venerdì 8 marzo 2013

Un'epoca malata per mancanza di pensiero




Simposio in onore del cardinale Walter Kasper. «Vivendo secondo la verità nella carità» (Efesini, 4, 15): questo il motto scelto per introdurre il convegno «Fede e cultura» organizzato dal Kardinal Walter Kasper Institut a Vallendar, in Germania, per festeggiare gli ottanta anni del cardinale tedesco. La tre giorni di incontri (dall’8 al 10 marzo) cercherà di rispondere a domande centrali: che importanza ha Dio nella nostra società? Quale il compito della fede nel tempo moderno? Come riscoprire la radice cristiana dell’Europa? Le risposte sono state affidate a un testo del cardinale Karl Lehmann («Fede cristiana e cultura attuale nel contesto del pensiero moderno»), all’arcivescovo Rino Fisichella («Cristo e nuova evangelizzazione», di cui anticipiamo in pagina alcuni stralci), a Andreas Püttmann («Società senza Dio»), Holger Zaborowski («Oltre la dialettica di fede e cultura. Sul compito del pensiero storico») e Richard Schröder («La forza della fede cristiana nel modellare la cultura»). È prevista anche una tavola rotonda alla quale parteciperanno, tra gli altri, gli arcivescovi Gerhard Ludwig Müller e Robert Zollitsch.
Fede, cultura e nuova evangelizzazione. Un’epoca malata per mancanza di pensiero
(Rino Fisichella) È per me motivo di profondo onore, oltre che di grande gioia e gratitudine, essere presente oggi per svolgere alcune riflessioni in questo convegno dedicato al cardinale Walter Kasper in occasione del suo ottantesimo compleanno. Ci sono diversi motivi per festeggiarlo. In primo luogo, bisogna ricordare il suo essere presidente — oggi emerito — del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Ciò significa, pensare al poderoso impegno ecclesiale e culturale che egli ha svolto in tanti anni per superare la frattura della divisione tra tutti i credenti in Cristo. Non si può dimenticare il ministero apostolico svolto nella Diocesi di Stuttgart-Rottenburg. Ricordo una notte di Natale, la prima dopo aver lasciato la diocesi, seduti uno accanto all’altro per la Messa di Giovanni Paolo II, quando mi disse «Bisogna comprendere il sacrificio di stare qui e non poter celebrare nella mia cattedrale»; un velo di tristezza nelle sue parole che lasciava trasparire l’amore per la sua diocesi. È soprattutto il professor Kasper, comunque, che oggi vogliamo ricordare per avere offerto alla Chiesa con la sua imponente opera teologica un contributo che rimarrà nel tempo. La Scuola di Tübingen ritrova in lui un eccellente rappresentante per la teologia dogmatica nel XX secolo.
Ogni generazione ha bisogno di leggere e interpretare il proprio presente, pena l’inutilità della fede chiamata a trasformare e purificare la realtà, senza rimanere prigioniera e passiva dinanzi alle diverse situazioni storiche. Un dato particolarmente visibile in questi decenni è la sproporzione presente in molti credenti tra la conoscenza scientifica nei vari ambiti del sapere, e la mancanza di una adeguata conoscenza della fede. Che un’epoca si stia concludendo e che una nuova si apra all’orizzonte non ha bisogno di grandi dimostrazioni. Le trasformazioni sono sotto i nostri occhi; all’orizzonte si profila un nuovo modo di pensare, e quindi di conseguenti stili di vita, che mette in crisi i concetti fondamentali su cui si è costruita per almeno venticinque secoli la civiltà occidentale e la sua identità. Ciò che emerge in modo particolare è l’indebolimento delle disposizioni naturali — prima fra tutte la ricerca della verità — e questo porta a teorizzare la debolezza della ragione con l’accentuata sottolineatura del sentimento. Il giudizio etico è sempre più sottoposto all’emotività soggettiva e, perso il referente con la norma oggettiva, si frammenta in verità parziali e scelte pragmatiche che rendono ancora più pericolosa la deriva. L’abbandono della pratica religiosa non è che uno degli ultimi scalini per verificare l’indebolimento generalizzato e l’incertezza in cui si trovano le giovani generazioni.
Ai nostri giorni, sembra che il termine crisi sia tra i più utilizzati nel nostro vocabolario quotidiano. Viene percepita soprattutto a livello economico, finanziario e politico ma la sua matrice, tuttavia, è primariamente culturale. La crisi, comunque, non è mai un evento esclusivamente negativo; porta con sé elementi che provocano a esprimere un giudizio di merito su quanto si vive e obbliga a trovare le forme per poter andare oltre. Da questa prospettiva è bene ricordare che ci sono principi posti alla base di ogni civiltà che ne condizionano e determinano lo sviluppo, la sopravvivenza o la distruzione. Tre in modo particolare sono comunemente accettati: la cultura, la religione e la legge. È proprio di ogni società riconoscersi in una cultura e negli aspetti che la specificano nel confronto con altre; di questa fanno parte la lingua, le tradizioni, l’arte nelle sue diverse manifestazioni e tutto ciò che costituisce l’agire e il pensare personale e sociale. La religione, da parte sua, porta la risposta all’interrogativo fondamentale dell’uomo sul senso della propria vita, al perché dell’amore, del dolore, della sofferenza, della morte, insomma, tutto ciò che si racchiude in quella istanza secondo la quale l’uomo non è solo ciò che mangia. In lui c’è qualcosa che lo trascende, un “infinito” che egli stesso sperimenta in ogni atto della sua esistenza personale e che non può reprimere. Infine, c’è quell’insieme di disposizioni che regolano la vita sociale e consentono di identificarsi in un sistema di pensiero e di comportamenti che si fa garante della giustizia, del bene e del male. Ciò che si sta verificando nei nostri Paesi, purtroppo, mi sembra essere proprio un cortocircuito che impedisce una circolarità comunicativa tra questi tre principi. Ciò che balza evidente è una situazione fortemente paradossale. Nel tempo in cui l’Europa viveva di valori condivisi, possedeva una forte identità che la rendeva facilmente riconoscibile nonostante i confini territoriali. In questi anni, invece, mentre si sono abbattuti i confini che avrebbero dovuto creare un’unità, ciò a cui si assiste è il moltiplicarsi delle differenze, l’aumento degli estremismi e la frammentarietà domina a tal punto da far sgretolare ogni possibile unità.
Da questa prospettiva, si apre un orizzonte di grande responsabilità per i credenti. La nuova evangelizzazione non è una formula teorica con la quale illudersi di avere trovato la strada per rispondere alla profonda crisi di fede che è presente nella Chiesa, soprattutto in quei Paesi di antica tradizione cristiana dove la cultura è stata impregnata dalla nostra fede. Nuova evangelizzazione, al contrario, è un progetto che dovrebbe provocare la nostra pastorale, anzitutto, per ritornare all’essenziale della fede. Come ricordava Benedetto XVI: «Il mondo soffre per la mancanza di pensiero». Il dramma, probabilmente, sta tutto qui.
L'Osservatore Romano, 9 marzo 2013.