sabato 29 giugno 2013

Papa Francesco: Il Vescovo di Roma chiamato a confermare nella fede, nell'amore e nell'unità.


Messa nella solennità dei Santi Pietro e Paolo con imposizione del Pallio. Omelia di Papa Francesco: Il Vescovo di Roma chiamato a confermare nella fede, nell'amore e nell'unità.

"Confessare il Signore lasciandosi istruire da Dio; consumarsi per amore di Cristo e del suo Vangelo; essere servitori dell’unità. Queste, cari Confratelli nell’episcopato, le consegne che i Santi Apostoli Pietro e Paolo affidano a ciascuno di noi, perché siano vissute da ogni cristiano. Ci guidi e ci accompagni sempre con la sua intercessione la santa Madre di Dio: Regina degli Apostoli, prega per noi! Amen".
Il segno (...) indica frasi aggiunte dal Santo Padre e pronunciate a braccio. Testo ufficiale in italiano. 
Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
Celebriamo la Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, patroni principali della Chiesa di Roma: una festa resa ancora più gioiosa per la presenza di Vescovi da tutto mondo. Una grande ricchezza che ci fa rivivere, in un certo modo, l’evento di Pentecoste: oggi, come allora, la fede della Chiesa parla in tutte le lingue e vuole unire i popoli in un’unica famiglia.
Saluto di cuore e con gratitudine la Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli, guidata dal Metropolita Ioannis. Ringrazio il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I per questo rinnovato gesto fraterno. Saluto i Signori Ambasciatori e le Autorità civili. Un grazie speciale al Thomanerchor, il Coro della Thomaskirche [Chiesa di San Tommaso] di Lipsia - la chiesa di Bach - che anima la Liturgia e che costituisce un’ulteriore presenza ecumenica.
Tre pensieri sul ministero petrino, guidati dal verbo “confermare”. In che cosa è chiamato a confermare il Vescovo di Roma?
1. Anzitutto, confermare nella fede. Il Vangelo parla della confessione di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16), una confessione che non nasce da lui, ma dal Padre celeste. Ed è per questa confessione che Gesù dice: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (v. 18). Il ruolo, il servizio ecclesiale di Pietro ha il suo fondamento nella confessione di fede in Gesù, il Figlio del Dio vivente, resa possibile da una grazia donata dall’alto. Nella seconda parte del Vangelo di oggi vediamo il pericolo di pensare in modo mondano. Quando Gesù parla della sua morte e risurrezione, della strada di Dio che non corrisponde alla strada umana del potere, in Pietro riemergono la carne e il sangue: «si mise a rimproverare il Signore: …questo non ti accadrà mai» (16,22). E Gesù ha una parola dura: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo» (v. 23). Quando lasciamo prevalere i nostri pensieri, i nostri sentimenti, la logica del potere umano e non ci lasciamo istruire e guidare dalla fede, da Dio, diventiamo pietra d’inciampo. La fede in Cristo è la luce della nostra vita di cristiani e di ministri nella Chiesa!
2. Confermare nell’amore. Nella seconda Lettura abbiamo ascoltato le commoventi parole di san Paolo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2 Tm 4,7). Di quale battaglia si tratta? Non quella delle armi umane, che purtroppo insanguina ancora il mondo; ma è la battaglia del martirio. San Paolo ha un’unica arma: il messaggio di Cristo e il dono di tutta la sua vita per Cristo e per gli altri. Ed è proprio l’esporsi in prima persona, il lasciarsi consumare per il Vangelo, il farsi tutto a tutti, senza risparmiarsi, che lo ha reso credibile e ha edificato la Chiesa. Il Vescovo di Roma è chiamato a vivere e confermare in questo amore verso Cristo e verso tutti senza distinzioni, limiti e barriere. (...)
3. Confermare nell’unità. Qui mi soffermo sul gesto che abbiamo compiuto. Il Pallio è simbolo di comunione con il Successore di Pietro, «principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione» (CONC. ECUM VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 18). E la vostra presenza oggi, cari Confratelli, è il segno che la comunione della Chiesa non significa uniformità. Il Vaticano II, riferendosi alla struttura gerarchica della Chiesa afferma che il Signore «costituì gli Apostoli a modo di collegio o gruppo stabile, a capo del quale mise Pietro, scelto di mezzo a loro» (ibid., 19). (...) E continua: «questo Collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e universalità del Popolo di Dio» (ibid., 22). Nella Chiesa la varietà, che è una grande ricchezza, si fonde sempre nell’armonia dell’unità, come un grande mosaico in cui tutte le tessere concorrono a formare l’unico grande disegno di Dio. E questo deve spingere a superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa. Uniti nelle differenze: (...) questa è la strada di Gesù! Il Pallio, se è segno della comunione con il Vescovo di Roma, con la Chiesa universale, (...) è anche un impegno per ciascuno di voi ad essere strumenti di comunione.
Confessare il Signore lasciandosi istruire da Dio; consumarsi per amore di Cristo e del suo Vangelo; essere servitori dell’unità. Queste, cari Confratelli nell’episcopato, le consegne che i Santi Apostoli Pietro e Paolo affidano a ciascuno di noi, perché siano vissute da ogni cristiano. Ci guidi e ci accompagni sempre con la sua intercessione la santa Madre di Dio: Regina degli Apostoli, prega per noi! Amen.

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In questo blog vedi anche i post seguenti:


10 Nov 2012
Tu es Petrus .... Il senso del primato di Pietro sta tutto nella antifona al Magnificat di oggi: "In tutta la Chiesa Pietro proclama ogni giorno: Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivo". Di seguito un brano della storica omelia di Paolo VI ...


07 Nov 2012
X. Lèon-Dufour - "Di fronte alla morte: Gesù e Paolo" - (Prima parte). Nell'ottavario dei defunti, propongo un gioiello di Xavier Lèon Dufour: "Di fronte alla morte: Gesù e Paolo".
http://kairosterzomillennio.blogspot.com/

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Di seguito i nomi degli Arcivescovi Metropoliti ai quali Papa Francisco imporrà il Sacro Pallio oggi,  il 29 giugno, Solennità di San Pietro e Paolo:
1. Arcivescovo Manuel José MACÁRIO DO NASCIMENTO CLEMENTE, Patriarca di Lisboa (Portogallo).
2. Arcivescovo Dieudonné NZAPALAINGA, C.S.Sp., di Bangui (Repubblica Centroafricana).
3. Arcivescovo Carlo Roberto Maria REDAELLI, Arcivescovo di Gorizia (Italia).
4. Arcivescovo Claudio DALLA ZUANNA, S.C.I., di Beira (Mozambico).
5. Arcivescovo Prakash MALLAVARAPU, di Visakhapatnam (India).
6. Arcivescovo Antônio Carlos ALTIERI, S.D.B., di Passo Fundo (Brasile).
7. Arcivescovo Marek JĘDRASZEWSKI, di Łódź (Polonia).
8. Arcivescovo Philip TARTAGLIA, di Glasgow (GB, Scozia).
9. Arcivescovo Salvatore Joseph CORDILEONE, di San Francisco (U.S.A.).
10. Arcivescovo Rolando Joven TRIA TIRONA, O.C.D., di Caceres (Filippine).
11. Arcivescovo Rogelio CABRERA LÓPEZ, di Monterrey (Messico).
12. Arcivescovo Joseph William TOBIN, C.SS.R., di Indianapolis (U.S.A.).
13. Arcivescovo Carlos María FRANZINI, di Mendoza (Argentina).
14. Arcivescovo Lorenzo GHIZZONI, di Ravenna-Cervia (Italia).
15. Arcivescovo George ANTONYSAMY, di Madras and Mylapore (India).
16. Arcivescovo Anil Joseph Thomas COUTO, di Delhi (India).
17. Arcivescovo John WONG SOO KAU, di Kota Kinabalu (Malaysia).
18. Arcivescovo Murray CHATLAIN, di Keewatin-Le Pas (Canada).
19. Arcivescovo Sérgio Eduardo CASTRIANI, C.S.Sp., di Manaus (Brasile).
20. Arcivescovo Peter Loy CHONG, di Suva (Isole Fiji).
21. Arcivescovo Alfonso CORTÉS CONTRERAS, di León (Messico).
22. Arcivescovo Alexander King SAMPLE, di Portland in Oregon (U.S.A.).
23. Arcivescovo Joseph Effiong EKUWEM, di Calabar (Nigeria).
24. Arcivescovo Jesús JUÁREZ PÁRRAGA, S.D.B., di Sucre (Bolivia).
25. Arcivescovo Fabio MARTÍNEZ CASTILLA, di Tuxtla Gutiérrez (Messico).
26. Arcivescovo Ramón Alfredo DUS, di Resistencia (Argentina).
27. Arcivescovo Mario Aurelio POLI, di Buenos Aires (Argentina).
28. Arcivescovo Gintaras GRUŠAS, di Vilnius (Lituania).
29. Arcivescovo Michael Owen JACKELS, di Dubuque (U.S.A.).
30. Arcivescovo Đuro HRANIĆ, di Đakovo-Osijek (Croazia).
31. Arcivescovo Moacir SILVA, di Ribeirão Preto (Brasile).
32. Arcivescovo Józef Piotr KUPNY, di Wrocław (Polonia).
33. Arcivescovo Sergio Alfredo GUALBERTI CALANDRINA, di Santa Cruz de la Sierra (Bolivia).
34. Arcivescovo Giuseppe PETROCCHI, de L’Aquila (Italia).
Al seguente Presule il Pallio verrà consegnato nella sua Sede Metropolitana:
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35. Arcivescovo François Xavier LÊ VĂN HÔNG, Arcivescovo di Huê (Viêt Nam). Lo riceve in sede.
Fonte: Vatican Information Service

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Collegialità, ma il primato di Pietro non si tocca
di Massimo Introvigne
 Papa Francesco ha celebrato la Messa nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, imponendo il tradizionale pallio ai nuovi metropoliti. In apertura il Papa ha voluto salutare il coro della Thomaskirche di Lipsia con uno specifico riferimento a Johann Sebastian Bach (1685-1750), che in quella chiesa è sepolto: un saluto ecumenico a un coro luterano, certo, ma anche una risposta a coloro che - dopo la scelta di non presenziare al concerto della RAI - hanno scritto che il Pontefice disprezza la cultura musicale europea. In generale, tutta l'omelia - come al solito divisa didatticamente in tre parti - è sembrata guardare a interlocutori esterni e a problematiche di attualità, con un occhio sempre rivolto alla riforma della Curia romana e a decisioni imminenti che stanno per essere prese. Il Conclave ha chiesto al nuovo Pontefice d'immettere nella Chiesa più collegialità, più consultazione fra Curia romana e vescovi sparsi nel mondo. Francesco annuncia che si muoverà in questa direzione, ma purché non si metta in discussione il primato del Papa, senza il quale viene meno l'unità della Chiesa. 
Il Papa ha proposto tre pensieri sul ministero petrino, secondo tre diversi significati del verbo «confermare»: confermare nella fede, confermare nell'amore, confermare nella carità. Anzitutto, il Papa è chiamato a confermare nella fede. L'apostolo Pietro diventa il primo Papa quando confessa la verità sul Signore:  «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Solo dopo questa «confessione che non nasce da lui, ma dal Padre celeste», Gesù gli dice: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). Il Signore ci insegna quindi con grande chiarezza che «il servizio ecclesiale di Pietro ha il suo fondamento nella confessione di fede in Gesù, il Figlio del Dio vivente, resa possibile da una grazia donata dall’alto». Il Papa è il Papa in quanto conferma i fedeli nella verità. 
E anche il Papa, ha detto Francesco, corre «il pericolo di pensare in modo mondano». Anche questa non è una novità, la troviamo nel Vangelo. Sono passati pochi minuti dall'istituzione del pontificato e già Pietro si mette ad argomentare appunto «in modo mondano», a suggerire a Gesù che forse la crocifissione non è proprio necessaria, attirandosi la nota durissima risposta del Signore: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo» (Mt 156,23). «Quando lasciamo prevalere i nostri pensieri, i nostri sentimenti, la logica del potere umano - commenta Francesco - e non ci lasciamo istruire e guidare dalla fede, da Dio, diventiamo pietra d’inciampo». Che questo valga anche per i Papi lo sappiamo da quel primo famosissimo dialogo fra Gesù e Pietro.
Secondo: il Papa è Papa perché conferma nell'amore. San Paolo al termine della sua vita può scrivere: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2 Tm 4,7). «Di quale battaglia si tratta?», si chiede Francesco. «Non quella delle armi umane, che purtroppo insanguina ancora il mondo; ma è la battaglia del martirio. San Paolo ha un’unica arma: il messaggio di Cristo e il dono di tutta la sua vita per Cristo e per gli altri. Ed è proprio l’esporsi in prima persona, il lasciarsi consumare per il Vangelo, il farsi tutto a tutti, senza risparmiarsi, che lo ha reso credibile e ha edificato la Chiesa». Se vuole essere credibile, anche il Papa, il Vescovo di Roma è chiamato a testimoniare il suo amore per la Chiesa in modo totale, senza temere le contraddizioni,  le persecuzioni e il martirio. E questo è anche il  compito di tutti i vescovi, simboleggiato dalla consegna del pallio. 
Terzo: il Papa è Papa perché conferma nell’unità. Lo stesso pallio è anche «simbolo di comunione con il Successore di Pietro». La Costituzione dogmatica «Lumen gentium» del Concilio Ecumenico Vaticano II, ha ricordato Francesco, definisce il Papa «principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione». Lo stesso testo conciliare afferma che il Signore «costituì gli Apostoli a modo di collegio o gruppo stabile, a capo del quale mise Pietro, scelto di mezzo a loro». Com'è noto, questo fu un problema centrale e difficile per il Vaticano II: armonizzare il primato del Papa, senza il quale non c'è unità, con la collegialità tra i vescovi, che è necessaria al governo di una Chiesa sempre più estesa e complessa e senza la quale, ha detto Francesco, l'unità rischia di trasformarsi in una sterile «uniformità». Dopo il Concilio i Papi hanno cercato di promuovere «il Sinodo dei Vescovi, in armonia con il primato. Dobbiamo andare per questa strada della sinodalità, crescere in armonia con il servizio del primato». 
Citando ancora la «Lumen gentium» Francesco ha affermato che il collegio dei vescovi, «in quanto composto da molti, esprime la varietà e universalità del Popolo di Dio». Ma questa varietà deve poi essere ricondotta a unità intorno al Vescovo di Roma. «Nella Chiesa la varietà, che è una grande ricchezza, si fonde sempre nell’armonia dell’unità, come un grande mosaico in cui tutte le tessere concorrono a formare l’unico grande disegno di Dio». «Unirsi nelle differenze» è la formula che coniuga collegialità e primato: ma questo, ha concluso il Papa, è possibile solo se i vescovi si affidano e confessano anzitutto la verità e alimentano questa professione di fede con una vita spirituale caratterizzata dal «consumarsi per amore di Cristo e del suo Vangelo» e da una vera devozione alla Madonna, Regina degli Apostoli.
Un'omelia, come si vede, fortemente teologica ma nello stesso tempo non priva d'impliciti riferimenti all'attualità. Il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ha commentato che «nel gesto profetico della rinuncia di Benedetto XVI era implicito anche un grido: non si può lasciare sulle spalle di uno solo l’esercizio di un compito così gravoso. Nel pre-conclave abbiamo detto che, senza intaccare il primato, sarebbe stato provvidenziale che il nuovo Papa trovasse nuove forme per guidare la Chiesa». La riforma della Curia romana, il ruolo - che sembra sarà precisato in un imminente documento - della commissione di otto cardinali chiamata a consigliare il Papa su tale riforma, una nuova disciplina del Sinodo dei Vescovi: sono tutte mosse nella direzione,  che come ricorda il cardinale Scola fu auspicata da tutti al Conclave, di una nuova riflessione sulla collegialità «senza intaccare il primato».
Il giorno prima dell'omelia Papa Francesco aveva incontrato una delegazione del patriarcato ecumenico - ortodosso -  di Costantinopoli, presente anche alla Messa per la festa dei Santi Pietro e Paolo. Agli ortodossi Francesco aveva ricordato che è in corso una «riflessione della Chiesa cattolica sul senso della collegialità episcopale, e alla tradizione della sinodalità, così tipica delle Chiese ortodosse». Molti osservatori pensano che all'uso frequente - ancorché non esclusivo - dell'espressione «Vescovo di Roma» accanto a quella di Papa, tipico di Francesco, non sia estranea appunto la preoccupazione ecumenica di venire incontro alle Chiese ortodosse, in particolare quelle del Patriarcato detto «ecumenico» di Costantinopoli, che appaiono le più vicine in un cammino verso la piena unità. Naturalmente il cammino rimane delicato: sinodalità sì, ha detto il Papa, ma sempre «in armonia con il primato» del Vescovo di Roma.
Infine, in previsione del venticinquesimo anniversario, il 30 giugno 2013, delle ordinazioni senza l'autorizzazione di Roma di quattro vescovi da parte di monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991), il 27 giugno la Fraternità Sacerdotale San Pio X, appunto l'organizzazione fondata da mons. Lefebvre, ha pubblicato una dichiarazione ufficiale in cui ribadisce che non è disponibile ad accettare, come chiedeva Benedetto XVI, i documenti del Vaticano II interpretandoli secondo una «ermeneutica di riforma nella continuità» con il Magistero precedente, ma intende rifiutare questi documenti - o almeno buona parte di essi - in quanto rimane convinta che «la causa degli errori che stanno demolendo la Chiesa non risiede in una cattiva interpretazione dei testi conciliari, ma nei testi stessi». La dichiarazione cita la libertà religiosa, l'ecumenismo, il dialogo interreligioso, la liturgia, ma rifiuta anche esplicitamente la Costituzione dogmatica «Lumen gentium», affermando che la nozione di collegialità «distrugge l'autorità della Chiesa».
Non risulta che Papa Francesco si sia occupato per ora dello spinoso dossier che riguarda i cosiddetti «lefebvriani». Tuttavia in tema di libertà religiosa, ecumenismo, relazioni con gli ebrei e ora anche collegialità Francesco continua a ribadire - sulla scia di Benedetto XVI - che gli insegnamenti del Vaticano II non sono facoltativi, denunciando implicitamente posizioni che peraltro esistono anche al di fuori del mondo «lefebvriano» . È giusto e anzi doveroso approfondire l'interpretazione dei documenti conciliari, denunciando le false ermeneutiche che li presentano come rottura con il Magistero precedente.  Ma interpretare non può significare rifiutare, né accettare solo quanto nei testi del Vaticano II si limita a ribadire il Magistero precedente. Benedetto XVI parlava non di semplice «continuità» ma di «riforma nella continuità», e Francesco sta ora ribadendo uno per uno i momenti riformatori, nello stesso tempo interpretandoli «in continuità» sulla scia di Papa Ratzinger: dell'ecumenismo ai rapporti con il mondo ebraico e alla collegialità. Chi rifiuta i capisaldi del Vaticano II non può affermare di essere in armonia e in comunione con il Pontefice.

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Di seguito il testo dell'omelia del Papa nelle altre lingue.

FRANCESE
Messieurs les Cardinaux,
vénérés frères dans l’Episcopat et le Sacerdoce,
chers frères et sœurs,
Nous célébrons la solennité des saints Apôtres Pierre et Paul, patrons principaux de l’Eglise de Rome : une fête rendue plus joyeuse encore par la présence des évêques du monde entier. Une grande richesse qui nous fait revivre, en un certain sens, l’évènement de la Pentecôte : aujourd’hui, comme alors, la foi de l’Eglise s’exprime dans toutes les langue et veut unir les peuples en une seule famille.
Je salue de tout cœur et avec gratitude la délégation du Patriarcat de Constantinople, conduite par le Métropolitain Ioannis. Je remercie le Patriarche œcuménique Bartolomé 1er pour ce geste fraternel renouvelé. Je salue Messieurs les Ambassadeurs et les autorités civiles. Un merci particulier au Chœur de la Thomaskirche de Lipsa - l’église de Bach – qui anime la liturgie et qui constitue une présence œcuménique supplémentaire.
Trois pensées sur le ministère pétrinien, à partir du verbe « confirmer ». En quoi l’Evêque de Rome est-il appelé à confirmer ?
1. Avant tout, confirmer dans la foi. L’Evangile parle de la confession de Pierre. « Tu es le Christ, le Fils du Dieu vivant » (Mt 16,16), une confession qui ne vient pas de lui, mais du Père céleste. Et c’est en raison de cette confession que Jésus dit : « Tu es Pierre et sur cette Pierre je bâtirai mon Eglise » (v. 18). Le rôle, le service ecclésial de Pierre a son fondement dans la confession de foi en Jésus, le Fils du Dieu vivant, rendue possible par une grâce donnée d’en haut. Dans la seconde partie de l’Evangile d’aujourd’hui nous voyons le danger de penser à la manière du monde. Quand Jésus parle de sa mort et de sa résurrection, de la route de Dieu qui ne correspond pas à la route humaine du pouvoir, la chair et le sang reprennent le dessus chez Pierre : « il se mit à lui faire de vifs reproches : cela ne t’arrivera pas » (16,22). Et Jésus a une parole dure : « Passe derrière moi Satan ! tu es un obstacle sur ma route » (v. 23). Quand nous laissons prévaloir nos pensées, nos sentiments, la logique du pouvoir humain, et que nous ne nous laissons pas instruire et guider par la foi, par Dieu, nous devenons pierre d’achoppement. La foi dans le Christ est la lumière de notre vie de chrétiens et de ministres de l’Eglise !
2. Confirmer dans l’amour. Dans la seconde lecture nous avons écouté les émouvantes paroles de saint Paul : « J’ai combattu le bon combat, j’ai terminé la course, j’ai conservé la foi » (2Tm 4,7). De quel combat s’agit-il ? Non celui des armes humaines, qui malheureusement ensanglantent encore le monde ; mais il s’agit du combat du martyre. Saint Paul a une seule arme : le message du Christ, et le don de toute sa vie pour le Christ et pour les autres. Et c’est vraiment le fait de s’exposer en première ligne, de se laisser consumer par l’Evangile, de se faire tout à tous sans se ménager qui l’a rendu crédible et qui a édifié l’Eglise. L’Evêque de Rome est appelé à vivre et à confirmer dans cet amour pour le Christ et pour tous, sans distinctions, limites ni barrières.
3. Confirmer dans l’unité. Ici je m’arrête sur le geste que nous avons accompli. Le Pallium est symbole de communion avec le successeur de Pierre, « principe et fondement perpétuels et visibles d’unité de foi et de communion » (Conc. Œcum. Vat. II, Lumen gentium, 18). Et votre présence aujourd’hui, chères confrères, est le signe que la communion dans l’Eglise ne signifie pas uniformité. Vatican II, se référant à la structure hiérarchique de l’Eglise, affirme que le Seigneur « en fit ses Apôtres, leur donnant forme d’un collège, c'est-à-dire d’un groupe stable, et mit à leur tête Pierre, choisi parmi eux » (Ibid., 19). Et il continue : « par sa composition multiple, ce collège exprime la variété et l’universalité du Peuple de Dieu » (Ibid., 22). Dans l’Eglise la variété, qui est une grande richesse, se fonde toujours sur l’harmonie de l’unité, comme une grande mosaïque dans laquelle les tesselles s’assemblent pour former l’unique grand dess(e)in de Dieu. Et cela doit nous pousser à dépasser toujours les conflits qui blessent le corps de l’Eglise. Unis dans la différence : voilà la route de Jésus ! Le Pallium, s’il est le signe de la communion avec l’Evêque de Rome, avec l’Eglise universelle, est aussi un engagement pour chacun de vous à être instrument de communion.
Confesser le Seigneur en se laissant instruire par Dieu ;se laisser consumer par amour du Christ et de son Evangile, être serviteur de l’unité. Ce sont là, chers confrères dans l’épiscopat, les consignes que les saint Apôtres Pierre et Paul confient à chacun de nous, pour qu’elles soient vécues par tout chrétien. Que nous guide et nous accompagne toujours de son intercession la sainte Mère de Dieu : « Reine des Apôtres, priez pour nous ! Amen.

INGLESE
Your Eminences,
My Brother Bishops and Priests,
Dear Brothers and Sisters,
We are celebrating the Solemnity of Saints Peter and Paul, Apostles, principal patrons of the Church of Rome: a celebration made all the more joyful by the presence of bishops from throughout the world. A great wealth, which makes us in some sense relive the event of Pentecost. Today, as then, the faith of the Church speaks in every tongue and desire to unite all peoples in one family.
I offer a heartfelt and grateful greeting to the Delegation of the Patriarchate of Constantinople, led by Metropolitan Ioannis. I thank Ecumenical Patriarch Bartholomaios I for this renewed gesture of fraternity. I greet the distinguished ambassadors and civil authorities. And in a special way I thank the Thomanerchor, the Choir of the Thomaskirche of Leipzig – Bach’s own church – which is contributing to today’s liturgical celebration and represents an additional ecumenical presence.
I would like to offer three thoughts on the Petrine ministry, guided by the word “confirm”. What has the Bishop of Rome been called to confirm?
1. First, to confirm in faith. The Gospel speaks of the confession of Peter: “You are Christ, the Son of the living God” (Mt 16:16), a confession which does not come from him but from our Father in heaven. Because of this confession, Jesus replies: “You are Peter, and on this rock I will build my Church” (v. 18). The role, the ecclesial service of Peter, is founded upon his confession of faith in Jesus, the Son of the living God, made possible by a grace granted from on high. In the second part of today’s Gospel we see the peril of thinking in worldly terms. When Jesus speaks of his death and resurrection, of the path of God which does not correspond to the human path of power, flesh and blood re-emerge in Peter: “He took Jesus aside and began to rebuke him ... This must never happen to you” (16:22). Jesus’ response is harsh: “Get behind me, Satan! You are a hindrance to me” (v. 23). Whenever we let our thoughts, our feelings or the logic of human power prevail, and we do not let ourselves be taught and guided by faith, by God, we become stumbling blocks. Faith in Christ is the light of our life as Christians and as ministers in the Church!
2. To confirm in love. In the second reading we heard the moving words of Saint Paul: “I have fought the good fight, I have finished the race, I have kept the faith” (2 Tm 4:7). But what is this fight? It is not one of those fights fought with human weapons which sadly continue to cause bloodshed throughout the world; rather, it is the fight of martyrdom. Saint Paul has but one weapon: the message of Christ and the gift of his entire life for Christ and for others. It is precisely this readiness to lay himself open, personally, to be consumed for the sake of the Gospel, to make himself all things to all people, unstintingly, that gives him credibility and builds up the Church. The Bishop of Rome is called himself to live and to confirm his brothers and sisters in this love for Christ and for all others, without distinction, limits or barriers.
3. To confirm in unity. Here I would like to reflect for a moment on the rite which we have carried out. The pallium is a symbol of communion with the Successor of Peter, “the lasting and visible source and foundation of the unity both of faith and of communion” (Lumen Gentium, 18). And your presence today, dear brothers, is the sign that the Church’s communion does not mean uniformity. The Second Vatican Council, in speaking of the hierarchical structure of the Church, states that the Lord “established the apostles as college or permanent assembly, at the head of which he placed Peter, chosen from their number” (ibid., 19). And it continues, “this college, in so far as it is composed of many members, is the expression of the variety and universality of the people of God” (ibid., 22). In the Church, variety, which is itself a great treasure, is always grounded in the harmony of unity, like a great mosaic in which every small piece joins with others as part of God’s one great plan. This should inspire us to work always to overcome every conflict which wounds the body of the Church. United in our differences: this is the way of Jesus! The pallium, while being a sign of communion with the Bishop of Rome and with the universal church, also commits each of you to being a servant of communion.
To confess the Lord by letting oneself be taught by God; to be consumed by love for Christ and his Gospel; to be servants of unity. These, dear brother bishops, are the tasks which the holy apostles Peter and Paul entrust to each of us, so that they can be lived by every Christian. May the holy Mother of God guide us and acompany us always with her intercession. Queen of Apostles, pray for us! Amen.

SPAGNOLO
Señores cardenales,
venerados hermanos en el episcopado y el sacerdocio,
queridos hermanos y hermanas
Celebramos la solemnidad de los santos apóstoles Pedro y Pablo, patronos principales de la Iglesia de Roma: una fiesta que adquiere un tono de mayor alegría por la presencia de obispos de todo el mundo. Es una gran riqueza que, en cierto modo, nos permite revivir el acontecimiento de Pentecostés: hoy, como entonces, la fe de la Iglesia habla en todas las lenguas y quiere unir a los pueblos en una sola familia.
Saludo cordialmente y con gratitud a la delegación del Patriarcado de Constantinopla, guiada por el Metropolita Ioannis. Agradezco al Patriarca ecuménico Bartolomé I por este Nuevo gesto de fraternidad. Saludo a los señores embajadores y a las autoridades civiles. Un gracias especial al Thomanerchor, el coro de la Thomaskirche, de Lipsia, la iglesia de Bach, que anima la liturgia y que constituye una ulterior presencia ecuménica.
Tres ideas sobre el ministerio petrino, guiadas por el verbo «confirmar». ¿Qué está llamado a confirmar el Obispo de Roma?
1. Ante todo, confirmar en la fe. El Evangelio habla de la confesión de Pedro: «Tú eres el Mesías, el Hijo del Dios vivo» (Mt, 16,16), una confesión que no viene de él, sino del Padre celestial. Y, a raíz de esta confesión, Jesús le dice: «Tú eres Pedro, y sobre esta piedra edificaré mi Iglesia» (v. 18). El papel, el servicio eclesial de Pedro tiene su en la confesión de fe en Jesús, el Hijo de Dios vivo, en virtud de una gracia donada de lo alto. En la segunda parte del Evangelio de hoy vemos el peligro de pensar de manera mundana. Cuando Jesús habla de su muerte y resurrección, del camino de Dios, que no se corresponde con el camino humano del poder, afloran en Pedro la carne y la sangre: «Se puso a increparlo: “¡Lejos de ti tal cosa, Señor!”» (16,22). Y Jesús tiene palabras duras con él: «Aléjate de mí, Satanás. Eres para mí piedra de tropiezo» (v. 23). Cuando dejamos que prevalezcan nuestras Ideas, nuestros sentimientos, la lógica del poder humano, y no nos dejamos instruir y guiar por la fe, por Dios, nos convertimos en piedras de tropiezo. La fe en Cristo es la luz de nuestra vida de cristianos y de ministros de la Iglesia.
2. Confirmar en el amor. En la Segunda Lectura hemos escuchado las palabras conmovedoras de san Pablo: «He luchado el noble combate, he acabado la carrera, he conservado la fe» (2 Tm 4,7). ¿De qué combate se trata? No el de las armas humanas, que por desgracia todavía ensangrientan el mundo; sino el combate del martirio. San Pablo sólo tiene un arma: el mensaje de Cristo y la entrega de toda su vida por Cristo y por los demás. Y es precisamente su exponerse en primera persona, su dejarse consumar por el evangelio, el hacerse todo para todos, sin reservas, lo que lo ha hecho creíble y ha edificado la Iglesia. El Obispo de Roma está llamado a vivir y a confirmar en este amor a Jesús y a todos sin distinción, límites o barreras.
3. Confirmar en la unidad. Aquí me refiero al gesto que hemos realizado. El palio es símbolo de comunión con el Sucesor de Pedro, «principio y fundamento, perpetuo y visible, de la unidad de la fe y de la comunión» (Lumen gentium, 18). Y vuestra presencia hoy, queridos hermanos, es el signo de que la comunión de la Iglesia no significa uniformidad. El Vaticano II, refiriéndose a la estructura jerárquica de la Iglesia, afirma que el Señor «con estos apóstoles formó una especie de Colegio o grupo estable, y eligiendo de entre ellos a Pedro lo puso al frente de él» (ibíd. 19). Y prosigue: «Este Colegio, en cuanto compuesto de muchos, expresa la diversidad y la unidad del Pueblo de Dios» (ibíd. 22). La variedad en la Iglesia, que es una gran riqueza, se funde siempre en la armonía de la unidad, como un gran mosaico en el que las teselas se juntan para formar el único gran diseño de Dios. Y esto debe impulsar a superar siempre cualquier conflicto que hiere el cuerpo de la Iglesia. Unidos en las diferencias: éste es el camino de Jesús. El palio, siendo signo de la comunión con el Obispo de Roma, con la Iglesia universal, supone también para cada uno de vosotros el compromiso de ser instrumentos de comunión.
Confesar al Señor dejándose instruir por Dios; consumarse por amor de Cristo y de su evangelio; ser servidores de la unidad. Queridos hermanos en el episcopado, estas son las consignas que los santos apóstoles Pedro y Pablo confían a cada uno de nosotros, para que sean vividas por todo cristiano. Que la santa Madre de Dios nos guíe y acompañe siempre con su intercesión: Reina de los apóstoles, reza por nosotros. Amén.
PORTOGHESE
Senhores Cardeais,
Venerados Irmãos no Episcopado e no Sacerdócio,
Amados irmãos e irmãs!
Celebramos a solenidade dos Apóstolos São Pedro e São Paulo, padroeiros principais da Igreja de Roma; uma festa tornada ainda mais jubilosa pela presença de Bispos de todo o mundo. Uma enorme riqueza que nos faz reviver, de certa forma, o evento de Pentecostes: hoje, como então, a fé da Igreja fala em todas as línguas e quer unir os povos numa só família.
Saúdo cordialmente e com gratidão a Delegação do Patriarcado de Constantinopla, guiada pelo Metropolita Ioannis. Agradeço ao Patriarca ecuménico Bartolomeu I este novo gesto fraterno. Saúdo os Senhores Embaixadores e as Autoridades civis. Um obrigado especial ao Thomanerchor, o Coro da Thomaskirche de Lípsia – a igreja de Bach – que anima a Liturgia e constitui mais uma presença ecuménica.
Três pensamentos sobre o ministério petrino, guiados pelo verbo «confirmar». Em que é chamado a confirmar o Bispo de Roma?
1. Em primeiro lugar, confirmar na fé. O Evangelho fala da confissão de Pedro: «Tu és o Messias, o Filho de Deus vivo» (Mt 16, 16), uma confissão que não nasce dele, mas do Pai celeste. É por causa desta confissão que Jesus diz: «Tu és Pedro, e sobre esta Pedra edificarei a minha Igreja» (16, 18). O papel, o serviço eclesial de Pedro tem o seu fundamento na confissão de fé em Jesus, o Filho de Deus vivo, tornada possível por uma graça recebida do Alto. Na segunda parte do Evangelho de hoje, vemos o perigo de pensar de forma mundana. Quando Jesus fala da sua morte e ressurreição, do caminho de Deus que não corresponde ao caminho humano do poder, voltam ao de cima em Pedro a carne e o sangue: «Pedro começou a repreendê-Lo, dizendo: (…) Isso nunca Te há-de acontecer!» (16, 22). E Jesus tem uma palavra dura: «Afasta-te, Satanás! Tu és para Mim um estorvo» (16, 23). Quando deixamos prevalecer os nossos pensamentos, os nossos sentimentos, a lógica do poder humano e não nos deixamos instruir e guiar pela fé, por Deus, tornamo-nos pedra de tropeço. A fé em Cristo é a luz da nossa vida de cristãos e de ministros na Igreja!
2. Confirmar no amor. Na segunda leitura, ouvimos as palavras comoventes de São Paulo: «Combati o bom combate, terminei a corrida, permaneci fiel» (2 Tm 4, 7). Qual combate? Não é o das armas humanas, que, infelizmente, ainda ensanguenta o mundo, mas o combate do martírio. São Paulo tem uma única arma: a mensagem de Cristo e o dom de toda a sua vida por Cristo e pelos outros. E foi precisamente este facto de expor-se em primeira pessoa, deixar-se consumar pelo Evangelho, fazer-se tudo para todos sem se poupar, que o tornou credível e edificou a Igreja. O Bispo de Roma é chamado a viver e confirmar neste amor por Cristo e por todos, sem distinção, limite ou barreira.
3. Confirmar na unidade. Aqui detenho-me a considerar o gesto que realizámos. O Pálio é símbolo de comunhão com o Sucessor de Pedro, «princípio e fundamento perpétuo e visível da unidade de fé e comunhão» (CONC. ECUM. VAT. II, Lumen gentium, 18). E hoje a vossa presença, amados Irmãos, é o sinal de que a comunhão da Igreja não significa uniformidade. Referindo-se à estrutura hierárquica da Igreja, o Concílio Vaticano II afirma que o Senhor «constituiu [os Apóstolos] em colégio ou grupo estável e deu-lhes como chefe a Pedro, escolhido de entre eles» (ibid., 19). E continua: «Este colégio, enquanto composto por muitos, exprime a variedade e universalidade do Povo de Deus» (ibid., 22). Na Igreja, a variedade, que é uma grande riqueza, sempre se funde na harmonia da unidade, como um grande mosaico onde todos os ladrilhos concorrem para formar o único grande desígnio de Deus. E isto deve impelir a superar sempre todo o conflito que possa ferir o corpo da Igreja. Unidos nas diferenças: este é o caminho de Jesus! O Pálio, se é sinal da comunhão com o Bispo de Roma, com a Igreja universal, é também um compromisso que obriga cada um de vós a ser instrumento de comunhão.

Confessar o Senhor deixando-se instruir por Deus, consumar-se por amor de Cristo e do seu Evangelho, ser servidores da unidade: estas são as incumbências que os Apóstolos São Pedro e São Paulo confiam a cada um de nós, amados Irmãos no Episcopado, para serem vividas por cada cristão. Sempre nos guie e acompanhe com a sua intercessão a Santíssima Mãe de Deus: Rainha dos Apóstolos, rogai por nós! Amen.