venerdì 12 settembre 2014

La difesa dei cristiani nel «big game» mediorientale




Nelle convulsioni che dilaniano il Medio Oriente anche la difesa e la tutela dei cristiani è diventata argomento e di contesa geo-politica. Una partira piena di incognite e di insidie

GIANNI VALENTECITTÀ DEL VATICANO

Nelle stesse ore in cui il Comandante in capo Barack Obama annunciava agli Usa e al mondo l'imminente avvio di una campagna militare “lunga e complessa” contro i jihadisti del Califfato islamico in Iraq e Siria, cinque Patriarchi di alcune delle Chiese d'Oriente da sempre radicate nell'area e nella storia mediorientale si trovavano anche loro Washington, non lontano dalla Casa Bianca, come ospiti d'onore al summit inaugurale convocato dall’associazione In Defense of Christians. Una tre-giorni di incontri, cene di gala e dichiarazioni mirati a sollecitare interventi dei governi occidentali e delle istituzioni internazionali in difesa dei cristiani minacciati e colpiti dalle convulsioni islamiste dell'area mediorientale.

L'effetto coreografico, casuale o ricercato, sembra ben riuscito: mentre anche i capi cristiani d'Oriente vengono a dare il loro contributo a quello che il Washington Post descrive come «pressing lobbistico sul Campidoglio» in difesa delle comunità di battezzati aggrediti da «militanti islamici» in Medio Oriente, il leader della più potente nazione occidentale, alla vigilia dell'11 settembre, mette a disposizione nuovi raid e truppe scelte per annientare bande di tagliagole che maneggiano armi made in Usa, fanno raccolta fondi nei Paesi del Golfo “amici” degli Stati Uniti e ingaggiano adepti nel cuore dell'Europa, trovando manovalanza tra le file di quei nazionalisti kossovari che negli anni Novanta giocavano di sponda con i bombardamenti anti-serbi della Nato.

La presenza dei Patriarchi cristiani d'Oriente al summit nord-atlantico sembra in apparenza assecondare e confermare un fenomeno sempre più evidente: nei conflitti e nelle violenze settarie che dilaniano il Medio Oriente, anche la difesa e la tutela dei cristiani è diventata argomento e di contesa geo-politica. E diversi agenti geo-politici provano a giocare su questo terreno la loro partita.

La sigla che ha organizzato l’incontro di Washington, In Defense of Christians, rappresenta uno dei prodotti più recenti elaborati da ambienti politici e culturali statunitensi per manifestare e rivendicare la propria fattiva solidarietà con i cristiani mediorientali. È nata da meno di due anni come rete di pressione che unisce politici, diplomatici, attivisti e membri influenti delle comunità cristiane orientali in diaspora sparse negli Usa con l’intento dichiarato di «influenzare il governo Usa e i governi di altri Paesi a adottare politiche che salvaguardino e rafforzino» le comunità minoranze cristiane in Medio Oriente. L’obiettivo mirato dell’organizzazione è quello di «influenzare i Policymakers» e soprattutto i responsabili della politica estera Usa, modificando anche le situazioni in cui «il governo degli Stati Uniti fornisce aiuto a regimi che perseguitano i cristiani, come è accaduto con il Pakistan e l’Egitto». Ma a innalzare la bandiera della difesa dei cristiani non sono solo i circoli nordatlantici. La Russia di Putin, in sinergia con il Patriarcato di Mosca, continua a rivendicare con forza il suo ruolo di potenza «protettrice dei cristiani» affermata anche in margine al conflitto siriano, quando Usa, Francia e Regno Unito appoggiavano i ribelli anti-Assad infiltrati già allora dai gruppi jihadisti. L’anno scorso, nell’anniversario degli attentati dell’11 settembre, era stato il Patriarca  di Mosca Kirill a inviare a Barack Obama una lettera in cui chiedeva al Presidente Usa di dare ascolto alle voci dei capi religiosi che «in maniera unanime» si opponevano in quei giorni alle ipotesi di un intervento militare occidentale contro Assad. In quel messaggio, il Patriarca evocava «la minaccia di sterminio o di esilio di massa» che pesa sui cristiani in Medio Oriente. Qualche giorno fa, a Nazareth è stata aperta una sezione della Società imperiale ortodossa russo-palestinese, creata ai tempi della Russia zarista come strumento dell’attivismo russo-ortodosso in Terra Santa e riportata in auge da Putin dopo gli anni di oblio vissuti in epoca sovietica. «La Terra Santa» ha dichiarato nell’incontro inaugurale il Presidente della Società Sergey Stepashin «è sempre stata importante per l’ortodossia russa. Noi desideriamo recuperare il più possibile le nostre proprietà, in particolare le nostre attività scolastiche. Se prima aiutiamo gli ortodossi, ora vogliamo aiutare tutti i cristiani in Terra Santa e nel Medio Oriente e l’intera popolazione».

Anche in Israele, le campagne sostenute dal parlamentare israeliano Yariv Levin hanno proposto misure legislative che introducano discriminazioni “positive” per i cristiani palestinesi, favorendoli rispetto ai palestinesi musulmani. Mentre il sacerdote greco-ortodosso Gabriel Naddaf e alcuni politici israeliani sostengono l’iniziativa di estendere ai cittadini arabi cristiani l'obbligo di prestare servizio nell'esercito d'Israele, come strumento di comune resistenza e difesa di cristiani e ebrei dal fondamentalismo islamista. Intanto, in linea con il “neo-ottomanesimo” che ispira l'attuale leadership di Ankara, anche la Turchia prova a riproporsi come “homeland” per i tanti cristiani siriaci (caldei, siri, assiri) ora residenti in Siria e in Europa, i cui avi vivevano in territorio turco. Lo stesso Erdogan, da Primo Ministro, ha invitato i cristiani siriaci emigrati a far ritorno in Turchia. Mentre in Giordania Re Abdallah II ha riproposto in varie iniziative concrete il suo ruolo di Monarca islamico impegnato a sostenere un piano globale per tutelare la permanenza delle comunità cristiane autoctone in Medio Oriente.

Davanti a tante proposte di agenti geo-politici pronti a abbracciare la causa della difesa dei cristiani, il tradizionale realismo della Santa Sede continua a valorizzare le buone intenzioni di tutti, smarcandosi nell contempo da ogni tentativo di strumentalizzazione. L’ultima performance di tale approccio realista l’ha fornita il cardinale Leonardo Sandri, intervenendo proprio all’incontro di Washington. Per capire cosa provoca le convulsioni che spargono morte e disperazione in Medio Oriente – ha suggerito il Prefetto della Congregazione per le Chiese orientali – più che agli slogan consunti sullo «scontro di civiltà» conviene guardare agli «ingenti interessi economici in gioco”: “commercio di armi, controllo dei pozzi di petrolio e dei giacimenti di gas». Forse è quella anche l’unica vera strada per «fermare» davvero l’aggressore.
G. Valente