento di emozione, nel quale si tocca con mano l'universalità della Chiesa, rinnovo al nuovo Romano Pontefice un'adesione completa alla sua persona e al suo ministero, certo di esprimere in tal modo i sentimenti dei fedeli - laici e sacerdoti - della Prelatura dell'Opus Dei. Tutti ci affidiamo alle preghiere di Sua Santità per contribuire efficacemente, con gioiosa disponibilità, al compito dell'evangelizzazione che il Papa ha menzionato nel suo primo saluto alla Chiesa.
In queste settimane di serena attesa, si è parlato molto del peso che sta sulle spalle del Santo Padre. Ma non dimentichiamo che il Papa conta sull'aiuto di Dio, sull'assistenza dello Spirito Santo e sull'affetto e la preghiera dei cattolici, e di milioni di persone di buona volontà.
Come ha sempre consigliato San Josemaría Escrivá, chiedo oggi al Signore in modo molto speciale che tutti noi cristiani abbiamo "una sola volontà, un solo cuore, un solo spirito: perché «omnes cum Petro ad Iesum per Mariam!» — tutti, ben uniti al Papa, andiamo a Gesù, per mezzo di Maria" (Forgia, 647).
+ Javier Echevarría
Prelato dell'Opus Dei

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Quando era cardinale di Buenos Aires, Bergoglio nel 2001 presentò un libro di don Luigi Giussani, L’attrattiva Gesù. Già nel 1999, Bergoglio aveva presentato un altro libro di Giussani, El Sentido Religioso, e, in quella occasione disse: «Ho accettato di presentare questo libro di don Giussani per due ragioni. La prima, più personale, è il bene che negli ultimi dieci anni quest’uomo ha fatto a me, alla mia vita di sacerdote, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. La seconda ragione è che sono convinto che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo».

Di seguito alcuni passi di quell’intervento dell’allora cardinale Bergoglio:
«Ho accettato di presentare questo libro di don Giussani per due ragioni. La prima, più personale, è il bene che negli ultimi dieci anni quest’uomo ha fatto a me, alla mia vita di sacerdote, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. La seconda ragione è che sono convinto che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo. Oserei dire che si tratta della fenomenologia più profonda e, allo stesso tempo, più comprensibile della nostalgia come fatto trascendentale. C’è una fenomenologia della nostalgia, il nóstos algos, il sentirsi richiamati alla casa, l’esperienza di sentirci attratti verso ciò che ci è più proprio, che è più consono al nostro essere. Nel contesto delle riflessioni di don Giussani incontriamo pennellate di una reale fenomenologia della nostalgia.
Il libro che oggi si presenta, L’attrattiva Gesù, non è un trattato di teologia, è un dialogo di amicizia; sono conversazioni a tavola di don Giussani con i suoi discepoli. Non è un libro per intellettuali, ma per chi è uomo o donna. È la descrizione di quella esperienza iniziale, a cui mi riferirò più avanti, dello stupore che viene a galla dialogando sull’esperienza quotidiana provocata, affascinata dalla presenza e dallo sguardo eccezionalmente umano e divino di Gesù. È il racconto di un rapporto personale, intenso, misterioso e concreto allo stesso tempo, di un affetto appassionato e intelligente verso la persona di Gesù, e questo permette a don Giussani di arrivare come alla soglia del Mistero, di dare del tu al Mistero.
Tutto nella nostra vita, oggi come al tempo di Gesù, incomincia con un incontro. Un incontro con quest’uomo, il falegname di Nazareth, un uomo come tutti e allo stesso tempo diverso. I primi, Giovanni, Andrea, Simone, si scoprirono guardati fin nel profondo, letti nel loro intimo, e in essi si è generata una sorpresa, uno stupore che, immediatamente, li faceva sentire legati a lui, che li faceva sentire diversi.
Quando Gesù chiede a Pietro: «Mi ami?», «quel “sì” non era l’esito di una forza di volontà, non era l’esito di una “decisione” del giovane uomo Simone: era l’emergere, il venire a galla di tutto un filo di tenerezza e di adesione che si spiegava per la stima che aveva di lui – perciò è un atto di ragione – », è stato un atto ragionevole, «per cui non poteva non dire “sì”».
Non si può capire questa dinamica dell’incontro che suscita lo stupore e l’adesione se su di essa non è fatto scattare – perdonatemi la parola – il grilletto della misericordia. Solo chi ha incontrato la misericordia, chi è stato accarezzato dalla tenerezza della misericordia, si trova bene con il Signore. Chiedo ai teologi presenti che non mi denuncino al Sant’Uffizio né all’Inquisizione, però forzando l’argomento oserei dire che il luogo privilegiato dell’incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato.
Di fronte a questo abbraccio di misericordia – e continuo secondo le linee del pensiero di Giussani – viene proprio voglia di rispondere, di cambiare, di corrispondere, sorge una moralità nuova. Ci poniamo il problema etico, un’etica che nasce dall’incontro, da quest’incontro che abbiamo descritto fino ad ora. La morale cristiana non è lo sforzo titanico, volontaristico, lo sforzo di chi decide di essere coerente e ci riesce, una sfida solitaria di fronte al mondo. No. La morale cristiana è semplicemente risposta. È la risposta commossa davanti a una misericordia sorprendente, imprevedibile, “ingiusta” (riprenderò questo aggettivo). La misericordia sorprendente, imprevedibile, “ingiusta”, con criteri puramente umani, di uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e lo stesso mi vuole bene, mi stima, mi abbraccia, mi chiama di nuovo, spera in me e attende da me. Per questo la concezione cristiana della morale è una rivoluzione, non è non cadere mai ma alzarsi sempre.
Come vediamo, questa concezione cristianamente autentica della morale che Giussani presenta non ha niente a che vedere con i quietismi spiritualoidi di cui sono pieni gli scaffali dei supermercati religiosi oggigiorno. Inganni. E neppure con il pelagianismo così di moda nelle sue diverse e sofisticate manifestazioni. Il pelagianismo, al fondo, è rieditare la torre di Babele. I quietismi spiritualoidi sono sforzi di preghiera o di spiritualità immanente che non escono mai da se stessi.
Gesù lo si incontra, analogamente a 2000 anni fa, in una presenza umana, la Chiesa, la compagnia di coloro che Egli assimila a sé, il Suo corpo, il segno e sacramento della Sua presenza. Leggendo questo libro, uno rimane stupefatto e pieno di ammirazione davanti a un rapporto così personale e profondo con Gesù, e gli sembra che sia difficile per lui. Quando dicono a don Giussani: «Che coraggio bisogna avere per dire sì a Cristo!» oppure: «A me nasce questa obiezione: si vede che don Giussani ama Gesù e io invece non lo amo allo stesso modo». Lui risponde: «Perché opponete quello che voi non avreste a quel che io avrei? Io ho questo sì e basta, e a voi non costerebbe neanche una virgola di più di quello che costa a me… Dire sì a Gesù. Se io prevedessi domani di offenderlo mille volte, lo dico». Quasi testualmente, Teresa di Lisieux ripete la stessa cosa. «Lo dico, perché se non dicessi “sì” a Gesù non potrei dir “sì” alle stelle del cielo o ai capelli, ai vostri capelli…». Non c’è niente di più semplice: «Io non lo so com’è, non so come sia: so che io debbo dire “sì”. Non posso non dirlo». E ragionevolmente, ossia, ogni momento Giussani nella riflessione di questo libro ricorre alla ragionevolezza dell’esperienza.
Si tratta di iniziare a dire Tu a Cristo, e dirglielo spesso. È impossibile desiderarlo senza chiederlo. E se uno incomincia a chiederlo, allora incomincia a cambiare. D’altra parte, se uno lo chiede è perché nel profondo del suo essere si sente attratto, chiamato, guardato, atteso. L’esperienza di Agostino: là dal fondo dell’essere qualcosa mi attrae verso qualcuno che mi ha cercato per primo, mi sta aspettando per primo, è il fiore di mandorlo dei profeti, il primo che fiorisce in primavera. È quella qualità che ha Dio e che mi permetterò di definire con una parola di Buenos Aires: Dio, Gesù Cristo in questo caso, sempre ci precede, ci anticipa. Quando arriviamo, ci stava già aspettando.
Colui che incontra Gesù Cristo sente l’impulso di testimoniarlo o di dar testimonianza di quello che ha incontrato, e questa è la vocazione cristiana: andare e dare testimonianza. Non si può convincere nessuno. L’incontro accade. Che Dio esiste lo si può provare, però attraverso la via del convincimento mai potrai ottenere che qualcuno incontri Dio. Questo è pura grazia. Pura grazia. Nella storia, da quando è iniziata fino al giorno d’oggi, sempre precede la grazia, sempre viene prima la grazia, poi viene tutto il resto.

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«Così la Chiesa riparte dal Vangelo e ritrova il coraggio»
intervista a Andrea Riccardi a cura di Andrea Garibaldi
in “Corriere della Sera” del 14 marzo 2013
«L'ho visto pregare, da solo, in una chiesa di Roma prima del conclave del 2005, quello che portò
all'elezione di Benedetto XVI. L'ho visto di nuovo pregare, da solo, nella stessa chiesa, dopo quel
conclave, nel quale aveva ricevuto un alto numero di voti. Ricordo il suo sorriso e le parole che mi
disse: "Non è tempo per un Papa non europeo"».
Andrea Riccardi, ministro per la Cooperazione e l'Integrazione, cuore della comunità di Sant'Egidio,
dice che i cardinali «hanno voluto scegliere un Papa santo». Non hanno prevalso, continua,
questioni di dottrina, né si è tenuto conto di opportunità politiche: «È la Chiesa che riparte dal
Vangelo, ritrova il coraggio». Sabato scorso il cardinal Bergoglio era stato in Santa Maria in
Trastevere, basilica di riferimento della comunità di Sant'Egidio.
Riccardi, senza esagerare, afferma che lo conosce «abbastanza bene».
Quindi, ora è venuto il tempo per un Papa non europeo?
«La Chiesa in questo momento storico, in questa sua condizione faticosa, difficile, ha chiamato un
vescovo da un estremo lembo del mondo».
Se dovesse dire la sua qualità particolare?
«Una grande libertà spirituale. Una profonda spiritualità».
Non era in prima fila fra i «papabili» identificati in questi giorni.
«Mi aspettavo una sorpresa, avevo questa forte sensazione. Ed è arrivata una sorpresa, che paragono
a quella del 1978, quando fu eletto Karol Wojtyla, Giovanni Paolo II».
Bergoglio nella sua diocesi di Buenos Aires si poteva incontrare in autobus o in metropolitana.
«È famoso per questo. E si poteva incontrare nelle
villas
di Buenos Aires, dove migliaia di persone
vivono in baracche con i muri di cartone e di materassi».
È stato scritto che è un amico dei poveri.
«Sì, Bergoglio crede nella Chiesa della misericordia, senza esibizionismo pauperista. È un pastore
fermo, ma simpatetico con la gente».
Dove si può pensare che porterà la Chiesa?
«Credo che si dimostrerà un uomo di governo. Avrà la capacità di riformare la Curia. Ma non sarà
un Papa solo: non crede nel leaderismo e ha profonda fiducia nella collegialità».
Quali segnali l'hanno colpita nelle prime manifestazioni da Papa?
«La richiesta al popolo in piazza di pregare per lui. Questo chinarsi di fronte alla persone in festa. E
la sottolineatura della figura del Papa come vescovo di Roma».
Aveva accanto il cardinal vicario Vallini.
«Lo ha tenuto presso di sé, lo ha nominato. Tutti gesti che non sono consueti e non sono previsti».
Che significato ha la scelta del nome Francesco?
«Si tratta di un nome che indica il primato dello spirito. Chiamarsi Francesco vuol dire collegarsi
all'ecclesiologia, alla storia della Chiesa. Significa dare il senso della Chiesa evangelica».
Perché il nuovo Papa ha voluto recitare il Padre Nostro e l'Ave Maria?
«Per dare un tono familiare, pastorale al suo primo affacciarsi sulla folla di piazza San Pietro. Credo
che abbia la visione di una chiesa giovannea, nella scia di Giovanni XXIII. Bergoglio è un uomo del
Concilio. Semplicità e forza».
Sarà un Papa aperto alle altre Chiese?
«Sono sicuro che sarà un Papa ecumenico. Lo so per i colloqui avuti con lui. Tutto diverso da ciò
che si pensa dei latino-americani, concentrati sulla Chiesa cattolica. Lui ha, per esempio, un senso
spiccato dell'ebraismo, maturato grazie anche alla rilevante comunità ebraica di Buenos Aires».
È importante l'appartenenza alla Compagnia di Gesù?
«Meno del fatto che il nuovo Papa è soprattutto un libero spirito».
Cambierà la Chiesa con Francesco?
«Io credo che questo Papa riserverà notevoli sorprese». (A. Garibaldi)