mercoledì 5 marzo 2014

Nazionale arcobaleno



Omosessualismo di Stato: anche la Nazionale di calcio diventa arcobaleno


(fonte: www.campariedemaistre.com di Marco Mancini) Se per caso vi capiterà di vedere i calciatori della Nazionale indossare in blocco lacci color arcobaleno, non preoccupatevi: semplicemente, la FIGC ha aderito alla campagna anti-omofobialanciata dal sito internazionale di scommesse Paddy Power (sic!). Già alcuni calciatori, come Dessena del Cagliari e Moscardelli del Bologna, avevano manifestato a titolo individuale il loro sostegno verso la causa omosessualista; ora sono le massime istituzioni pallonare a scendere in campo per consacrare l’iniziativa.
Sembrerebbe un fatterello da niente, invece è un importante segno dei tempi che corrono. Fa il paio con una notizia proveniente dagli States, dove la Lockheed Martin, gigante dell’industria degli armamenti, ha annunciato il taglio delle proprie donazioni ai boy scout statunitensi, data la loro policy contraria alla presenza di omosessuali dichiarati tra i capi. La capacità di penetrazione dell’ideologia omosessualista, o per meglio dire l’influenza della lobby gay, è dunque tale da coinvolgere persino il potentissimo complesso militare-industriale a stelle e strisce e il suo equivalente italiano, ossia l’industria del pallone (e delle scommesse).
In Italia la c.d. “legge anti-omofobia” sta suscitando una durissima battaglia politica e culturale, da parte di chi comprende il suo carattere ideologico e intravede il suo vero obiettivo, cioè la piena legittimazione dell’ideologia del gender. Questo è sempre stato il significato della bandiera arcobaleno, che Abete e i suoi compari vogliono ora far indossare in massa ai giocatori della Nazionale. E’ inaudito e gravissimo che istituzioni sportive che dovrebbero mantenersi assolutamente neutre rispetto allo scontro politico, e addirittura simboli dell’intero Paese come la Nazionale di calcio, scendano in campo sostenendo una discutibile visione ideologica, condivisa peraltro da una minoranza dei cittadini italiani.
Ci troviamo oramai al cospetto di una vera e propria dittatura del politicamente corretto, che prelude a esiti totalitari, a vere e proprie forme di culto pubblico della menzogna. Come ha scritto Maurizio Blondet, nei confronti di tali superdogmi del tempo presente rimane solo la libertà “di parlarne bene, di mostrare di crederci, di compiere gli atti rituali che manifestino la fede in pubblico”. E’ il nuovo Depositum fidei, bellezza, e in questo caso non ci saranno Concili Vaticani II a prescrivere la “medicina della misericordia”, ma solo roghi (oggi mediatici, domani chissà) per gli eretici impenitenti.
Non è la prima volta che capita: è già successo con i totalitarismi del XX secolo, ma anche con l’ideologia della Rivoluzione francese, in particolare nei suoi caratteri antireligiosi, che si erano fatti strada già nel corso del Settecento. Scrive Tocqueville nell’Antico Regime e la Rivoluzione, con parole che suonano attualissime: “Quelli che negavano il cristianesimo alzavano la voce e quelli che vi credevano ancora tacevano; accadde quanto abbiamo visto accadere spesso da allora, e non soltanto in fatto di religione, ma in ogni altra materia. Gli uomini che serbavano l’antica fede temettero di essere soli e, temendo più l’isolamento che l’errore, si unirono alla folla pur senza pensare come essa. Per tal modo quello che non era ancora se non il sentimento di una parte della nazione parve l’opinione di tutti; da allora apparve irresistibile anche agli occhi di coloro che le davano falsa apparenza”. Sembra di vederli, i Buffon, i De Rossi, i Chiellini, pronti a indossare i lacci arcobaleno, ad adeguarsi in silenzio alla banalità del Male per il timore di apparire fuori moda, per la paura di non uniformarsi al conformismo imperante e di essere così esposti alla pubblica disapprovazione, all’isolamento, o peggio.
Si avverte la tragica mancanza di un’elite politica, culturale, anche religiosa, in grado di parlare fuori dal coro, di aggregare attorno a sé la maggioranza che tace, posta sotto lo schiaffo del ricatto morale, e dare ragione della propria visione del mondo. Possibile che nessun ministro, parlamentare, Vescovo, abbia da obiettare nulla rispetto a una notizia del genere? Siamo arrivati già a un tale livello di intimidazione intellettuale? Di tutte queste mancanze, delle omissioni di quella che dovrebbe essere la classe dirigente, la storia presenterà il conto.
C’è poi la questione meno drammatica, ma non per questo meno seria, relativa al mondo del calcio in sé considerato. I signori della Federazione aderiscono alla campagna omosessualista in nome della “sensibilità e [del]l’impegno civile” che da sempre contraddistinguerebbero la gestione del calcio italiano. Non si sa se ridere o piangere. Sono proprio loro a dirlo: i burocrati del pallone, i parassiti che hanno trasformato il gioco più bello del mondo in puro business, spesso corrotto, che hanno cancellato la passione, la goliardia, i colori e lo spettacolo del tifo. Loro che, insieme alla politica, hanno trasformato i tifosi in cavie su cui sperimentare sospensioni di diritti, anche costituzionalmente garantiti; che insieme agli Amato e ai Maroni – la Lega Nord, insieme a certi partiti sedicenti “liberali”, non si vergognerà mai abbastanza per una tale porcata –hanno imposto ai supporter la Tessera del Tifoso e continuano a accanirsi su di loro con infiniti altri intralci, con un sadismo da pervertiti, da personalità mentalmente disturbate. Da questi abissi di stupidità è venuta ultimamente pure la trovata di punire la c.d. “discriminazione territoriale”: gli sfottò tra tifoserie, nell’Italia dei mille campanili, sono divenuti ora materia criminale, da sanzionare con la chiusura di interi settori degli stadi. Presto questi stessi idioti ci imporranno di censurare la Commedia dantesca, laddove si apostrofa Pisa come “vituperio delle genti”, o di sanzionare penalmente detti e usanze del folklore italiano. Così sono stati ridotti il calcio e il costume del Belpaese da questa nomenklatura di amebe, senza intelligenza e senza fantasia. C’è forse da stupirsi che, in nome dei “valori sociali che lo sport deve rappresentare”, ora sventolino orgogliosi la bandiera arcobaleno? (fonte: www.campariedemaistre.com di Marco Mancini)

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Ennesima provocazione di Luxuria dal Santuario di Montevergine



Luxuria dal Santuario di Montevergine


(di Luigi Bertoldi) Vladimir Luxuria ha scoperto la propria strada: diventare pasdaran Lgbt, dedicarsi alla guerriglia politica ed indossare i panni del provocatore (o provocatrice, che dir si voglia). In Italia e all’estero. Cercando la trasgressione, sfidando l’altrui sopportazione e sognando lo scontro, per poter strillare all’aggressione omofobica ed al “martirio” gay.
Una parte che le riesce male, pur impegnandosi a fondo: troppo pretestuose le sue rivendicazioni, per darle davvero retta. Prima dice d’esser stata folgorata dal buddismo, ma poche settimane dopo si converte sulla via di Bagnasco: il fatto che il Cardinale Presidente della Cei, ai funerali di don Gallo, alla Comunione le abbia posto nelle mani la Sacra Eucaristia a favore di fotografo, l’ha fatta improvvisamente «riconciliare» col Cattolicesimo, complice «Papa Francesco», che starebbe «aprendo ai gay» secondo quanto da lei dichiarato alla stampa, mostrando una volubilità spirituale da primatista olimpico.
E, proprio a proposito di olimpiadi, eccola proiettata in una missione internazionale a Sochi, sventolando la bandiera arcobaleno con tanto di scritta in russo «Gay è ok», per esser certa di suscitare la reazione nel Paese di Putin, per niente conciliante con l’ideologia omossessista. Reazione, giunta puntuale, perché certo la Russia non è l’Italia. Il fermo attuato dalla Polizia locale, fa scattare come una molla la protesta Lgbt con l’immancabile Vendola, il Sel e la sinistra varia. Poi le autorità russe han probabilmente capito che non ne valeva la pena ed han ritenuto meglio rilasciarla.
Non paga, l’irriducibile kamikaze trans ha deciso di puntare ancora più in alto e per la Candelora si è recata al Santuario di Montevergine con altri 3.500 tra omosessuali e gender vari, dettisi devoti all’icona bizantina della Madonna, chiamata “Mamma Schiavona” e proclamata loro protettrice. Ispirata forse dalla santità del luogo, Luxuria ha pensato bene di scrivere al Papa a nome di tutto il popolo Lgbt, per contrastare la discriminazione nella Chiesa, poiché «la fede dovrebbe essere garantita a tutti», trasformandola da dono di Dio in “diritto” infuso.
A parte l’evidente contrasto tra la doxa e la prassi in Luxuria & C. ‒ a sentirli, fedeli piissimi; nei fatti, trasgressori del Catechismo ‒, colpiscono ancora una volta le motivazioni addotte per l’incredibile “petizione”. Motivazioni, che “pescano” direttamente dalle parole del Pontefice, «dichiarazioni, che ci sembra segnino un cambiamento» addirittura «storico nel linguaggio utilizzato nei nostri confronti», «segnali di una Chiesa, che vuole aprirsi e accogliere», scrive, non senza un inevitabile ed accomodante riduzionismo dei concetti espressi da Papa Francesco, ma insomma la sostanza resta.

Così Luxuria auspica addirittura «al più presto» di poter avere con tutta la sua truppa «il piacere di un incontro e di un dialogo con Sua Santità». Conclusione in crescendo rossiniano con struggente invocazione al Santo Padre: «Fiduciose di una risposta, affidiamo le nostre preghiere alla Madonna Schiavona, “la mamma di tutti e tutte”». A margine dell’intera, sconcertata vicenda, restano alcune domande serie. La prima: fino a quando si possa tollerare che la fede, quella vera, venga pubblicamente umiliata e derisa, dando spazio e voce agli artefici di umorali conversioni blitz da rotocalco ed estemporanee esternazioni da talk show. La seconda riflessione: reso evidente quanto prevedibile – ovvero il rischio che talune sortite possano venire strumentalizzate – non sarebbe ora per la Chiesa di cambiar registro e parlare non per slogan à la page, ma secondo un evangelico «sì, sì; no, no»? Anche perché «il di più viene dal maligno» (Mt. 5, 37) (Luigi Bertoldi)