giovedì 11 settembre 2014

Vero e falso pluralismo secondo Paolo VI



di Fabrizio Cannone
Il 28 agosto del 1974 Papa Paolo VI, durante l’Udienza Generale del mercoledì, tenne un discorso sintetico e importante in cui distingueva ottimamente il vero pluralismo della dottrina cattolica ed il falso pluralismo, penetrato abbondantemente nel corpo ecclesiale, dopo il Vaticano II.
Si era nel periodo del post Concilio, chiuso quasi 10 anni prima (8.12.1965), in cui lo sperimentalismo liturgico, il relativismo dogmatico e il dogmatismo pastorale imperversavano e la facevano da padroni, imponendo come un rullo compressore le teorie più eccentriche ed in voga, come fossero frutti maturi dello Spirito Santo. Ma che lo Spirito di Verità non c’entrasse proprio nulla lo si capì ben presto, almeno a partire dal 1968 quando Papa Montini promulgò la chiarissima enciclica Humanae vitae (contro gli anti-concezionali artificiali e in favore dei metodi naturali) e numerosissimi teologi del progressismo e della mondanità, unitamente a vari pastori e laici impegnati, preferirono seguire la propria coscienza piuttosto che il Magistero della Chiesa.
Cristo però ha dato il potere di sciogliere e de legare, di interpretare la Scrittura e la Tradizione, di fissare dogmi e di insegnare la verità (anche sul piano filosofico e morale), di stabilire regole giuridicamente vincolanti e di canonizzare i santi, alla sola Chiesa gerarchica e non alle private (e fallibili) coscienze dei credenti (cf. Dei Verbum, 10-12; CCC, 2036; CJC, 747-750 e 1403-1404)
Guai dunque se in nome di pluralismi incontrollati o malfondati o comunque arbitrari si osasse mettere in dubbio la dottrina comune e tradizionale della Chiesa. In tal caso si creerebbero di fatto varie chiese o chiesuole in una, tante religioni e tanti credi nell’unica vera religione, che sussiste solo nella Chiesa cattolica (cf. Dignitatis humanae, 1).
Vediamo in alcuni punti il vero e il falso pluralismo secondo Paolo VI
  1. Dopo aver introdotto il tema del pluralismo, facendo notare che si intende parlare del pluralismo religioso e non di quello “dei sistemi filosofici, o politici”, il Papa inizia definendo la parola pluralismo, come “un termine equivoco; cioè avente duplice significato”: uno vero e bello, e uno falso e nocivo. Già qui si impongono delle chiose. Non sarà che la volontà di usare un linguaggio moderno e quasi parlato (espressa in molti testi ecclesiali), e molto meno il tipico linguaggio teologico scolastico, abbia facilmente indotto in errori di interpretazione e di lettura? Parole come aggiornamentoadattamento, creatività e altre, usate anche in documenti ufficiali, non andrebbero ogni volta chiarite e contestualizzate per evitare ermeneutiche all’insegna della discontinuità?
  2. Il vero pluralismo, secondo il Pontefice, è quello della dottrina cattolica, “la quale, conservando una sincera e profonda identità di contenuto e rimanendo cioè strettamente aderente alla propria univoca realtà, all’ una fides […], possiede una enorme ricchezza di espressioni, per ogni lingua […], per ogni periodo della storia, per ogni età e grado della vita umana”. Si notino con attenzione le espressioni forti, oggi desuete, impiegate da Montini: profonda identità di contenuto, univoca realtà, una fides… Infondo si ha qui, oltre ad una critica diretta al progressismo post-conciliare, che intende – se mai fosse possibile – cancellare o sabotare l’unità della fede, anche una valida riserva nei confronti del fissismo teologico-psicologico-lessicale di altri settori della Chiesa. Questi ultimi, benché molto migliori dei primi, ignorano o fingono di ignorare che se la verità non muta, il linguaggio, l’arte e la cultura mutano, ed anche la teologia: la scolastica di san Tommaso per esempio, benché fondata sulla Patristica (come ogni vera teologica cattolica), non ne è stata una mera ripetizione, ma uno sviluppo organico, che ha introdotto un linguaggio nuovo e una nuova metodologia (per esempio l’uso della filosofia scientifica aristotelica e il sillogismo). Non si può però accusare di fissismo il Magistero ecclesiastico per il fatto di proporre, da secoli, san Tommaso come Maestro della teologia cattolica: infatti quando si è trovato un metodo sicuro non è prudente scartarlo per seguire le mode e la cosiddetta evoluzione storica.
  3. Papa Montini poi, quali esempi di sviluppo organico della dottrina cattolica o vero pluralismo della stessa, cita le tipiche espressioni della fede nei secoli: “il kerigma, o annuncio primitivo; la didaché, o dottrina apostolica; i primi simboli, ossia le sintesi dottrinali, come regole della dottrina, che presentano il nome di credo; e poi i catechismi e le opere dottrinali d’ogni forma, come le summae teologiche medioevali, e le opere più recenti di più ampia e sistematica esposizione del dogma cattolico”. Tutte cose bellissime, ma cose molto diverse tra loro, come il catechismo di san Pio X è diverso dal Catechismo tridentino e questo è diverso dalle opere dei padri della Chiesa, specie d’Oriente. Ma, si badi bene, come aveva scritto Paolo VI sopra, il tutto con una “profonda identità di contenuto”.
  4. Un’altra significativa espressione del vero pluralismo cattolico viene individuata dal Papa nella liturgia, da sempre diversificata in varie famiglie rituali, per cui non è MAI esistita, un’unica ed universale “messa di sempre”, statica, immobile e invariabile, e questo è certamente un pregio della Chiesa, non un difetto (sia in Oriente che in Occidente esistono da secoli tanti riti e tante liturgie, che crescono, si sviluppano, si ampliano, si modificano sotto l’impulso dello Spirito Santo, e la messa celebrata da san Pietro nessuno sa come sia stata). La fede deve essere, ed è, unica e universale, non le espressioni della fede, come la liturgia, il diritto canonico e la stessa teologia.
  5. Altre espressioni del sano pluralismo cattolico si trovano nell’ “inesauribile produzione letteraria” della Chiesa, nelle ricerche teologiche, nelle espressioni della mistica e dell’arte sacra. Tutto ciò forma un patrimonio culturale di sconfinata ricchezza e di suprema bellezza.
  6. Ma secondo il Papa, che batte e ribatte ove il dente duole, e dopo 40 anni di dolore, duole ancora, tutto ciò, sempre sotto “la garanzia interpretativa di quel Magistero della Chiesa, al quale Cristo affidò il ministero di luce; della parola; dell’autenticità della fede e della comunione”.
  7. Così, “Potremmo paragonare il pluralismo dottrinale della Chiesa cattolica a quello d’un’orchestra musicale, nella quale la pluralità degli strumenti e la diversità delle loro parti rispettive cospirano a produrre una sola e mirabile armonia” (corsivo mio).
  8. A fronte del vero pluralismo cattolico legittimo, Paolo VI denuncia chiaramente “la formula dei Riformatori antichi e moderni: sola Scriptura, quasi che essi fossero i veri fedeli dell’unità religiosa, e quasi che la sacra Scrittura non derivasse essa stessa dalla Tradizione apostolica, e avulsa dall’insegnamento apostolico non fosse esposta al pericolo, quanto mai reale, d’essere abbandonata all’interpretazione individuale, indefinitamente centrifuga e pluralistica, cioè a quel libero esame, che ha polverizzato l’unità della fede nell’innumerevole molteplicità di opinioni personali”. Ah, se ancora oggi, specie coloro che si rallegrano della prossima beatificazione di Montini, usassero le sue parole luminose, le quali attribuiscono alla Riforma e al libero esame, la polverizzazione della fede…
  9. Ma il rischio che paventa il Pontefice non riguarda tanto i protestanti, lontani dalla Scrittura quanto il sola Scriptura è lontano dalla verità, ma piuttosto i cattolici, infatuati, specie dopo il Concilio, dalla sacrilega e blasfema teologia di Lutero: “Dove finirebbe il cristianesimo, dove ancor più il cattolicesimo, se ancor oggi, sotto uno specioso, ma inammissibile pluralismo, si accettasse come legittima la disgregazione dottrinale, e quindi anche ecclesiale, ch’esso può recare con sé?”. Si arriverebbe, secondo Paolo VI, “al più radicale soggettivismo filosofico-religioso”. O meglio, all’ateismo…
  10. La conclusione di Montini sembra una scomunica maggiore di tutto il cammino teologico dell’ultimo mezzo secolo segnato da errori senza fine, contraddizioni palesi, antinomie ed eresie di immani conseguenze antropologiche: “La vera religione, quale noi crediamo essere la nostra, non si può dire legittima, né efficace, se non è ortodossa, cioè derivata da un autentico ed univoco rapporto con Dio”. Essa non è “Né un vago, e fosse anche commosso e sincero, sentimento religioso [come il protestantesimo storico], né una libera ideologia spirituale [come il modernismo vecchio e nuovo] costruita con autonome elaborazioni personali”: nulla di tutto ciò.