sabato 9 marzo 2013

La libertà della Chiesa in epoca contemporanea



(Dominique Mamberti) Tutti hanno modo di apprezzare l’opera di mediazione che non di rado la diplomazia pontificia ha compiuto in epoca moderna nel contesto internazionale. Non intendo in questa sede soffermarmi su temi ben noti, quali la pace o lo sviluppo. Basti qui ricordare come da più parti si innalzino lodi quando la voce dei Sommi Pontefici si leva per difendere la pace. Cito solo a modo di esempio gli interventi del beato Giovanni Paolo II per scongiurare la guerra in Iraq del 2003 e i recenti appelli di Papa Benedetto XVI in relazione al conflitto in Siria. Tuttavia, non molti riconoscono che, affinché tale voce si possa effettivamente levare, occorre che venga adeguatamente tutelata la libertà della Chiesa di «predicare la fede e insegnare la propria dottrina sociale, esercitare senza ostacoli la propria missione tra gli uomini e dare il proprio giudizio morale, anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime» (Gaudium et spes, 76). In tal senso, nell’arco dei secoli, il Magistero pontificio ha sempre difeso la libertas ecclesiae di fronte all’ingerenza di qualunque autorità esterna che mirasse a limitarla.
Nella Dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, il concilio Vaticano II, di fronte alle nuove sfide poste dal mondo contemporaneo, ha ripreso tale principio, ampliandolo e connotandolo in modo duplice. Innanzitutto, esso riguarda la persona umana. Tuttavia, «non si fonda su una disposizione soggettiva, ma sulla sua stessa natura».
La libertà religiosa è così il «primo dei diritti umani, perché esprime la realtà più fondamentale della persona» (Benedetto XVI, 9 gennaio 2012), «cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri» (Giovanni Paolo II, 10 ottobre 2003), collocandosi nell’ambito del diritto-dovere personale di ciascuno di ricercare la verità, senza essere costretto ad agire contro la propria coscienza. In pari tempo, «la stessa natura sociale dell’essere umano esige che egli esprima esternamente gli atti interni di religione, comunichi con altri in materia religiosa e professi la propria religione in modo comunitario» (Dignitatis humanae, 3).
Ben si comprende perciò la valenza anche sociale della libertà religiosa, che non può pertanto essere limitata alla mera libertà di culto. Infatti, «sarebbe riduttivo — aggiunge Benedetto XVI — ritenere che sia sufficientemente garantito il diritto di libertà religiosa, quando non si fa violenza o non si interviene sulle convinzioni personali o ci si limita a rispettare la manifestazione della fede che avviene nell’ambito del luogo di culto».
Dunque, un adeguato rispetto del diritto alla libertà religiosa implica l’impegno da parte di ogni autorità civile a «creare condizioni propizie allo sviluppo della vita religiosa, cosicché i cittadini siano realmente in grado di esercitare i loro diritti attinenti la religione e adempiere i rispettivi doveri, e la società goda dei beni di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e verso la sua santa volontà» (Dignitatis humanae, 6).
Nel contesto attuale, l’azione diplomatica della Santa Sede è specialmente impegnata nella difesa della libertà religiosa sia nelle relazioni bilaterali, come pure nell’ambito dei diversi organismi internazionali. Concretamente ciò significa anzitutto l’impegno contro la discriminazione dei credenti. Infatti, «troppo spesso, per diversi motivi, tale diritto è ancora limitato o schernito» e «in non pochi Paesi i cristiani sono privati dei diritti fondamentali e messi ai margini della vita pubblica, [mentre] in altri subiscono attacchi violenti contro le loro chiese e le loro abitazioni. Talvolta, sono costretti ad abbandonare Paesi che essi hanno contribuito a edificare, a causa delle continue tensioni e di politiche che non di rado li relegano a spettatori secondari della vita nazionale» (Benedetto XVI, 9 gennaio 2012).
A tale riguardo è da notare che anche laddove vige un tendenziale principio di rispetto e di tolleranza, occorre favorire il rispetto di tutte le convinzioni religiose e delle loro forme di esercizio, come pure dei simboli identitari che qualificano le religioni. Parimenti, non si può dimenticare che la voce dei Pontefici si è levata anche contro quelle forme distorte di religione, come il settarismo e il fondamentalismo, che sono altrettanto lesivi della libertà religiosa e che Papa Benedetto ha definito «manifestazioni contemporanee dell’oblio di Dio (...) [fondate su] una falsificazione della religione stessa». Risulta perciò quanto mai evidente il contributo che anche un dialogo interreligioso rettamente inteso, ovvero che argomenti a partire dall’identità propria di ciascuno, può fornire alla libertà religiosa e dunque alla pace.
Se la prima direttrice dell’azione diplomatica della Santa Sede si leva in favore della coscienza, la seconda si fonda sui principi del diritto naturale, sui quali si radicano i fondamenti della convivenza civile, poiché «la legge naturale è la sorgente da cui scaturiscono, insieme a diritti fondamentali, anche imperativi etici che è doveroso onorare» (Benedetto XVI, 12 febbraio 2007). Si tratta dei cosiddetti “valori non negoziabili” che, all’inizio del suo Pontificato, Benedetto XVI ha tratteggiato in modo assai nitido.
Tuttavia, i fondamenti di ogni società civile non riguardano solamente i summenzionati aspetti. Anche in ambito economico non deve mancare un richiamo etico fondato sulla legge naturale, altrimenti, come ci insegna la crisi finanziaria, i cui effetti sono ancora sotto gli occhi di tutti, finisce per prevalere una concezione soggettivistica dell’uomo, sradicata da ogni fondamento oggettivo, nel quale prevalgono solo logiche di massimizzazione dell’interesse personale a scapito del bene comune.
Si tratta di questioni che impegnano sempre più l’azione diplomatica della Santa Sede, soprattutto nel contesto delle Organizzazioni internazionali, in cui non di rado si originano politiche contrarie a tali valori. Inoltre, è un tema che afferisce non solo al cosiddetto Occidente, ma a porzioni sempre più consistenti del nostro mondo globalizzato. In tale prospettiva, è importante sviluppare un confronto con le Autorità dei singoli Paesi, come pure è cruciale poter far sentire la voce della Chiesa anche nei fora mondiali, non solo attraverso la presenza del personale diplomatico, ma anche mediante la proficua collaborazione di esperti locali e delle Organizzazioni non governative cattoliche, che operano in piena consonanza con il Magistero ecclesiale.
Una terza direttrice riguarda l’educazione, attraverso la quale si costruisce la pace, si vincono la povertà e le malattie e si realizzano sistemi di diritto equi e rispettosi della dignità umana, come ha ricordato Benedetto XVI nel suo ultimo discorso ai Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. «Costruire la pace — aggiungeva il Papa — significa educare gli individui a combattere la corruzione, la criminalità, la produzione e il traffico della droga, nonché le tentazioni demagogiche, nonché a evitare divisioni e tensioni, che rischiano di sfibrare la società, ostacolandone lo sviluppo e la pacifica convivenza».
La quarta e ultima direttrice che vorrei sottolineare è la carità. Da sempre, essa ha determinato ovunque l’opera della Chiesa. In un certo senso, la Chiesa è essa stessa carità. E sebbene l’azione caritativa sia garantita attraverso molteplici opere concrete, sovente guidate da singole congregazioni religiose o dalle diocesi o episcopati nazionali, nondimeno la carità è un perno dell’attività diplomatica della Santa Sede, con un particolare impegno a favore dei più deboli, anzitutto in difesa dei diritti delle donne e dei bambini, come pure dei migranti, dei profughi e dei rifugiati. Importante è anche il ruolo che la Santa Sede può svolgere, in collaborazione con gli Stati, nell’ambito delle sfide poste dalla globalizzazione e particolarmente nel contesto di crisi economica che stiamo attraversando.
Appare dunque evidente che i rapporti che la Santa Sede intrattiene con gli Stati e con le Organizzazioni internazionali «sono chiaramente di carattere differente da quelli fra Stati-Nazione. La Santa Sede non è una potenza economica o militare. Tuttavia — proseguiva Benedetto XVI — la sua voce morale esercita un’influenza considerevole sul mondo». Infatti, il principale paradosso è che l’azione diplomatica pontificia sembra muoversi lungo linee tematiche astratte, ossia meramente al livello dei soli principi: coscienza e libertà religiosa, valori non negoziabili, educazione e carità. Eppure proprio queste questioni pongono problemi estremamente concreti, dai quali dipendono gli Stati stessi, la loro convivenza civile, l’avvenire dei figli, lo sviluppo economico, la pace tra i popoli. In tal senso, la diplomazia pontificia è davvero globale, non solo per l’estensione delle sue relazioni, quanto piuttosto per l’ampiezza dei temi che essa affronta e che riguardano tutta quanta la complessità della persona umana.
È proprio per questa ragione che la Santa Sede intrattiene relazioni internazionali con un così grande numero di Paesi, costantemente cresciuto nel corso degli ultimi settant’anni. Infatti, se nel 1945 la Santa Sede aveva 30 nunziature (solo 10 in Europa, a seguito della Seconda guerra mondiale, 19 in America e una in Africa) e 22 delegazioni apostoliche nei cinque continenti, oggi i Paesi con i quali la Santa Sede mantiene relazioni diplomatiche sono 180, oltre il Sovrano Militare Ordine di Malta e l’Unione europea. L’ultimo Paese, in ordine di tempo, è stato il Sud Sudan, lo scorso 22 febbraio. Attualmente, la Santa Sede non intrattiene ancora rapporti diplomatici con 13 dei 193 Stati membri dell’Onu, in gran parte in Asia, ma anche in Africa e Oceania. Alcuni entrano nell’ambito delle dieci delegazioni apostoliche sussistenti, che, come accennato, sono rappresentanze pontificie senza carattere diplomatico, per Paesi o zone geografiche determinate. Altri, come Afghanistan, Cina Popolare e Corea del Nord non hanno un rappresentante pontificio assegnato. Per il Vietnam è stato nominato un rappresentante pontificio non residente e senza carattere diplomatico.
Come si può notare, si tratta di un numero assai elevato di relazioni, con una presenza molto capillare. Tuttavia, non tutti i Paesi possono contare sulla presenza fissa di un nunzio apostolico. Infatti, le rappresentanze pontificie aventi un capo missione residente, di regola un arcivescovo, sono solo 103. Come avviene per gli ambasciatori, i nunzi possono essere accreditati contemporaneamente in vari Paesi. Menzionerò poi le rappresentanze presso le Organizzazioni internazionali.
Nel loro lavoro quotidiano, i nunzi apostolici sono coadiuvati da sacerdoti, che avendo compiuto gli studi presso l’Accademia Ecclesiastica sono inseriti nel servizio diplomatico della Santa Sede. Accanto a loro vi è pure la presenza di collaboratori locali, sia chierici e religiosi che laici. Nel suo complesso, il personale diplomatico, solitamente appartenente al clero diocesano, esprime sempre più il volto universale della Chiesa, secondo l’auspicio formulato dal concilio Vaticano II e che tiene conto del crescente radicamento della presenza della Chiesa al di là dei confini europei.
Nel corso degli ultimi anni, oltre alla costante crescita del numero dei Paesi che intrattengono relazioni diplomatiche con la Santa Sede, si è assistito anche a un incremento qualitativo di tali relazioni. Infatti, è in costante crescita il numero di accordi che la Sede Apostolica ha sottoscritto con numerosi Paesi.
Tali strumenti, pur con mutamenti profondi di forma e di sostanza, accompagnano la vita e l’azione della Chiesa ormai da quasi novecento anni, visto che si ritiene il Concordato di Worms del 1122 il primo documento giuridico di siffatta natura. Essi sono volti da un lato a tutelare le Chiese locali da illegittime ingerenze, dall’altro a trattare con gli Stati la regolamentazione delle materie di comune interesse su un piano di parità, qual è appunto quello che il diritto internazionale consente.
Gli Accordi stipulati dalla Santa Sede trattano diversi temi e assumono nomi diversi in base ai contenuti propri che li caratterizzano. In tal senso, si denomina “concordato” solo l’accordo che regola tutte le questioni di comune interesse fra le due Parti, comprese quella scolastica e quella matrimoniale, per assicurare una maggiore cooperazione nella sfera religiosa e sociale. L’ultimo concordato è stato firmato con il Portogallo nel 2004. Oltre ai concordati, ci sono altre forme di accordi, che le parti scelgono di stabilire a partire da fattori diversi, quali la durata, la materia, la finalità, la solennità, la necessità o meno di ratifica, e così via. L’elemento comune ai diversi tipi di accordo della Santa Sede è la formalità (essi sono cioè un patto formale, concluso per via diplomatica e retto dalle norme internazionali relative ai trattati), mentre per ciò che concerne i contenuti si ritrovano generalmente temi come: i rapporti diplomatici con la Santa Sede; lo statuto giuridico e le libertà della Chiesa; la libera comunicazione fra la Sede Apostolica e le Chiese locali e fra i vescovi e clero e fedeli; la libera nomina dei vescovi e il conferimento degli uffici ecclesiastici; gli ordinariati militari; la condizione giuridica del clero; i beni della Chiesa; l’assistenza religiosa alle forze armate, agli ospedali e alle carceri; la formazione religiosa nelle scuole e l’educazione cattolica (scuole, facoltà ecclesiastiche, università cattoliche); l’accesso della Chiesa ai mezzi di comunicazione di massa.
In anni recenti, l’attività pattizia della Santa Sede non ha riguardato solo i Paesi europei o dell’America Latina, ma anche l’Africa dove si registrano accordi con vari Paesi (Tunisia, Marocco, Gabon, Costa d’Avorio, Mozambico e Guinea Equatoriale) e l’Asia (Azerbaigian, Kazakhstan, Filippine, Israele, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina).
La diplomazia pontificia intrattiene poi relazioni con numerose Organizzazioni internazionali, solitamente in veste di osservatore o, più raramente, come membro a pieno titolo. La prima ad accogliere un rappresentante pontificio fu la Fao nel 1949. Nel 1952 fu la volta dell’Unesco a Parigi, mentre nel 1964 la Santa Sede inviò un osservatore presso la sede delle Nazioni Unite a New York e, nel 1967, presso la sede di Ginevra. Attualmente sono sette le rappresentanze pontificie destinate esclusivamente a tale ambito di attività e, pertanto, sono separate dalla nunziatura apostolica del Paese. Sono dirette in alcuni casi da un capo missione insignito della dignità arcivescovile, oppure da prelati non vescovi. In altri casi, invece, la nunziatura apostolica in un determinato Paese segue anche i lavori di una Organizzazione internazionale avente sede nella medesima nazione (ad esempio la nunziatura apostolica al Cairo per la Lega Araba o quella ad Addis Abeba per l’Unione africana). Recentemente, la Santa Sede ha esteso ancora la sua rete di contatti con le Organizzazioni regionali, accreditando un nunzio presso l’Asean (Association of Southeast Asian Nations), un rappresentante speciale presso il Comesa (Common Market for Eastern and Southern Africa) e ora presso il Sica (Sistema de la Integración Centroamericana), mentre nel 2011 è diventata membro dell’Oim (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni). La presenza multilaterale della Santa Sede è andata acquistando costantemente importanza, per l’accresciuto ruolo assunto delle Organizzazioni internazionali.
Al riguardo, occorre rilevare che se da un lato esse mirano a promuovere la pacifica coesistenza e la cooperazione tra i popoli, e la salvaguardia dei diritti inalienabili di ogni individuo e di ogni comunità, soprattutto in anni recenti il dibattito internazionale sembra «segnato da una logica relativistica che pare ritenere, come unica garanzia di una convivenza pacifica tra i popoli, il negare cittadinanza alla verità sull’uomo e sulla sua dignità, nonché alla possibilità di un agire etico fondato sul riconoscimento della legge morale naturale. Viene così di fatto a imporsi una concezione del diritto e della politica, in cui il consenso tra gli Stati, ottenuto talvolta in funzione di interessi di corto respiro o manipolato da pressioni ideologiche, risulterebbe essere la sola e ultima fonte delle norme internazionali. I frutti amari di tale logica relativistica nella vita internazionale sono purtroppo evidenti: si pensi, per esempio, al tentativo di considerare come diritti dell’uomo le conseguenze di certi stili egoistici di vita, oppure al disinteresse per le necessità economiche e sociali dei popoli più deboli, o al disprezzo del diritto umanitario e a una difesa selettiva dei diritti umani» (Benedetto XVI, 1° dicembre 2007).
Infine, vorrei sottolineare che il cuore di tutta quanta l’azione diplomatica della Santa Sede è il Romano Pontefice. In tal senso, si può affermare che fanno parte dell’impegno internazionale della Santa Sede anche le visite ad limina dei vescovi, come pure gli incontri con i rappresentanti pontifici e le autorità civili, che giungono a Roma. Si tratta di occasioni nelle quali il Papa viene informato sulle realtà, i problemi, e le sfide di ogni Nazione, viste anche in un più ampio contesto continentale o mondiale. Non si possono dimenticare poi i viaggi apostolici, come pure i discorsi e i documenti con i quali il Papa affronta tanto le problematiche locali quanto le questioni mondiali, che formano l’oggetto dei rapporti fra la Santa Sede e gli Stati.
Tra i documenti più ricorrenti occorre menzionare il Messaggio annuale per la Giornata mondiale della pace e, in modo più mirato, il Discorso al Corpo Diplomatico in occasione del nuovo anno. Nelle sue molteplici e impegnative incombenze, il Pontefice è coadiuvato da diversi organismi, che nel loro insieme costituiscono la Curia Romana, all’interno della quale occupa un posto particolare la Segreteria di Stato, cui competono, tra l’altro, i rapporti con gli Stati e che «coadiuva da vicino il Sommo Pontefice nell’esercizio della sua suprema missione» (Pastor bonus). Essa è guidata dal cardinale segretario di Stato e comprende due sezioni: la Sezione per gli Affari generali e la Sezione per i Rapporti con gli Stati. In particolare, la Sezione per i Rapporti con gli Stati, o Seconda Sezione, che ho l’onore di guidare, ha come suo compito proprio le questioni che devono essere trattate con i Governi civili: le relazioni diplomatiche, la stipulazione di concordati o accordi simili, la presenza della Santa Sede negli organismi e nelle conferenze internazionali.
Nell’azione diplomatica pontificia non è mai in gioco un mero equilibrio politico, sociale ed economico. Non si tratta mai di ricercare un compromesso in nome di un quieto vivere, dal quale si spera di ottenere il massimo vantaggio. Ciò che è in gioco è l’uomo, la sua sete di verità, «il suo anelito all’infinito» (Benedetto XVI, 10 agosto 2012). L'Osservatore Romano, 9 marzo 2013.