venerdì 15 marzo 2013

Un Fratello Sole moderno



 Tre istantanee per Francesco

(Jean-Pierre De Rycke) Il nuovo Papa ha scelto di farsi chiamare Francesco. Questa scelta è evidentemente molto emblematica delle preoccupazioni cristiane del nostro tempo e ci sembra opportuno guardarla in prospettiva con una delle più belle evocazioni del santo create dal fiorentino Giotto, padre della pittura moderna: Le stigmate di san Francesco, opera conservata al museo del Louvre. Questo dipinto dal formato tradizionale coronato da un frontone, proprio del periodo a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, illustra quattro noti episodi della vita di Francesco, assisiate di madre francese che — ci dice Iacopo da Varazze (Jacques de Voragine) nella sua Legenda aurea (leggermente posteriore all’esistenza del santo) — aveva scelto questo patronimico (il suo primo nome era Giovanni) soprattutto perché rimandava alla duplice natura del popolo franco in cui si alleavano ferocia e insieme grandezza d’animo.
Più in concreto il riferimento del cardinale Bergoglio alla sua figura tutelare si può comprendere simbolicamente nella rappresentazione del Louvre attraverso tre dei quattro episodi biografici che vi sono raffigurati: il dottore serafico che riceve le stigmate nel monastero della Verna, che costituisce la parte centrale del dipinto, il sogno di Papa Innocenzo III e san Francesco che predica agli uccelli, dipinti in scala ridotta sotto forma di predella nella parte inferiore della pala.
Queste tre istantanee sono, ognuna a suo modo, emblematiche del profilo adottato e dei compiti pastorali che attendono il nuovo sommo Pontefice nella guida della Chiesa, ossia nell’ordine: ricostruzione, umiltà e semplicità.
Ricostruzione. Nel 1205, mentre sta ancora pensando di unirsi all’esercito dei Franchi di Gauthier de Brienne e di partecipare così alla famosa crociata del 1204 che avrebbe portato al sacco di Costantinopoli, Francesco ha una visione nella cappella di San Damiano, non lontano da Assisi, dove a volte si ritira per pregare: all’improvviso ode una voce che gli chiede di «riparare la sua Chiesa in rovina». Questa visione è resa nel dipinto del Louvre dall’episodio del Sogno di Innocenzo III che nel sonno aveva intravisto l’immagine di Francesco che sosteneva la chiesa del Laterano — guida della Chiesa universale — che stava per crollare.
Inutile dire quanta risonanza questa immagine ha nei tempi agitati che sta vivendo oggi la Chiesa cattolica. La Chiesa è viva, come ci hanno mostrato le immagini di festa, di fervore e di comunione della folla — di ogni età e nazionalità — radunata in piazza San Pietro al momento dell’elezione. Ma essa viene attaccata fino alle sue fondamenta strutturali, mentre non è mai stata così forte demograficamente nel mondo. È proprio questo il paradosso.
Umiltà. Quando, verso la fine della sua vita, riceve le stigmate nel monastero della Verna, dove Cristo gli appare crocifisso sotto forma di un serafino (alla lettera, “l’angelo che brucia di ardore”) — tema principale del dipinto del Louvre — esattamente tre giorni dopo la festa dell’Esaltazione della Santa Croce (17 settembre), Francesco mostra la sua vicinanza diretta a Gesù, le cui sofferenze e la cui umiltà intende imitare. Vicino agli afflitti, dopo aver già rinunciato in gioventù, all’alba della sua vocazione, ai beni di questo mondo — e il nuovo Papa, gesuita, ha a sua volta pronunciato simbolicamente il voto di povertà — decide di dedicare la sua esistenza a confortare i più bisognosi.
Nuovo parallelismo con la stessa esperienza personale di Papa Francesco e metafora eclatante in un’epoca devastata dalla duplice alienazione di un capitalismo materialista senza cuore, fondato sul consumismo di massa, portatore di squilibri sociali sempre più grandi nei momenti di crisi, o di un collettivismo ideologico altrettanto distruttore della dignità individuale. In un simile clima, umanizzazione ed empatia personalizzata sono sempre più d’attualità e sono due qualità essenziali per un “padre” che vuole essere all’ascolto della sua famiglia universale e rimettere Cristo al centro del suo impegno.
Semplicità. Il terzo episodio illustrato da Giotto è forse direttamente tratto da un passo di Iacopo di Varazze che ci racconta il seguente aneddoto. Un giorno, mentre passava per la palude di Venezia, (Francesco) incontrò una miriade di uccelli che cantavano e disse al suo compagno: «I nostri fratelli uccelli lodano il loro Creatore: andiamo tra loro a cantare le ore canoniche». Il loro arrivo non turbò affatto gli uccelli, ma dato che il loro cinguettio era troppo forte perché potessero udire la propria voce, il santo disse loro: «Uccelli, fratelli miei, smettete di cantare fino a quando non avremo finito le lodi». Tacquero immediatamente e una volta terminate le lodi, Francesco li autorizzò a cantare ed essi ripresero il loro abituale cinguettio.
Valeva la pena citare questa adorabile leggenda — bella come un racconto dei fratelli Grimm — non tanto per l’allusione involontaria che nasconde a un’altra caratteristica della vita quotidiana della nostra epoca (i tweet) quanto per la parabola moderna di cui è nuovamente portatrice in termini di etica e di posta in gioco globale di civiltà: richiamare la nostra attenzione e quella del mondo intero sull’importanza del rispetto dell’ordine naturale del creato, la cui bellezza, la cui purezza e la cui innocenza sono il triplice riflesso della divinità, con le sue molteplici declinazioni che sono le sfide ambientali, il modo in cui si affronta la condizione animale, le manipolazioni genetiche e anche alcuni aspetti sociali.
Ecco perché, per questi motivi e per altri ancora, san Francesco può ridiventare una figura estremamente attuale e provvidenziale in questo momento in cui la Chiesa intraprende un altro percorso — cruciale — della sua esistenza sotto la guida di un nuovo pastore. Possa egli essere a sua volta un “Fratello Sole” moderno in questo universo terreno scosso dalle tenebre e dal dubbio. L'Osservatore Romano, 16 marzo 2013.