venerdì 28 giugno 2013

Il Papa: il cristiano sia paziente e irreprensibile, camminando sempre alla presenza del Signore



Nuovo tweet del Papa: 

Gesù non ci ha salvato con un idea. Si è abbassato e si è fatto uomo. La Parola si è fatta carne. 

(28 giugno 2013)


*
Non esiste «un protocollo dell’azione di Dio sulla nostra vita», ma possiamo esser certi che, prima o poi, egli interviene «a modo suo». Per questo non dobbiamo farci prendere dall’impazienza o dallo scetticismo, anche perché quando ci scoraggiamo e «decidiamo di scendere dalla croce, lo facciamo sempre cinque minuti prima della rivelazione».
È questo invito a saper accettare e a riconoscere i tempi di Dio quello che il Papa ha rivolto durante la messa celebrata questa mattina, venerdì 28 giugno, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Tra i presenti, personale della Direzione di Sanità e Igiene del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, guidato dal direttore Patrizio Polisca.
Dio cammina sempre con noi «e questo è sicuro» ha detto il Pontefice. «Dal primo momento della creazione — ha spiegato — il Signore si è coinvolto con noi. Non ha creato il mondo, l’uomo, la donna, e li ha lasciati. Ci ha creati a sua immagine e somiglianza». Dunque fin dall’inizio dei tempi c’è «questo coinvolgimento del Signore nella nostra vita, nella vita del suo popolo», perché «il Signore è vicino al suo popolo, molto vicino. Lui stesso lo dice: quale popolo sulla terra ha un Dio tanto vicino come voi?».
«Questa vicinanza del Signore — ha affermato Papa Francesco — è un segno del suo amore: lui ci ama tanto che ha voluto camminare con noi. La vita è un cammino che lui ha voluto fare insieme a noi. E sempre il Signore entra nella nostra vita e ci aiuta ad andare avanti». Ma, ha precisato, «quando il Signore viene, non sempre lo fa alla stessa maniera. Non esiste un protocollo dell’azione di Dio sulla nostra vita. Una volta lo fa in una maniera, un’altra volta lo fa in un’altra maniera. Ma lo fa sempre. Sempre c’è questo incontro fra noi e il Signore».
Nel passo del vangelo  di Matteo (8, 1-4) della liturgia del giorno «abbiamo visto — ha evidenziato il Santo Padre — come il Signore entra  subito nella vita di questo lebbroso». Racconta l’evangelista che «quando Gesù scese dal monte molta folla lo seguì. Ed ecco, si avvicinò un lebbroso, si prostrò davanti a lui e disse: “Signore, se vuoi, puoi purificarmi”. Tese la mano e lo toccò dicendo: “Lo voglio!”». Dunque Gesù interviene «subito: la preghiera e il miracolo».
Al contrario, nella prima lettura, tratta dal libro della Genesi (17,1.9-10.15-22), «vediamo — ha spiegato il Papa — come il Signore entra nella vita di Abramo passo dopo passo, lentamente. Quando Abramo aveva ottantanove anni», Dio gli aveva assicurato la nascita di un figlio. «Oggi abbiamo letto che a novantanove anni, dieci anni dopo, gli promette un figlio. Sono passati dieci anni. I saggi ci dicono: per il Signore un giorno è come mille anni e mille anni sono come un giorno» ha sottolineato il Pontefice.
«Il Signore — ha proseguito — segue sempre il suo modo di entrare nella nostra vita. Tante volte lo fa tanto lentamente che noi siamo nel rischio di perdere un po’ la pazienza: “ma, Signore, quando?”. E preghiamo e preghiamo, ma non viene il suo intervento sulla nostra vita». Altre volte, invece, «pensiamo a quello che il Signore ci ha promesso, ma è tanto grande che siamo un po’ increduli, un po’ scettici, e come Abramo un po’ di nascosto sorridiamo».
Infatti il brano della Genesi «ci dice che Abramo nasconde la sua faccia e sorride. Un po’ di scetticismo: “Ma come io, a cent’anni quasi, avrò un figlio e mia moglie a novant’anni avrà un figlio!”». E «lo stesso — ha aggiunto il Pontefice — farà Sara alle Querce di Mamre, quando i tre angeli» ripetono l’annuncio «ad Abramo mentre lei era un po’ nascosta dietro la porta della tenda: spiava sicuro per sentire di cosa parlavano gli uomini, ma questo è sempre successo... E lei, quando ha sentito questo, sorrise. Sorrise di scetticismo».
Lo stesso accade anche a noi, come ha fatto notare Papa Francesco:  «Quante volte, quando il Signore non viene, non fa il miracolo e non ci  fa quello che noi vogliamo che lui faccia, diventiamo o impazienti — “ma non lo fa!” — o scettici: “non può farlo!”».
«Il Signore prende il suo tempo — ha continuato il Pontefice — ma anche lui, in questo rapporto con noi, ha tanta pazienza. Non soltanto noi dobbiamo avere pazienza. Lui ne ha, lui ci aspetta. E ci aspetta fino alla fine della vita, insieme al buon ladrone che proprio alla fine ha riconosciuto Dio. Il Signore cammina con noi, ma tante volte non si fa vedere, come nel caso dei discepoli di Emmaus».
«Il Signore — ha detto ancora il Santo Padre — è coinvolto nella nostra vita, questo è sicuro, ma tante volte non lo vediamo. E questo ci chiede pazienza. Ma il Signore, che cammina con  noi, anche lui ha tanta pazienza con noi: il mistero della pazienza di Dio che, nel camminare, cammina al nostro passo».
«Alcune volte — ha spiegato Papa Francesco — nella vita le cose diventano tanto oscure. C’è tanto buio. E noi abbiamo voglia, se siamo in difficoltà, di scendere dalla croce. E questo è il momento preciso: la notte è più buia quando è prossima l’aurora. E sempre, quando noi scendiamo dalla croce, lo facciamo cinque minuti prima che venga la rivelazione. È il momento dell’impazienza più grande». Qui ci viene in aiuto l’insegnamento di Gesù, che «sulla croce sentiva che lo sfidavano: “scendi, scendi, vieni!”». Ci vuole perciò «pazienza fino alla fine, perché lui ha pazienza con noi. Lui entra sempre. Lui è coinvolto con noi. Ma lo fa a modo suo e quando lui pensa che sia meglio, ci dice soltanto quello che ha detto ad Abramo: “Cammina nella mia presenza e sii perfetto, sii irreprensibile”: è proprio la parola giusta».
Il Pontefice ha concluso l’omelia pregando il Signore perché conceda a tutti la grazia di «camminare sempre nella sua presenza cercando di essere irreprensibili. Questo è il cammino con il Signore e lui interviene, ma dobbiamo aspettare: aspettare il momento camminando sempre nella sua presenza e cercando di essere irreprensibili».
L'Osservatore Romano

Radio Vaticana 

*


*


In missione (sulla metro) come Jorge

Il 29 giugno i giovani cattolici di Buenos Aires si ritrovano in quelle stazioni frequentate dall’allora cardinale per celebrare la Giornata del Papa in vista della Gmg

G. BERNARDELLI

Missionari sulla stessa metropolitana che Jorge Mario Bergoglio fino a qualche mese fa utilizzava per i suoi spostamenti in città. E divenuta in fretta un’icona di quelle periferie esistenziali di cui anche ora da Roma Papa Francesco ama parlare come faceva sempre con loro a Buenos Aires.  I giovani cattolici della capitale argentina vivranno così sabato 29 giugno la festa dei Santi Pietro e Paolo. Convocati dall’arcidiocesi si sono dati appuntamento per celebrare la Giornata del Papa, che inizierà nelle stazioni della metropolitana e culminerà poi in una Messa durante la quale - alla sera in cattedrale - riceveranno il mandato coloro che il mese prossimo parteciperanno alla Giornata mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro.

Anche a Buenos Aires sta salendo la febbre per l’appuntamento di fine luglio che per molti giovani sarà l’occasione per tornare a incontrare quello che era il loro arcivescovo. Giocando sulle due grandi glorie nazionali del momento il Vicariato per la pastorale giovanile di Buenos Aires sta facendo girare su YouTube un video in cui un giovane con la maglietta numero 19 della nazionale biancoceleste - quella di Lionel Messi - si appresta a entrare in campo per una partita. Ma quando arriva il momento decisivo sopra a quella divisa ne indossa un’altra: quella con il logo del raduno mondiale dei giovani con Papa Francesco. Un modo per far passare il messaggio che anche per i giovani cattolici di Buenos Aires c’è una sfida da raccogliere dopo questa elezione inaspettata. E dunque sabato si comincia dalla metropolitana.

I giovani delle parrocchie di Buenos Aires si ritroveranno a gruppi in tutte le stazioni: avvicineranno i passanti consegnando loro un’immagine con una preghiera per il Papa e raccoglieranno reazioni, storie, magari anche qualche intenzione di preghiera. Poi convergeranno alla cattedrale in Plaza de Mayo, dove - davanti a una riproduzione della croce delle Gmg - terranno una veglia di preghiera incentrata su tre parole chiave di Papa Francesco: perdono, preghiera e missione. Sarà il momento che introdurrà poi alla Messa presieduta dal vescovo ausiliare Eduardo Garcia, dal momento che proprio in occasione della festa di san Pietro e Paolo l’arcivescovo Mario Aurelio Poli sarà a Roma per ricevere il pallio da Bergoglio. La serata si concluderà infine in Plaza de Mayo con un’esibizione di alcune band musicali.

«Sarà un modo per celebrare e rivivere quanto abbiamo vissuto pochi mesi fa con l’elezione del Papa - ha spiegato all’agenzia cattolica argentina Aica padre Mario Miceli, responsabile della pastorale giovanile per l’arcidiocesi di Buenos Aires -. Noi lo sentiamo ancora nostro. E quando vediamo i suoi gesti e ci interroghiamo su come essere una Chiesa che sa uscire, includere, stare accanto a chi ha più bisogno, capiamo che non possiamo fare a meno della missione, della preghiera e della riflessione».


*
Il vescovo ausiliare di Buenos Aires: con il suo stile il Papa rende vive le parole del Vangelo

Misericordia e tenerezza: sono fra le due prime parole usate da Papa Francesco all’inizio del suo Pontificato. Nelle Messe della mattina a Casa Santa Marta ma non solo, il Papa è tornato anche su altri termini che in qualche modo sembrano caratterizzare il suo magistero, come magnanimità, amore ai nemici, comunione. A più di tre mesi dall’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio al Soglio di Pietro, ripercorriamo alcuni aspetti del suo pensiero con l’aiuto del vescovo ausiliare di Buenos Aires, mons. Eduardo Garcia che conosce Papa Francesco da oltre 20 anni. 

Magnanimità, amore ai nemici, annunciare il Vangelo, andare alle periferie esistenziali, essere cristiani gioiosi. Papa Francesco più volte ha dipanato questi concetti che sembrano rimandare ad una questione centrale: la conversione personale. Conversione legata ad un rapporto con Gesù Cristo a cui il Papa esorta. Sentiamo mons. Eduardo Garcia
“El Papa, lo que va haciendo es un discernimiento de la vida…
Quello che sta facendo il Papa è un discernimento della vita a partire dal Vangelo e chiaramente lì c'è il tema della conversione, lì c’è la fonte della nostra vita di fede. Io credo che ogni mattina il Papa, quando fa la sua riflessione sul Vangelo, lo applichi concretamente alla vita: da lì passa la nostra vita cristiana, per fare questo discernimento di leggere la nostra vita alla luce del Vangelo. E’ chiaro che in questo ogni mattina il Papa è molto concreto perché non parla di temi, ma parla del Vangelo e lo porta nella realtà. In questo appare la sua radice “gesuita”: discernere la vita”. 

Un altro aspetto affrontato dal Papa è quello dell’amore al nemico di cui ha parlato come di una “saggezza tanto difficile, ma tanto bella perché ci fa assomigliare al Padre, al nostro Padre” che “fa uscire il sole per tutti, buoni e cattivi. E ci fa assomigliare al Figlio, a Gesù, che nel suo abbassamento si è fatto povero per arricchirci, a noi, con la sua povertà”. Ancora mons. Garcia: 
“Es el centro también de nuestra fe...
E’ anche il centro della nostra fede: Gesù che viene a riconciliarci con il Padre che ci riconcilia fra di noi. Credo che quello che il Papa stia facendo sia di tornarvi su, affinché non dimentichiamo le radici e il fondamento della nostra fede. Il Papa proclama l’amore universale di Gesù”. 

Un'altra parola-chiave di Papa Francesco sembra essere “magnanimità”, larghezza di cuore tanto che, sempre in un’omelia della Messa a Casa Santa Marta, ha detto che “il cristiano è una persona che allarga il suo cuore, con questa magnanimità, perché ha il ‘tutto’, che è Gesù Cristo. Le altre cose sono il ‘nulla’. Sono buone, servono, ma nel momento del confronto sceglie sempre il ‘tutto’, con quella mitezza, quella mitezza cristiana che è il segno dei discepoli di Gesù: mitezza e magnanimità”. Papa Francesco, dunque, usa parole dirette per discorsi profondi teologicamente e umanamente…
“El Papa usa palabras simples, que pueden entender todos…
Il Papa usa parole semplici, parole che possono essere comprese da tutti, che può comprendere l’uomo comune. Quando parla di magnanimità, parla di un cuore grande, di un cuore che sia capace di amare tutti, un cuore che sia capace di offrire, di soffrire e soprattutto di un cuore che sia capace di amare coloro che più hanno bisogno, i più poveri. E lui unisce due cose, perché quando parla di magnanimità, parla anche delle 'periferie', le 'periferie esistenziali': la vita che è ai margini a livello economico, sociale, in diversi aspetti... Parla di avere un cuore grande per amare queste realtà, per poterle portare nel cuore, per poterle aiutare: di un cuore grande come quello di Gesù Cristo. Credo che questo sia il messaggio del Papa e quello che fa abitualmente: avvicinarsi alle periferie, perché sono proprio quelle che ama più il Signore, sono i prediletti. Questo quello che mi ha raccontato: dopo un’udienza del mercoledì, dopo aver salutato molti infermi, qualcuno gli ha detto: 'Non le sembra che siano molti e bisognerebbe che ve ne fossero meno?'. E Lui ha risposto: 'Facciano venire tutti quelli che possono, che io li saluterò tutti, perché loro mi apriranno la porta del Cielo'”.

In un recente discorso a una delegazione del Comitato Ebraico Internazionale per le consultazioni interreligiose, il Papa ha detto: “Per le nostre radici comuni, un cristiano non può essere antisemita”, facendo tra l’altro riferimento alla Dichiarazione Nostra Aetatae del Concilio ecumenico Vaticano II. Papa Francesco quando era cardinale a Buenos Aires aveva relazioni di grande amicizia con esponenti del mondo ebraico come ci conferma mons. Garcia: 
“El ha tenido dos posiciones…
Ha avuto due posizioni. Credo non sia soltanto un atteggiamento formale, diciamo così, per compiere quello che dice il Concilio, ma ha sempre avuto verso membri del popolo ebraico anche un atteggiamento affettivo, di amicizia concreta, che va al di là di quello che ci invitano a vivere i documenti. E’ molto amico di un rabbino, con il quale ha condiviso un programma televisivo per molto tempo, ha fatto il prologo a un suo libro e anche il rabbino ha fatto il prologo a un libro dell’allora cardinale Bergoglio. Lui ha dunque un atteggiamento di buone relazioni, ma anche affettivo e di vicinanza con membri del popolo ebraico”.
Radio Vaticana 

*

Il “Credo” di Jorge Mario Bergoglio


La vita di Jorge Mario Bergoglio, prima e dopo la sua elezione a Sommo Pontefice, è sempre stata contraddistinta da una eclatante sobrietà, che ha messo subito in luce i dettagli di un servizio episcopale volto alla cura pastorale dei sacerdoti e dei fedeli a lui affidati. Se entriamo per un istante nell’abitazione dove Jorge Bergoglio ha vissuto prima di diventare Papa – così come raccontato nel libro “Papa Francesco”,Conversazione con Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti – possiamo rintracciare alcuni aspetti principali della sobrietà a cui prima facevamo riferimento.

L’Arcivescovo argentino – più volte è stato ricordato dalla stampa – aveva scelto di vivere in una casa adiacente alla Cattedrale di Buenos Aires; non aveva un segretario personale né un autista al suo seguito, poiché annotava gli impegni in una piccola agendina tascabile e preferiva viaggiare in autobus indossando la talare semplice del sacerdote. Utilizzava un ufficio molto piccolo e una modesta e ordinatissima scrivania, dove era possibile osservare alcune fotografie della sua attività pastorale. Anche la camera da letto si presentava estremamente austera: un letto di legno, un Crocifisso appartenuto ai suoi nonni, Rosa e Juan, e una piccola stufa elettrica. Di fronte alla camera da letto vi era poi un piedistallo con una immagine del Cristo seduto, il “Cristo della pazienza”, virtù molto cara a Bergoglio.

Nell’abitazione dell’Arcivescovo di Buenos Aires vi era anche una biblioteca, dove su uno degli scaffali era posato un vaso pieno di rose bianche davanti ad una immagine di santa Teresa di Gesù Bambino: “Quando ho un problema – spiegava a Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti – chiedo alla santa, non di risolverlo, ma di prenderlo in mano e aiutarmi ad accettarlo, e come segnale ricevo quasi sempre una rosa bianca”. Una devozione, quella di Bergoglio nei riguardi della giovane carmelitana di Lisieux, testimoniata anche da un altro episodio. Quando si recava, infatti, a Roma per gli impegni legati al suo ministero, era solito fermarsi nella piccola Chiesa di Santa Maria Annunziata in Borgo – un oratorio di Roma sito sul lungotevere Vaticano, a pochi passi dalla Basilica di S. Pietro – per pregare, con grande raccoglimento e devozione, davanti alla statua di S. Teresa, e poi andava via.

Tra le cose più care custodiva nel suo breviario (e certamente è così ancora oggi) una lettera della nonna (verso cui Bergoglio è sempre stato particolarmente legato) consegnatagli in occasione della sua ordinazione sacerdotale e dove vi è scritto: “In questo bellissimo giorno in cui puoi tenere tra le tue mani consacrate il Cristo Salvatore e ti si apre un lungo cammino per l’apostolato più profondo, ti faccio questo modesto regalo di scarso valore materiale, ma immenso valore spirituale”.

Ma c’è ancora un importante memoria che Jorge Mario Bergoglio conserva con particolare devozione e che rivela la sua grande spiritualità. Si tratta di una personale confessione di fede, scritta nel 1969, prima di essere ordinato sacerdote:

«Voglio credere in Dio Padre, che mi ama come un figlio, e in Gesù, il Signore, che ha infuso il suo spirito nella mia vita per farmi sorridere e portarmi così al regno di vita eterna. / Credo nella mia storia, che è stata trapassata dallo sguardo di amore di Dio e, nel giorno di primavera, 21 settembre, mi ha portato all’incontro per invitarmi a seguirlo. / Credo nel mio dolore, infecondo per l’egoismo, nel quale mi rifugio. / Credo nella meschinità della mia anima, che cerca di inghiottire senza dare… senza dare. / Credo che gli altri siano buoni, e che devo amarli senza timore, e senza tradirli mai per cercare una sicurezza per me. / Credo nella vita religiosa. / Credo di voler amare molto. / Credo nella morte quotidiana, bruciante, che fuggo, ma che mi sorride invitandomi ad accettarla. / Credo nella pazienza di Dio, accogliente, buona come una notte d’estate. / Credo che papà sia in cielo insieme al Signore. / Credo che anche padre Duarte [il sacerdote che lo confessò il 21 settembre, ndr]​​​​  stia lì intercedendo per il mio sacerdozio. / Credo in Maria, mia madre, che mi ama e mai mi lascerà solo. E aspetto la sorpresa di ogni giorno nel quale si manifesterà l’amore, la forza, il tradimento e il peccato, che mi accompagneranno fino all’incontro definitivo con quel volto meraviglioso che non so come sia, che fuggo continuamente, ma che voglio conoscere e amare. Amen».
M. Nasca