venerdì 21 giugno 2013

Il mondo fino a ieri



Fiorenzo Facchini racconta (Avvenire, 15 giugno) come l’antropologo americano Jared Diamond torni alla ribalta della saggistica mondiale con un nuovo volume (“Il mondo fino a ieri”, Einaudi), che tenta di spiegare l’origine delle religioni partendo da un approccio funzionalistico, cioè le religioni sono un prodotto dell’uomo che cerca di spiegare i molti misteri della natura e della vita umana ricorrendo al mondo invisibile degli spiriti e costruendo a poco a poco le religioni storiche che oggi conosciamo. Jared Diamond ha compiuto numerosi viaggi di studio e di ricerca in Papua Nuova Guinea. Nel 1972 un amico papuano, Yali, gli ha chiesto: "Come mai voi bianchi date a noi tutto questo cargo (le novità portate in Nuova Guinea: asce d'acciaio, fiammiferi, medicine, vestiti, aerei, ecc.) e noi neri ne abbiamo così poco?".
Da allora Diamond ha studiato come rispondere a questa domanda. Ne rende conto nella sua opera maggiore (Premio Pulitzer per la saggistica nel 1998) "Armi, acciaio e malattie - Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni" (Einaudi, 2002, pag. 366), nel quale ricostruisce la storia dell'umanità dalla preistoria all'inizio della colonizzazione europea nel 1500. In sintesi dice questo: per capire le diversità tra i popoli, non serve esaminare il periodo coloniale, perchè allora era già evidente il livello superiore di sviluppo dell'Occidente. Occorre invece andare indietro nel tempo, alle radici anche preistoriche dei diversi cammini dei popoli. Però non esiste una risposta semplice alla domanda dell'amico papuano Yali: il problema è complesso.

Per Diamond le cause sono essenzialmente geografiche e climatiche, mentre vanno decisamente scartate le cause razziali, la superiorità genetica di una razza umana sulle altre. Nell'evoluzione storica, i popoli euro-asiatici sono stati privilegiati rispetto ad altri, dalla presenza di "grandi spazi" che hanno favorito l'agricoltura e di animali di grossa taglia facilmente addomesticabili (i bovini e i cavalli, non presenti fuori dell'Eurasia). Tre i momenti di crescita dei gruppi umani, alcuni dei quali giunti prima degli altri al "mondo moderno". Il prima è il passaggio dal nomadismo e dalla caccia-pesca all'agricoltura stanziale. Il secondo è la domesticazione di piante e animali, che liberò alcuni popoli dai lavori più pesanti e permise di vivere non più solo per la sussistenza, ma di impegnarsi in attività utili alla comunità. Infine l'invenzione della scrittura e delle tecnologie che hanno permesso il più rapido cammino di alcuni popoli rispetto agli altri. La colonizzazione europea è dovuta ad alcuni fattori ricordati nel titolo del libro: armi (più efficaci), acciaio (utensili per aumentare la produttività di beni), malattie (infettive che hanno sterminato i nativi nelle Americhe).

Diamond si rende conto che queste spiegazioni non chiariscono ad esempio perché, a parità di condizioni geografiche e climatiche, gli europei hanno reagito meglio degli asiatici (infatti i primi hanno colonizzato i secondi e non viceversa); ammette che "le cause remote della disparità restano incerte... (questo) è un vero e proprio vuoto intellettuale, perchè significa che non siamo in grado di comprendere il corso più generale della storia... Le differenze sono sotto gli occhi di tutti; ci viene spiegato che la giustificazione di queste differenze basate sulla razza - che sembra così semplice - è sbagliata, ma non ci viene fornita un'alternativa credibile" (pagg. 12-13). Diamond esclude dalla sua ricerca gli aspetti culturali-filosofico-religiosi. Gli studiosi delle civiltà umane (Toynbee, Max Weber, Dawson, Thomas E. Woods, Rodney Stark, ecc.) scrivono che la radice dei diversi cammini storici dei popoli sta nelle culture e religioni dei popoli: cioè nelle motivazioni intellettuali, filosofiche, religiose al progresso di un popolo. L'uomo non è fatto solo di materia, ma anche di intelletto, di anima e, come scriveva Jacques Maritain, "la cultura di un popolo deriva primariamente dall'immagine che quel popolo si fa di Dio" ("Religion et culture", Paris 1946): dai rapporti che un popolo stabilisce con il Creatore derivano i rapporti con gli altri uomini, con la natura, con la storia, il senso della vita di ogni uomo e di un popolo.

D'altra parte, un credente può chiedersi: ma allora, se il cammino dei popoli è condizionato solo da fattori geografico-climatici, che senso hanno la Parola di Dio e l'Incarnazione del Figlio di Dio? Solo per "la salvezza delle anime" oppure anche per migliorare la vita dell'uomo (fatto "ad immagine di Dio"), per creare almeno un inizio del "Regno di Dio" su questa terra? Ecco il tema che le facoltà teologiche e le università cattoliche, gli scrittori e la stampa cattolica e missionaria dovrebbero studiare e volgarizzare nel nostro tempo globalizzato, quando il mondo si restringe e diventa "un solo villaggio". Per Diamond, il cammino storico dei popoli è sostanzialmente legato a cause fisiche e al caso: ma può un credente in Dio Creatore e Salvatore, pensare che la storia dell'umanità sia lasciata al caso? Non può e questo a priori.

Ma a posteriori, il dato di fatto innegabile che l’Europa cristiana sia arrivata prima di tutti gli altri popoli e civiltà al “mondo moderno” (nel bene e nel male perché l’uomo è libero) va spiegato, partendo appunto dalla Parola di Dio e in particolare dall’”uomo nuovo” che è Gesù Cristo. Nella “Caritas in Veritate” Benedetto XVI riprende l’insegnamento di Paolo VI nella “Populorum Progressio” per illuminare il tema dello sviluppo e afferma: “L’annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini” (n. 8). Giovanni Paolo II scrive nella “Redemptoris Missio” (n. 59): “Lo sviluppo dell’uomo viene da Dio, dal modello di Gesù uomo-Dio, e deve portare a Dio. Ecco perché tra annunzio evangelico e promozione dell’uomo c’è una stretta connessione”. Perché il tema “Vangelo e sviluppo dell’uomo” è così poco illustrato dalla ricerca storica e dalla pubblicistica cristiana e missionaria?
P. Gheddo