domenica 16 marzo 2014

Salvatore Martinez: Come si può parlare di dolore che salva?

Come si può parlare di dolore che salva?

Risponde il presidente del Rinnovamento nello Spirito




Come si può parlare di dolore salvifico? Non è una contraddizione in termini? La sofferenza non è forse intralcio alla felicità e motivo di allontanamento da Dio? Senza dubbio esistono tribolazioni che, dal punto di vista umano, sembrano prive di qualunque significato. Perché Gesù, Verbo incarnato, ha proclamato «beati gli afflitti» (Mt 5,4), cioè “felici” coloro che ora soffrono? Esiste un punto di vista più alto, quello di Dio, che tutti chiama alla vita e non alla morte, una prospettiva che ci è chiesto di assumere.
Per essere veramente soci di Cristo occorre prendere su di noi le paure che sono nel mondo (paura di Dio, paura di se stessi, paura degli altri, paura delle differenze, paura dell’avvenire, paura di soffrire, paura di morire), perché siano terapizzate dall’irruzione della speranza che l’amicizia del Cristo risorto, il suo essere nostro Socio ci procura. Come può fiorire il sorriso o la letizia dal dolore o dal travaglio di una carne martoriata?
Lasciamoci prendere per mano da Cristo: fin quando staremo sulla terra, la sua mano sarà “il braccio della croce”. Sì, il braccio della croce, perché la presenza di Gesù non è assenza di male, ma capacità di vincere il male. Chi tende la sua mano verso il braccio crocifisso di Gesù, e la tiene stretta a lui senza dubitare, sa che ogni croce dal Signore sarà resa gloriosa e con Gesù ritroverà la gioia. Perché breve è il dolore, eterna è la gioia. E la gioia aumenta la nostra e l’altrui comprensione del dolore.
Scrisse, un giorno, l’americano Mark Twain: «Il dolore può bastare a se stesso, ma per apprezzare a fondo una gioia bisogna avere qualcuno con cui condividerla» (in Seguendo l’Equatore). Prima di andare incontro alla sua passione, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete… ma la vostra afflizione si trasformerà in gioia… nessuno vi potrà togliere la vostra gioia» (Gv 16,20.23a).
La gioia di Dio non si esaurisce, anche se saccheggiata dal male e dal maligno, anche quando è mista al pianto di chi piange i propri fallimenti. Perché la gioia di Dio è Dio! E nessuno potrà mai toglierci Dio dal cuore; nessuno potrà mai sottrarci la sua presenza, così che si esaurisca. Gesù, nella sua ultima preghiera prima di lasciare il Cenacolo e dirigersi verso il Getsemani, guardando al mondo e all’odio che il mondo riserva a Cristo e ai suoi discepoli, consegnò i suoi al Padre con queste parole: «Abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia» (Gv 17, 13). La gioia vera è lotta: dobbiamo imparare a conquistarla e ancor più a non smarrirla. Cristo ha sconfitto la morte per regalarci la gioia; noi dobbiamo fidarci di Cristo e, ogni giorno, chiedere a lui il segreto della vittoria.

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Uno sguardo alla grazia

Il Presidente del RnS, a conclusione del Progetto "10 Piazze per 10 Comandamenti", offre un primo bilancio con preziose chiavi di lettura


Tredici mesi lungo i quali abbiamo voluto rileggere la nostra vita umana e la vita del mondo in cui viviamo alla luce dei Dieci Comandamenti. Attraversando tutta l’Italia e coinvolgendo le undici principali città del nostro Paese abbiamo voluto dare voce al bisogno di senso, di vita buona, di speranza costruttrice, di cittadinanza attiva che sono nel cuore di ogni uomo, di chi crede e di chi non crede.
È stato un “evento di eventi”, di popolo, di alto spessore ideale, morale, spirituale, che mai era stato realizzato in precedenza. Una corale e inattesa partecipazione istituzionale, in cui Chiesa, Stato e Società civile hanno dialogato insieme, pubblicamente: arcivescovi e sindaci, giornalisti e filosofi, economisti e giuristi, attori e letterati, poeti e musicisti, sociologi e psicologi, scienziati e imprenditori, sportivi e opinion leader, in una cornice di pubblico davvero straordinaria, sono stati protagonisti di una singolare e creativa attualizzazione del Decalogo.
Due Videomessaggi pontifici realizzati ad hoc, a sostegno del Progetto, prima da Benedetto XVI e poi da Francesco, ci hanno ulteriormente convinto che in questa grande intrapresa non eravamo soli! Una grande carovana animata da generosi e preziosi volontari, collaboratori, tecnici e professionisti, ha sostato nelle Piazze simbolo della nostra identità culturale e della plurisecolare storia del nostro Paese. A ogni città era legato un comandamento; e per ogni comandamento sono state evidenziate le sue molteplici prospettive, oltre il puro significato letterale del testo.
A Firenze, ultima tappa, è stato presentato un Manifesto finale offerto all'attenzione dell’intero Paese. In undici appelli, legati a undici diverse categorie sociali, sono state esplicitate le istanze più profonde che animano la nostra gente. Accogliendo questi Appelli connessi al Manifesto e sottoscrivendo il proprio personale impegno, ciascuno potrà contribuire, fattivamente, alla costruzione del bene comune e al rinnovamento della società. Noi riteniamo, infatti, che sia ancora possibile dare credito alla laicità cristiana, specie nel tempo della crisi, per rifecondare le buone prassi che hanno fatto grande la nostra civiltà, ritrovando un codice etico e una piattaforma ideale, valoriale e spirituale comune a tutti, credenti e non credenti. Noi riteniamo che i Dieci Comandamenti siano, ancora oggi, i migliori districatori di senso nei labirinti confusi e contraddittori della nostra modernità, un tempo in cui il progressivo esilio di Dio e delle sue leggi dalla storia stanno rendendo la nostra umanità sempre più fragile.