venerdì 28 giugno 2013

Educare i giovani a scoprire il senso della vita




La lezione di Viktor Frankl

DI MAURIZIO MOSCONE,
 Docente presso i Seminari "Redemptoris Mater"

1)   La  spiritualità umana
Piaget, Vygotskij, Bruner, Freud hanno focalizzato le loro indagini sull’essere umano inteso come unità psicosomatica, consentendo alla ricerca pedagogica di elaborare validi progetti educativi e di  sperimentare nuovi metodi che hanno favorito la crescita intellettiva e affettiva delle giovani generazioni. Tali progetti e metodi sono però assolutamente inefficaci per aiutare i giovani (e gli adulti) a rispondere alle domande esistenziali di fondo che ogni essere umano si pone: “Chi sono io? Da dove vengo e dove vado? Perché la presenza del male? Che cosa ci sarà dopo questa vita?”[1].
Queste domande, in modo irriflesso, sono già presenti nel bambino piccolo che pone agli adulti dei quesiti (rimossi dalla cultura egemone)  circa l’origine della vita e il destino umano dopo la morte.
Spesso i genitori e gli insegnanti rispondono  svalorizzando l’importanza di tali questioni. Questa svalorizzazione forse nasconde il tentativo degli adulti di non affrontare tematiche che  mettono in crisi un equilibrio esistenziale, raggiunto faticosamente vivendo in modo pragmatico-edonistico e non interrogandosi su una domanda alla quale non si riesce a dare una risposta: “Qual è il senso della vita?”, o, detto altrimenti, “perché vivi?”.
La domanda sul senso della vita è, in senso stretto,  fondamentale per la vita di ogni uomo, poiché dalla risposta che ognuno dà ad essa dipende la scelta di uno stile di esistenza piuttosto che un altro.
Ad esempio, se un uomo vive per lavorare la sua esistenza sarà connotata dall’accumulo di beni materiali e da possibili successi professionali; egli rischia, però, di naufragare tragicamente quando affronterà un’ eventuale sofferenza (malattia, lutto etc.) inattesa e imprevedibile. Di fronte alla stessa sofferenza colui che vive per Dio e per il prossimo, come San Francesco di Assisi, sarà capace di accogliere quella croce e di elevare a Dio il Cantico delle creature.
La questione del senso della vita è quindi ciò che vi è di più concreto e essenziale per l’esistenza di ogni uomo e la pedagogia, come riflessione sull’educazione, non può esimersi dall’affrontare tale questione, ma deve offrire dei progetti e dei metodi educativi che aiutino soprattutto le giovani generazioni a  scoprire il senso della vita e a impegnarsi a raggiungere gli scopi che si prefiggono.
La pedagogia se vuole rispondere criticamente alla domanda di senso che nasce dal profondo di ogni uomo (bambino o adulto) deve fondare la sua riflessione sulla base di un’antropologia integrale, che consideri l’essere umano in tutta la sua interezza e verità, senza ridurlo alle sole dimensioni psico-somatiche.
Questa riduzione è operata oggi dalla maggior parte dei filosofi e pedagogisti contemporanei, che non riconoscono nell’uomo l’esistenza dell’anima spirituale. Ad esempio, il famoso pedagogista Gardner, sulla scia del materialismo ottocentesco, afferma: “Io sono un materialista; credo che tutto ciò che avviene nella mente sia prodotto del cervello”[2].
Un autore che può aiutare la pedagogia a costituirsi come disciplina umanistica in senso forte è Viktor Frankl, che ha indagato non soltanto le dimensioni psico-fisiche ma anche quelle spirituali dell’essere umano.
Le scuole di Piaget, Vygotsky e Bruner hanno analizzato la razionalità umana e la scuola di Freud l'affettività.
Le scuole cognitivistiche e psicoanalitiche affermano modelli antropologici sostanzialmente riduttivi, perché non presentano l' essere umano nella sua totalità.
Lo psichiatra austriaco Viktor Frankl ha elaborato, sulla base dei suoi studi e della sua ricca esperienza clinica e umana, un'antropologia integrale che considera l'essere dell'uomo come totalità fisico-psichico-spirituale.
Frankl scopre chi è l'uomo durante la sua esperienza maturata nei campi di concentramento nazisti. In tale contesto di sofferenza vede realizzarsi nella vita di alcuni detenuti un motto di Friedrich Nietzsche: "Chi ha un perché per vivere, sopporta quasi ogni come"[3].
"Ha un perché per vivere" colui che ha scoperto un senso della vita, poiché, "la vita umana - scrive lo psichiatra - ha sempre, in tutte le circostanze, un significato, che […] comprende anche sofferenze, morte, miseria e malattie mortali"[4].
Frankl prende coscienza che riescono a sopportare i dolori e il degrado morale solo quei detenuti che vivono la propria esistenza con lo scopo di realizzare un compito.
Secondo lo psichiatra il senso della vita è sempre personale ed è connesso al compito che il singolo essere umano si prefigge di adempiere. Scrive in proposito: "Vivere, in ultima analisi, non significa altro che avere la responsabilità di rispondere esattamente ai problemi vitali, di adempiere i compiti che la vita pone a ogni singolo, di far fronte alle esigenze dell'ora.
Questa esigenza, e con essa il significato della vita, muta da uomo a uomo, di attimo in attimo. Non è dunque mai possibile precisare il senso della vita umana in generale, non possiamo mai rispondere in generale a chi domanda quale sia il senso dell'esistenza"[5].
L'uomo ricerca un senso, in funzione del quale vivere, perché è presente in lui una dimensione di cui non è consapevole, che lo spinge verso questa ricerca. Questa dimensione inconscia è definita dallo psichiatra "inconscio spirituale"[6].
L'esperienza maturata da Frankl nei campi di concentramento e, soprattutto, nella sua attività psichiatrica a contatto con le espressioni più profonde dell'angoscia esistenziale, evidenzia la presenza di una dimensione profonda dell'essere umano di carattere spirituale, e, in quanto tale, orientata alla ricerca del senso della vita. Questa dimensione spirituale è essenzialmente inconscia. Afferma infatti lo psichiatra che la "persona profonda spirituale è obbligatoriamente inconscia, e non solo facoltativamente. In altre parole: nelle sue profondità, "nel fondo", lo spirituale è necessariamente, perché essenzialmente, inconscio"[7].
Frankl non nega l'esistenza dell'inconscio pulsionale scoperto da Freud, ma sostiene che "lo stesso inconscio risulta articolato in inconscio impulsivo e inconscio spirituale"[8], e afferma che, mentre il confine tra conscio e inconscio è sfumato, la delimitazione tra inconscio impulsivo e spirituale è  chiara e definita. Scrive in proposito: "Mentre il confine tra conscio e inconscio ci appare così "permeabile", si rivela che il confine tra [inconscio] spirituale ed impulsivo viene tracciato in forma netta e categorica"[9].
Lo psichiatra austriaco concorda con Medard Boss nel sostenere che "l'impulso e lo spirito sono considerati fenomeni incommensurabili"[10]. Lo "specifico" dell'uomo, ciò che lo distingue dagli animali, è la sua spiritualità, la quale è caratterizzata dalla libertà e dalla (connessa) responsabilità.

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NOTE
[1] Giovanni Paolo II, Fides et Ratio, n.1.
[2] H.Gardner, Sapere per comprendere. Discipline di studio e discipline della mente, Feltrinelli, Roma 2000, p.79.
[3] V. Frankl, Uno psicologo nei lager, Ares, Milano 1998, p.129.
[4] Ibidem, p.138.
[5] Ibidem, pp.130-131.
[6] Cfr. V. Frankl, Dio nell'inconscio. Psicoterapia e religione, Morcelliana, Brescia 1990, III ed., pp.25-35.
[7] Ibidem, p.34
[8] Ibidem, p.25.
[9] Ibidem, p.27.
[10] Ibidem.

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2)   La  voce della coscienza
L'uomo è, usando il linguaggio di Jaspers, un "essere che decide". L'essere dell'uomo non è, quindi un "essere-spinto" dalle pulsioni dell'Es, come sostiene Freud, ma un essere responsabile, che decide liberamente le azioni che vuole compiere. Frankl scrive in proposito: "La specificità dell'essere umano è data […] non quando un Es spinge l'uomo, ma quando un Io si decide"[1].
L'Io umano è libero, quindi responsabile degli atti che compie; mentre "nella prospettiva psicoanalitica, l'Io costituisce in fin dei conti lo zimbello degli impulsi; oppure, secondo la stessa espressione di Freud: l'Io non è padrone in casa sua"[2].
La psicoanalisi negando l' esistenza dello spirito, e quindi la specificità umana,  afferma un modello antropologico materialistico, conseguente al suo "modo di pensare". Frankl sostiene, infatti, che è "autenticamente materialistico il modo di pensare della psicoanalisi"[3].
Essa ha "atomizzato" l'essere umano, "in quanto l'ha pensato come frutto di accostamento di parti diverse"[4], costituite dall'Es, dall'Io e dal Super-io. Conseguentemente, la psicoanalisi ha spersonalizzato e distrutto l'essere umano. Scrive in proposito: "Si è venuta così distruggendo la persona umana nella sua totalità: la psicoanalisi 'spersonalizza' del tutto l'uomo"[5].
La spersonalizzazione dell'essere umano è conseguente alla personalizzazione dell'Es ,dell'Io e del Super-io, "in tal modo -scrive lo psichiatra - le istanze sono state rese indipendenti, quali entità pseudopersonali fornite di forza propria: si potrebbe quasi dire che vennero 'demonificate'"[6].
Secondo la psicoanalisi, il "demonio" dell'Es spinge l'Io a soddisfare i propri impulsi sessuali, mentre il "demonio" del Super-io lo spinge a reprimerli; quindi, scrive Frankl, "l'essere umano viene interpretato a priori dalla psicoanalisi come un essere-spinto"[7].
L'uomo non è un "essere spinto" perché, come è stato evidenziato, "libertà e responsabilità […] costituiscono lo specifico essere-uomo"[8].
L'uomo è  libero perché l'inconscio spirituale costituisce il suo io  più profondo, ma l'essere dell'uomo non si risolve in esso, perché l'uomo, nella sua interezza è una totalità non soltanto spirituale, ma anche psichica e fisica[9]. Frankl precisa, però, che "è la persona spirituale […] a fondare l'unità e la totalità dell'essenza dell'uomo. Essa crea questa totalità in quanto fisico-psichico-spirituale"[10].
L'uomo non è una totalità soltanto psico-fisica, come afferma la maggior parte della filosofia, della psicologia e della pedagogia odierne, perché, afferma Frankl, è una "triplice totalità a costituire l'intero uomo"[11].
Questa "triplice totalità" è governata dallo spirito, il quale deve rispondere delle azioni compiute o da compiere a una "voce" che lo interpella e, pur essendo dentro di lui, lo trascende.
Questa voce è la coscienza, la quale, propriamente, non è umana perché è la voce della trascendenza. Lo psichiatra afferma in proposito che la coscienza è "la voce della trascendenza. Solo l'uomo è in grado di percepire ed ascoltare una tale voce. Eppure, essa non deriva in alcun modo dall'uomo stesso"[12].
La coscienza è "un fenomeno che trascende il puro essere-uomo"[13] e l'indagine riguardante la sua origine non può essere di carattere psicologico, perché coinvolge, necessariamente, l'ontologia. Scrive in proposito Frankl: "La problematica circa l'origine della coscienza non si risolve nell'ambito psicologico o in quello psicogenetico, ma solo nell'ambito ontologico"[14].
La psicoanalisi freudiana, riducendo l'essere umano allo psichismo e alle sue dinamiche, ha mistificato il vero significato della coscienza, identificandola con il Super-io, "a sua volta derivato dall'introiezione dell'immagine paterna"[15].
Frankl afferma che la coscienza è la "voce" della trascendenza; identificata con un Tupersonale, che, in virtu della sua trascendenza, parla con forza alla vita di ogni uomo.
Lo psichiatra afferma, infatti, che "mai e poi e mai la coscienza potrebbe essere una parola di forza nell'immanenza, se non fosse la parola-Tu della trascendenza"[16].
La "parola-Tu" è Dio che parla ad ogni essere umano e rispetta la libertà di ognuno  fino al punto di consentire il suo rinnegamento. Scrive a riguardo: ""L'uomo è libero ed è stato creato libero a tal punto che la sua libertà giunge fino al no, nel senso che arriva a lasciar decidere la creatura contro il creatore: è una libertà che può anche rinnegare Dio"[17].
Dio instaura una relazione dialogica con ogni uomo, anche se tale relazione può rimanere a livello inconscio. Esiste, quindi, una "religiosità inconscia, nel senso di una relazione inconscia con Dio"[18].
Dio, quindi, pur presente in ogni uomo, può rimanere "inconscio", perché la sua relazione con l'uomo avviene inconsciamente. Scrive a riguardo: "Dio è talvolta inconscio , nel senso che la nostra relazione con lui può fermarsi a livello inconscio, può cioè essere repressa e rimanere a noi stessi nascosta"[19].
Ogni uomo è, anche se inconsciamente, religioso, perché in relazione dialogica con Dio, il quale, tramite la coscienza interpella l'essere umano riguardo alle scelte da compiere. 

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NOTE
[1] V. Frankl, Dio nell'inconscio. Psicoterapia e religione, cit., p.28.
[2] Ibidem, p.21.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem, pp.19-20.
[5] Ibidem, p.20.
[6] Ibidem.
[7] Ibidem, p.22.
[8] Ibidem, p.29.
[9] Cfr. ibidem, pp.28-30.
[10] Ibidem, p.30.
[11] Ibidem.
[12] Ibidem, p.61.
[13] Ibidem,p.60. Il corsivo è mio.
[14] Ibidem, p.65.
[15] Ibidem, p.66.
[16] Ibidem, p.67.
[17] Ibidem, p.64.
[18] Ibidem, p.72.
[19] Ibidem, p.73.

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3)   L'educazione spirituale
Il bisogno fondamentale dell'essere umano è, secondo Frankl, il "bisogno di significato" [1] e l'uomo ricerca, oltre a significati particolari connessi a situazioni contingenti, soprattutto significati universali, i valori, che orientino la sua esistenza. La scelta dei valori richiede uno specifico discernimento "per il carattere conflittuale […] insito nei valori stessi in quanto, diversamente dai significati concreti, unici e irripetibili, per definitionem sono dei significati universali astratti. Come tali, essi non hanno solo valore per le singole e irripetibili persone che si trovano in situazioni singole e irripetibili, ma estendono la loro validità su ambiti molto più ampi, comprendenti situazioni tipiche e frequenti" [2]. La coscienza permette all'uomo di discernere i veri dai falsi valori e gli "consente una decisione libera e responsabile, quindi non arbitraria" [3].
L'uomo è libero di ascoltare o no la voce della coscienza[4]e quando essa "viene repressa e soffocata in modo sistematico e metodico si cade o nel conformismo occidentale o nel totalitarismo orientale, a seconda che i <<valori>>, generalizzati in modo eccessivo dalla società, siano offerti o addirittura imposti all'uomo" [5].  I genitori e gli insegnanti, se vogliono educare il giovane nella sua interezza e verità, devono favorire l'espressione di tutte le sue dimensioni ontologiche: quelle psico-somatiche e quelle spirituali.
L'essere umano è una totalità integrata di fisico, psichico e spirituale. Queste tre dimensioni non sono separate e dissociate l'una dall'altra, ma interagiscono in modo sinergico e, di conseguenza, è necessario garantire l'armonica crescita sia fisica, sia psichica, sia spirituale del giovane. E' opportuno però sottolineare che "è la persona spirituale […] a fondare l'unità e la totalità dell' essere dell'uomo" [6].
L'educazione spirituale deve, di conseguenza, assumere un ruolo centrale nella famiglia e nella scuola. Essa aiuterà il bambino e il ragazzo a scoprire  la "voce" di quel "Tu" che parla nel profondo del suo essere e a orientare la propria vita su valori veri e stabili e non su quelli falsi, "generalizzati in modo eccessivo dalla società" [7].
I giovani devono essere educati a scoprire il senso della vita fin da piccoli, sia perché essi lo ricercano, come rivelano le loro domande circa il destino umano dopo la morte e l'origine della vita, sia perché tale scoperta, approfondita negli anni successivi, li preserverà dall'esperienza, vissuta oggi da tanti giovani, del "vuoto esistenziale" [8].
Il vuoto esistenziale è la mancanza del senso della vita. Esso può  provocare, come testimonia l'esperienza clinica di Frankl, nevrosi "noogene", "derivanti, cioè, da un vuoto esistenziale"[9]. Questo "vuoto" viene  oggi riempito dai giovani da esperienze distruttive legate al sesso, la droga ecc., che conducono sempre alla morte ontologica e, a volte, alla morte fisica, come nei casi, sempre più diffusi, di suicidi. I cristiani sanno qual è il vero Valore e il vero Senso della vita, perché lo sperimentano nella loro esistenza concreta  giorno per giorno: è quel Tu che ti è vicino nei momenti di prova,  ti risolleva se sei caduto nel peccato, ti ama comunque anche se gli hai voltato le spalle.
E’ della Persona di Gesù Cristo che i giovani hanno bisogno per potere rifiutare i valori avariati  che la società massmediatica offre loro e camminare dietro a Lui, l’unico che può dare senso alla vita, che può cioè donare  quel “sapore” che il mondo non conosce, ma che nel profondo ogni essere umano desidera.
Ma come può un giovane conoscere Gesù Cristo se le persone che gli stanno vicino non glielo testimoniano? Il Cristianesimo non è un insieme di dottrine o una morale, ma è Cristo vivo oggi nella comunità credente, e se i genitori o gli educatori non sperimentano la Sua presenza come potranno comunicare con la loro vita, prima che con le parole, che Gesù è l’unica risposta alle domande di verità e di felicità che rendono inquieto l’anima dei giovani e di ogni essere umano?
Nessuno può dare ciò che non ha: se un genitore non ha (concretamente e non intellettualmente) la fede, non la può testimoniare ai figli, i quali hanno bisogno di testimonianze credibili e non di parole. Nelle comunità cristiane, dove marito e moglie fanno un cammino di fede e imparano ad amarsi pur nelle difficoltà e a perdonarsi, i figli sono facilitati ad accogliere il messaggio evangelico e spesso entrano anche loro in una comunità cristiana.
La fede se testimoniata attrae e affascina, come dimostra Papa Francesco che attira l’attenzione di tante persone che sono lontane dalla Chiesa. Oggi i giovani hanno bisogno di stare a contatto con persone che come lui dicono con la loro vita che Gesù Cristo ha sconfitto il vuoto di senso che tanti sperimentano ed è l’unico che può far risorgere a vita nuova e gioiosa anche chi vive nel pessimismo e nella disperazione.
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NOTE
[1] Ibidem, p.124.
[2] Ibidem. pp.106-107.
[3] Ibidem. P.107.
[4] Cfr. ibidem.
[5] Ibidem.
[6] Ibidem, p.30.
[7] Ibidem, p.107.
[8] Riguardo al concetto di "vuoto esistenziale" cfr. ibidem, pp.121-126.
[9] Ibidem, p.125.