sabato 8 marzo 2014

Il metodo missionario di Pietro Fabro nella Germania protestante




Il metodo missionario di Pietro Fabro nella Germania protestante. Otto regole per ritrovare l’unità

Alla Gregoriana. Giovedì 6 marzo il preside dell’Istituto di spiritualità della Gregoriana ha inaugurato un ciclo di conferenze intitolato «“Il nostro modo di procedere...” Il discernimento nella missione secondo sant’Ignazio». Pubblichiamo l’ultima parte di questo che è il primo di sei incontri previsti fino al 10 aprile.
(Anton Witwer) Per ordine dell’imperatore, Fabro dovette andare in Germania per assistere ai colloqui di Worms, dove arrivò il 25 ottobre 1540 — e solo là venne a sapere che la Compagnia di Gesù era stata approvata. Da Worms passò, per Speyer, alla Dieta imperiale a Regensburg e partì il 27 luglio 1541 per la Spagna.

Solo un mezz’anno più tardi, su ordine del Sommo Pontefice, partì di nuovo per la Germania, dove rimase — eccetto un soggiorno di quattro mesi a Lovanio — fino al 12 luglio 1544. Non sapendo il tedesco, egli comunicava con la gente in latino o spagnolo; perciò i suoi contatti in Germania erano piuttosto ristretti alle persone istruite. Ciò nonostante avvertì dappertutto gli effetti della Riforma e, preoccupato per la gente della Germania, si sentì spinto a discernere come meglio aiutarla.
«Allora avvertii e soppesai molto il tormento che mi fa soffrire di continuo, da quando conobbi la Germania: il timore della defezione totale di questa nazione. Dio non voglia che si avveri tale pensiero, che si è affacciato tante volte nel mio spirito, non certo per opera dello spirito buono ma piuttosto di questo spirito di sfiducia che mi ha finora tormentato in tanti modi, spingendomi a disperare per davvero di far frutto, prima alienandomi l’animo in tutto ciò, e poi facendomi desiderare di abbandonare quella terra del Reno, che mi era stata data in sorte. Volesse il cielo che la tiepidezza, freddezza, malizia e le defezioni vere o immaginarie degli uomini cattivi, cessassero di sopraffarmi lo spirito, già di per se stesso così povero, tiepido, freddo ed incapace, e avesse termine questa mia instabilità che tante volte mi ha fatto vedere le cose andare di bene in meglio più della realtà, e che ora mi faceva vedere tutto perduto e tutto nero».
Pietro Fabro si lascia profondamente toccare dalla realtà che vive e, considerando i suoi limiti e difetti, la percepisce come una sfida che egli, tuttavia, vuole raccogliere. Si sente invitato da Dio alla risposta, e per questo motivo chiede anche insistentemente il suo aiuto, pregando per se stesso e per la gente che gli è «stata data in sorte». Proprio perché sente la fede un puro dono di Dio, egli non giudica gli eretici, ma piuttosto ha compassione di loro e vede il «molto bene che Dio ha seminato dentro agli uomini».
«Perciò mi avvenne di passare sopra a molte delle cose virtuose e al molto bene che Dio ha seminato dentro agli uomini. Tali beni poi, se guardati con occhio semplice, voglio dire prescindendo dalla presenza delle malignità altrui, farebbero trovare una più grande pace; ed essi stessi, così individuati, potrebbero essere suscettibili di aumento e fare produrre in tale modo un maggiore frutto».
È appunto il suo amore per la Germania che continuamente lo fa riflettere sulla situazione vissuta e discernere sia i motivi della perdita progressiva della fede che le possibilità di conforto spirituale. Mi limito a due testi per sottolineare questo aspetto.
«Durante la messa mi nacque un altro desiderio, che cioè tutto il bene che potrò compiere, l’abbia a fare con la mediazione dello Spirito buono e santo. E mi venne l’idea che a Dio non piaccia la maniera con cui gli eretici vogliono fare certe riforme nella Chiesa. Sebbene infatti dicano delle cose vere, ciò che capita anche ai demoni, non lo fanno con quello spirito di verità che è lo Spirito Santo».
E ancora: «Notai allora e presi a sentire come dei cristiani si allontanavano dalla Chiesa. Prima cominciano a divenire tiepidi nelle opere e nelle pratiche che rispondono alle grazie e ai doni diversi fatti da Dio. Di qui sono portati a disprezzare e a considerare nulla ciò che non riconoscono prodotto del proprio giudizio. Cominciano allora a domandarsi perché credono, sperano e si danno a dubitare di tutto. Lasciano così sfuggire i doni effusi dallo Spirito e perdono la fede autentica, che si fonda sulla fede cattolica e la comunione dei santi. Quando poi hanno tutto dissipato vogliono da se stessi stabilire e ricercare una fede che riposi sul giudizio proprio: vanno a caccia di ragioni e le setacciano ciascuno per conto suo, indagano anche le Scritture e le loro interpretazioni e decidono del senso da adottare. Così, di tutto questo formano la loro fede, o meglio le loro opinioni e i loro errori».
Pietro Fabro percepisce «gli eretici di questo tempo come dottori della separazione e della rinuncia» — come minaccia dell’unità — e perciò chiede da Dio «uomini che sentono in modo contrario e insegnano con i fatti e le parole la vera unione»: «presi fiducia di potere ricavare frutto in questo tempo, in cui le eresie luterane hanno messo a soqquadro quasi tutta la Germania. Queste si riducono all’abbandono della Chiesa cattolica, allo scopo di dare a chi ha lasciato la guida della propria Madre il diritto di fare, credere, dire impunemente tutto ciò che vuole. Perciò è ben vero che gli eretici di questo tempo sono dottori della separazione e della rinuncia. Ci voglia Dio concedere uomini che sentono in modo contrario, che cioè con i fatti e le parole insegnino la vera unione, l’accettazione degli indirizzi ricevuti e il progresso in tutte le virtù cristiane».
A causa della sua conoscenza della situazione in Germania, a Pietro Fabro fu richiesto dai suoi compagni di offrire alcune regole di comportamento per chi desidera salvare le anime degli eretici. Il risultato di tale richiesta è la sua lettera del 7 marzo 1546, scritta a Madrid, in cui elenca otto regole: la prima è dimostrare grande amore verso gli eretici, amandoli veramente e liberandosi da tutto ciò che potrebbe diminuire la stima di essi.
Come seconda regola Fabro invita a cercare di guadagnarsi il loro favore affinché possano amarci. Per questo motivo sono da evitare controversie che umiliano l’altro, anzi ci si deve intrattenere con loro sui temi che si hanno in comune.
Terzo: poiché i luterani di solito perdono prima il giusto atteggiamento interiore e solo dopo la retta fede, si deve partire da ciò che contribuisce all’atteggiamento di cuore e poi offrire aiuti per la vera fede.
Quarto: se si tratta di una persona che non solo si appoggia a una dottrina sbagliata ma conduce anche una vita cattiva, si deve distoglierla prima dai suoi vizi e solo dopo parlare degli errori di fede.
Quinto: nel caso degli errori circa le opere, molto frequenti tra i protestanti, si deve progredire dalle opere alla fede, parlando delle cose che possono condurli a stimare le opere, cioè per esempio muoverli alla preghiera e ad andare a messa.
Sesto: è importante accorgersi delle cause degli errori, perché spesso essi sono deboli nell’obbedire e, quindi, è importante incoraggiarli affinché possano nutrire la speranza che con la grazia di Dio saranno in grado di fare ciò che è richiesto.
Settimo: chi sapesse parlare con loro solamente del retto modo di vivere, delle virtù, della preghiera e di cose simili che possono condurre anche pagani a una vita migliore, aiuterebbe gli eretici più di colui che adduce molte prove per confutarli.
Nell’ottavo punto, Fabro conclude riassumendo: «Questa gente ha bisogno di ammonimenti, esortazioni e così via riguardo ai costumi, il timore e l’amore di Dio e l’amore delle buone opere, come rimedio contro le loro debolezze, la mancanza di devozione, distrazioni, la loro pesantezza e gli altri mali, che non si trovano né principalmente né in primo luogo nell’intelletto ma nei piedi e nelle mani dell’anima e del corpo».
Pietro Fabro non termina la lettera senza pregare per questa gente: «Gesù Cristo, il Redentore di tutti, li riempia del suo Spirito Santo, perché sa bene che la sua parola scritta non basta». Cioè il principio sola scriptura non è sufficiente, se manca il senso interiore spirituale per la vera vita cristiana.
L'Osservatore Romano

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  1. Il nostro modo di procedere... - Pontificia Università Gregoriana

    www.unigre.it/Univ/.../140306_CSI_ciclo_conferenze_pubbliche_it.pdf
    avuto nel corso dei secoli, in ambiti territoriali diversi. “Il nostro modo di procedere”, formula molto usata da Sant'Ignazio, significa discernere nella missione.