mercoledì 22 ottobre 2014

Quando Paolo VI annotava le «intuizioni» di Wojtyla



di Eliana Versace

«Mi sono domandato tante volte, trovandomi a contatto con l’anima del popolo polacco – scriveva il giovane Giovanni Battista Montini nel settembre del 1923 – che cosa mai finalmente sia il valore di questi termini, tanto spesso usurpati dal linguaggio comune: popolo, nazione, nazionalità, patria, stato, governo, politica, patriottismo». Il futuro Paolo VI si trovava in quel periodo a Varsavia, in servizio presso la nunziatura apostolica, dove restò fino alla fine di quell’anno, e scrutò con ammirazione il popolo polacco, del quale imparò ad apprezzare la fede tanto radicalmente vissuta da costituire il principale elemento dell’identità nazionale. «L’anima della Polonia – concludeva Montini – cacciata, perseguitata, oltraggiata dai conquistatori, aveva sempre trovato nel Tempio il suo rifugio, fino a conservarvi, nella fede e nella preghiera, la ragione di esistere. Perché 'polacco' vuol dire 'cattolico'». I legami del futuro pontefice con la martoriata terra polacca, vessata e sottoposta dapprima alla violenza nazista e poi alla dittatura del regime comunista, non si interruppero con il suo rientro in Italia, ma rimasero vivi nel tempo, continuando in particolare negli anni dell’episcopato milanese e intensificandosi durante il pontificato. 

Diversa documentazione conservata nell’archivio diocesano milanese, attesta l’interesse e l’immutata attenzione dimostrata da Montini verso la nazione polacca. Rivolgendosi a un sacerdote che gli raccontava la difficile situazione nella quale si trovava la sua patria, e la 
triste condizione di prigionia del cardinale primate Wyszynski, l’allora arcivescovo Montini scriveva nel dicembre del 1955: «Non sono insensibile alla passione della Chiesa polacca, a me sempre tanto cara. La sua sofferenza impegna il dolore di tutta la Chiesa; la sua resistenza si allinea nel grande disegno eroico e spirituale delle sue tradizioni; le figure dei suoi figli, ecclesiastici e laici, che soffrono per la fedeltà a Cristo ed al Papa, parlano al cuore di tutti i cattolici; quelle specialmente del card. Wyszynski e degli altri vescovi ingiustamente sottratti al loro ministero hanno il plauso e l’adesione che si deve ai confessori della fede; e quest’ora dolorosa della Polonia è ancora un’ora di gloria e di speranza per questo grande Paese cattolico. Io stesso, nella festa dei Santi Pietro e Paolo, ho voluto fare un cenno esplicito alla passione dell’Eminentissimo Primate di Polonia». 

Solo alcuni anni più tardi, nel 1962, durante la prima sessione del Concilio Vaticano II, il cardinale Montini conobbe il giovane vescovo polacco Karol Wojtyla (futuro Giovanni Paolo II, del quale oggi la Chiesa celebra la prima memoria liturgica dopo la canonizzazione). Questi, in qualità di Vicario capitolare della diocesi di Cracovia, fece al cardinale Montini una richiesta simbolica che esplicitasse l’amicizia tra l’arcidiocesi di Cracovia e la Chiesa di Milano, custode della memoria di San Carlo, del quale Wojtyla portava il nome e per il quale nutriva una profonda devozione. Il futuro Paolo VI accolse benevolmente la proposta di offrire alla parrocchia di San Floriano in Cracovia – ove Wojtyla aveva prestato servizio alla fine degli anni Quaranta – tre campane, in sostituzione di quelle distrutte durante la II guerra mondiale. «Si trattava di un simbolo, di un segno di unità tra le chiese – avrebbe riconosciuto Wojtyla – Il cardinale Montini lo capì subito e diresse la conversazione sui suoi ricordi personali della Polonia, dove aveva soggiornato quando lavorava alla nunziatura di Varsavia, e dove una volta fu testimone della rimessa in opera di campane un tempo asportate, durante la I guerra mondiale e poi deposte su un grande prato». Due anni dopo proprio Paolo VI nominò Wojtyla arcivescovo di Cracovia e lo creò cardinale nel 1967: il pontefice, che l’anno prima dovette rinunciare al proposito di recarsi in Polonia per celebrare il Millennio di Battesimo della nazione polacca, ricevette l’arcivescovo di Cracovia ben venti volte personalmente e altre quattro con il cardinale Wyszynski o altri vescovi polacchi. Il legame tra Montini e Wojtyla fu indubbiamente cementato anche dalla sintonia creatasi tra i due in merito alle questioni di carattere etico e morale. L’arcivescovo di Cracovia aveva dato il suo contributo alla stesura della costituzione conciliare Gaudium et spes. 

La questione della procreazione responsabile e del controllo delle nascite, che venne demandata alla «Commissione di studio per i problemi della popolazione, della famiglia e della natalità», di cui faceva parte anche Wojtyla, angustiava particolarmente il Pontefice. «Gli incontri con Paolo VI divennero più frequenti e regolari da quando mi chiamò a far parte del Collegio cardinalizio – ricordò il futuro Giovanni Paolo II all’indomani della morte di Papa Montini –. Quasi ogni volta che venivo a Roma, e quindi in media due volte all’anno, avevo la gioia di essere ricevuto in udienza e parlare col Santo Padre. Ma ricordo particolarmente l’incontro prima della convocazione al Collegio dei Cardinali. Era l’aprile del 1967. Non dimenticherò mai ciò che disse allora il Papa parlando della preparazione del documento che uscì un anno dopo come enciclica Humanae vitae.Poiché facevo parte di una commissione di specialisti alla cui sessione, nel giugno 1966, purtroppo non avevo potuto partecipare, avevo inviato al Santo Padre il mio parere per iscritto». 

Paolo VI avviò subito la conversazione su quell’argomento, e poi aggiunse: 'Se si trovasse in Polonia, a Cracovia, qualche persona che per quella difficile questione desiderasse offrire le sue preghiere a Dio, e soprattutto le sue sofferenze: mi sta molto a cuore'. Di queste persone se ne trovarono molte. Ma io allora compresi quale fosse il peso del problema davanti al quale si trovava Paolo VI, come supremo Maestro e Pastore della Chiesa». 

Nell’ottobre del 1968, dopo la promulgazione della Humanae vitae, 
venne pubblicato in traduzione italiana il volume di Karol Wojtyla 'Amore e responsabilità', apparso per la prima volta in polacco nel 1960. L’edizione italiana del volume dell’arcivescovo di Cracovia aveva la prefazione del cardinale Giovanni Colombo: per il successore di Montini a Milano l’opera di Wojtyla, pensata e pubblicata «prima della costituzione pastorale Gaudium et spes, prima dell’enciclica Humanae vitae è talmente consonante con la concezione personalistica dell’amore a cui si ispirano quei due altissimi documenti, è talmente convergente nelle medesime norme morali, che ne pare quasi un commento posteriore». 

Durante i quindici anni del pontificato paolino furono inoltre compiute tre visite ad limina dei vescovi polacchi. «Mi ha sempre stupito – dichiarò il cardinale Wojtyla il 21 agosto del 1978 – come il Papa si preparasse scrupolosamente alle udienze, quanto desiderasse renderle fruttuose, entrare nel problema che gli veniva prospettato, rispondere alle aspettative, instaurare un contatto personale. Il momento più commovente era quando egli stesso cominciava a parlare dei problemi della Chiesa – spesso anche della chiesa in Italia, nella stessa Roma: quando ciò che diceva prendeva la forma di un colloquio confidenziale, quando dava sfogo a ciò che gli pesava, che lo addolorava. L’interlocutore si sentiva allora particolarmente impegnato, partecipando in tal modo a quella sollicitudo omnium Ecclesiarum 
realmente paolina, alla preoccupazione per tutte le Chiese, per tutti i problemi più urgenti della Chiesa». Ma «il ricordo più forte di Paolo VI» per il suo secondo successore, fu legato all’incontro particolare della primavera del 1976 quando Papa Montini invitò proprio l’arcivescovo di Cracovia a predicare in Vaticano gli esercizi spirituali per la Quaresima. «L’ultimo giorno mi ringraziò – confidò il cardinale Wojtyla – ricevendomi in udienza privata appena terminati gli esercizi. Ricordai più tardi che aveva preso appunti del testo delle lezioni». 

Quegli appunti schematici furono resi noti nel 2005, dopo la morte di Giovanni Paolo II. Tra le principali questioni evidenziate, Paolo VI ne individuava quattro in particolare: «1- mistero dell’uomo - risposte contrastanti del pensiero moderno; 2 - antropologia antropocentrica; 3 -liberazione; 4 - dignità della natura umana […] La Verità che salva […]. Triste situazione in Paesi dove questa libera testimonianza è soffocata. E come spesso il magistero della Chiesa è 'signum contradictionis' per essere testimonio di quella verità che coincide con la dignità e la salvezza dell’uomo[…] Il peccato offende l’uomo stesso che lo commette, offende la società, offende Dio. Esige un castigo. Cfr. regimi totalitari! Il castigo è pur un richiamo alla giustizia». 

Tuttavia Papa Montini giungeva alla conclusione che «andiamo verso la fine del sec. XX – si possono prevedere grandi prove – con grandi speranze». Con sguardo profetico, Paolo VI prefigurò, anche in quelle sintetiche righe, il difficile cammino che attendeva la Chiesa, alle soglie del nuovo millennio. Ma a condurla sarebbe stato proprio colui che aveva ispirato quelle sue considerazioni: Papa Wojtyla, che qualche tempo dopo la sua elezione, volle ricordare il suo predecessore bresciano, dal quale aveva ereditato la guida della Chiesa universale, chiamando Paolo VI con una espressione molto significativa, «il mio vero padre», e rivelando con queste parole tutta l’intensità del loro rapporto. 
Avvenire

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Festa San Giovanni Paolo II. Oder: cresce l'amore per la sua figura

Oggi, dunque, la Chiesa festeggia San Giovanni Paolo II, Pontefice per quasi 27 anni. Elevato all’onore degli altari lo scorso 27 aprile da Papa Francesco, assieme a San Giovanni XXIII, Karol Wojtyla è tra le figure più amate nella storia recente della Chiesa. Un amore che cresce anche a nove anni dalla sua morte, come sottolinea il postulatore della Causa della Canonizzazione,mons. Slawomir Oder: 
R. – Non le nascondo che per me guardare la pagina del calendario con la data 22 ottobre è sicuramente un momento di grande commozione. Ed è una cosa impressionante come, ancora adesso, ormai da più di nove anni dalla sua morte, il nome di Giovanni Paolo II susciti nei cuori dei fedeli sentimenti di gratitudine, di gioia, di affetto. In questi mesi, io ho avuto occasione di partecipare a varie iniziative per ricordare San Giovanni Paolo II e le devo dire che mi commuovevo nel vedere le chiese piene, la partecipazione delle persone che con le lacrime agli occhi raccontavano la loro esperienza, il loro Giovanni Paolo II.
D. – Al di là delle analisi dei teologi, di quello che possano scrivere i vaticanisti, c’è un popolo di Dio che continua e accresce il suo amore per questa figura...
R. – Effettivamente, è un fenomeno che ho riscontrato già durante gli anni del processo, raccogliendo le testimonianze. Un fenomeno che trovava la sua espressione nelle parole, che ripetevano tutti come un ritornello: “Il nostro Papa! Il nostro Papa!”. Lo dicevano in polacco, lo dicevano in italiano, e continuano a dirlo in tutte le lingue del mondo. E’ rimasto il Papa dei nostri giorni, nel senso che ne è rimasta una memoria molto fresca, sempre viva: del suo sorriso, delle sue parole, del suo atteggiamento molto paterno, severo, ma anche benevolo, con la certezza della sua parola, della sua dottrina e della sua vicinanza alle persone bisognose di affetto e misericordia.
D. – Il 22 ottobre, ovviamente, è legato a tre parole che non si potranno mai dimenticare pensando a Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura”. In qualche modo, questa esortazione ha una proiezione verso l’avanti, cioè nel continuare a non avere paura nell’annunciare Cristo, anche se bisogna dire cose scomode per i nostri tempi...
R. – Questa è la funzione profetica della Chiesa e questo è anche il coraggio straordinario, che Giovanni Paolo II ha dimostrato in tutto il suo Pontificato, che è stato percepito come forza dai suoi avversari, ma anche dal popolo di Dio: ha posto Cristo al centro del suo Magistero, della sua parola, del messaggio che ha lasciato alla Chiesa. Perciò, le sue parole “non abbiate paura” davvero sono le parole che ancora oggi ispirano tantissime persone a prendere un cammino e fare scelte che vanno controcorrente, che sono scelte profetiche.
D. – In questi mesi, dopo la Canonizzazione, quindi dopo il 27 aprile, che cosa l’ha colpita? C’è anche magari un’esperienza, un racconto che le è proprio rimasto nel cuore, tra i tanti?
R. – Di recente, sono stato in Puglia, ho partecipato ad un evento molto bello – uno dei tanti, in questi giorni – che si iscrive ancora nella "peregrinatio" della reliquia di San Giovanni Paolo II, che continua la sua itineranza nel mondo. Quello che mi ha colpito è stata la Chiesa gremita di persone. Dopo la Messa vespertina, tantissime persone sono rimaste in Chiesa per tutta la notte: hanno pregato fino all’alba, fino alla Messa mattutina, affidando a Giovanni Paolo II le loro intenzioni, preoccupazioni, speranze e le loro gioie. Io penso che questo sia veramente il compito dei Santi e che lui stia svolgendo egregiamente questo suo ruolo: intercedere, ma anche invogliare le persone alla vita, secondo la misura alta. Quelle parole che ha affidato quasi alla fine del suo Pontificato, introducendo la Chiesa nel nuovo millennio - “Duc in altum!” prendete il largo” - veramente sono rimaste nei cuori delle persone. La santità incoraggia, la santità contagia, la santità attrae e veramente può incidere sulle scelte concrete della nostra vita.
Radio Vaticana