lunedì 20 ottobre 2014

Sinodo. Le domande senza risposte

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Appunti per vivere bene il prossimo anno
di Riccardo Cascioli

Ci sono alcune cose che alla fine del Sinodo meritano di essere puntualizzate, tenendo anche conto che da qui a un anno i temi che hanno tenuto banco saranno continuamente ripresi e approfonditi.
La prima, decisiva questione riguarda ciò che papa Francesco ha detto nel discorso fuori programma che ha pronunciato a fine Sinodo, vale a dire il richiamo al ruolo del Papa e l’obbedienza che tutti gli devono. Con il Papa, con tutti i Papi, ci si può trovare più o meno in sintonia, si può restare perplessi davanti a certe scelte o modi di comunicare, si possono legittimamente criticare anche alcune scelte pastorali; ma non bisogna mai dimenticare che è solo intorno al Papa che si fa l’unità della Chiesa. E il tutto nasce dalla consapevolezza che a guidare la Chiesa è Cristo, non gli uomini e nemmeno il Papa, anche se questi ha una enorme responsabilità. Può sembrare banale ricordarlo, ma senza questa consapevolezza si riduce la Chiesa a un partito, e il Sinodo diventa l’equivalente di un Congresso. È un po’ l’immagine, purtroppo, che è passata guardando i resoconti di tv e giornali (non solo e non principalmente per colpa dei giornalisti). In ogni caso, non esiste Chiesa cattolica senza il Papa. Al di fuori di questa oggettività, l’unica strada è quella della protestantizzazione.
Venendo più direttamente alle conclusioni del Sinodo, si rimane stupiti dai resoconti di molti giornali di ieri: malgrado l’obiettiva, evidente, sconfessione della linea Kasper da parte dell’assemblea sinodale, sulla stampa si è messo in rilievo che comunque la maggioranza dei vescovi ha votato a favore dell’apertura a divorziati risposati e omosessuali. Non è esattamente così, tanto che giustamente qualcuno si è mostrato sorpreso per l’alto numero di “non placet” ai paragrafi contestati che – rispetto alla relazione Erdö di lunedì scorso – erano stati riscritti in modo da non discostarsi dal Catechismo. Il fatto è che le formulazioni – ci torneremo ancora nei prossimi giorni – restano ambigue, tanto da poter essere tirate da una parte e dall’altra, soprattutto dopo il duro scontro dei giorni precedenti. Cosa che ha consigliato molti vescovi a bocciare anche questa versione. 
Il “no” di tanti vescovi è anche la protesta per una “regia” del Sinodo decisamente manipolatrice. Sostenere che tutto si è svolto in modo regolare e trasparente va contro ogni logica e buon senso. La Relatio post disceptationem, letta lunedì scorso dal cardinale Erdö è stata duramente contestata nelle parti riguardanti le situazioni irregolari e l’omosessualità: fosse stato un fedele resoconto del dibattito in aula, non sarebbe stata bocciata sonoramente dai circoli minori che hanno presentato quasi 500 emendamenti, che andavano dalla proposta di specifiche modifiche fino alla richiesta di riscrittura totale del testo. E giovedì in aula c’è stata una sollevazione quando la segreteria del Sinodo ha proposto di non pubblicare le relazioni dei circoli minori: qualche cardinale ha detto espressamente che non ci si poteva più fidare della “regia” del Sinodo.

Abbiamo detto Relazione Erdö, ma in realtà dovremmo chiamarla Relazione Forte, visto che subito lo stesso Erdö e poi sabato il cardinale brasiliano Damasceno Assis hanno chiaramente indicato nel vescovo Bruno Forte l’estensore del testo. Non da solo, ovviamente; non avrebbe potuto farlo. Il vaticanista Sandro Magister ha individuato in padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, un altro “scrittore”, soprattutto per quel che riguarda gli argomenti più controversi. Ma è certo che per un’operazione del genere deve essere stata coinvolta l’intera segreteria del Sinodo. Le reazioni di alcuni cardinali e le parole che si trovano nelle relazioni di diversi circoli minori, fanno capire che ci troviamo davanti a una vicenda inconcepibile. Di cui vogliamo sperare che qualcuno sia chiamato a rispondere.
Legato a questo c’è un terzo aspetto, quello della comunicazione. È vero che la stragrande maggioranza della stampa si preoccupa di portare l’acqua al proprio mulino, che non è certo Chiesa-friendly, ma nell’occasione gli è stata data in mano la pistola già carica per colpire. La Relazione Erdö ha indirizzato con precisione i media internazionali nella lettura del Sinodo, dando chiaramente l’idea che la Chiesa stava cambiando la sua dottrina in fatto di sessualità, che finalmente la Chiesa si arrendeva alla mentalità del mondo.

È ciò che ha anche mandato in confusione tanti fedeli cattolici nel mondo: non perché abbiano paura delle novità e non sappiano aprirsi alle sorprese di Dio, ma perché hanno avuto la sensazione che ciò che era vero e giusto fino a ieri, oggi sembra sbagliato, addirittura un peccato, e viceversa. Nessuno ha mai messo in discussione la necessità di accogliere tutte le persone, anche quelle con tendenze omosessuali, ma leggere che una tendenza fino a ieri “oggettivamente disordinata” si è improvvisamente trasformata in un bene per la Chiesa è un’altra cosa.
Viviamo nell’era della comunicazione, e tutti sappiamo come il circuito mediatico funziona; non si può fare finta di essere ingenui su questo. Chi ha delle responsabilità nella Chiesa non può non porsi il problema di come certe espressioni verranno usate dai media, di come saranno percepite dal popolo. Se un “documento di lavoro” viene trasformato in un “Manifesto per una Chiesa nuova”, c’è forte la responsabilità di chi dà queste cose in pasto alla stampa. 


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Tagle: «La questione dei divorziati risposati rimane aperta»

Intervista con l'arcivescovo di Manila: «Il tema è presente nel testo finale. E il Sinodo non è una battaglia. Nelle Filippine abbiamo il "divorzio" dei per amore delle persone che emigrano»

ANDREA TORNIELLICITTÀ DEL VATICANO



«La questione della pastorale verso le persone divorziate risposate e l'approfondimento sulla possibilità di ammetterli ai sacramenti» rimane «aperta», perché è citata nel testo finale sottoposto al voto del Sinodo che è stato reso pubblico. Lo afferma in questo colloquio con La Stampa e Vatican Insider il cardinale Luis Antonio Tagle, 57 anni, arcivescovo di Manila, uno dei presidenti delegati dell'assemblea sulla famiglia che si è chiusa sabato scorso. Il porporato filippino, una delle figure più significative della Chiesa asiatica, ha anche negato che il mancato raggiungimento del quorum dei due terzi su alcuni punti possa essere letto come una «sconfitta» di Papa Francesco.

Alcuni giornali, in particolare del mondo anglosassone, dopo il voto di sabato sul documento finale del Sinodo hanno parlato di Chiesa spaccata e di Papa «sconfitto». È così?

«Non è vero, secondo me non è stata affatto una sconfitta. Non credo proprio che si possa definire così quanto accaduto con la votazione sulla "relatio Synodi". In un processo sinodale gli elementi più importanti sono l'ascolto e la libertà di esprimere le diverse opinioni sulle situazioni che si presentano. Il Sinodo non è una battaglia né il frutto di una strategia. Forse per qualcuno magari potrà anche esserlo stato, ma questa non è la prospettiva del Sinodo».

Questioni come la possibile ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti, che hanno ottenuto la maggioranza assoluta ma non il quorum dei due terzi, restano ancora aperte secondo lei?

«Sì, certo che restano aperte. Questo Sinodo straordinario era solo una tappa del cammino. La questione della pastorale verso le persone divorziate risposate e l'approfondimento sulla possibilità di ammetterli ai sacramenti, in certi casi, in certe situazioni e a determinate condizioni, è stata riportata chiaramente nel testo finale. È stato reso pubblico il numero dei voti che quel paragrafo ha ottenuto, la maggioranza assoluta, e - come ha detto il Papa - farà parte del testo che sarà inviato alle conferenze episcopali».

Qual è stato lo scopo di queste due settimane di lavoro?

«Sono servite a far emergere lo stato delle cose e i problemi esistenti. Io, che ero un presidente delegato dell'assemblea, già al secondo giorno di lavori mi sono trasformato in un alunno! Abbiamo ascoltato le sfide pastorali che toccano altri Paesi e altri continenti, ad esempio l'Africa e umilmente devo ammettere: non capisco tutto, devo ascoltare e imparare...».

Il Papa nel suo discorso finale di sabato, molto applaudito in aula, ha parlato di varie «tentazioni», da quella «dell'irrigidimento ostile» di chi si vuol chiudere dentro la legge, a quella del «buonismo distruttivo». Che cosa ha prevalso?

«Secondo me in aula ha prevalso una comune sensibilità e attenzione per le ferite delle famiglie. Non c'era neanche un padre sinodale che non cercasse di rispondere. Però c'è da considerare il mistero della fede, la parola del Signore, la ricchezza tradizione... È una realtà complessa, come un diamante dalle molte sfaccettature: alcuni vedono una faccia, altri un'altra. Ma c'è una verità profonda che ci unisce, tutti cerchiamo di seguire il nostro pastore supremo, che è Gesù Cristo».

Secondo lei qualcuno ha cercato di coinvolgere il Papa emerito Benedetto XVI nel tentativo di contrapporlo a Francesco?

«Questo non l'ho proprio sentito. E se c'è stato questo tentativo, io non ne faccio parte...».
Quali sono le sfide per la famiglia che l'Asia ha portato al Sinodo?

«Parlo delle mie Filippine. Già durante la fase preparatoria ho parlato molte volte di una povertà e del fenomeno dell'emigrazione: due realtà che non appartengono soltanto al contesto delle famiglie, sono entrate nel cuore della vita delle famiglie. Nel nostro Paese non c'è la legge sul divorzio. Ma ci sono divorzi per amore. Padri e madri che per amore dei figli si separano e un coniuge va dall'altra parte del mondo per lavorare. Sono separazioni causate dall'amore. Dobbiamo come Chiesa, nelle Filippine e nei Paesi dove i migranti arrivano, accompagnare queste persone, aiutarle a essere fedeli alla propria moglie o al proprio marito».


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La Chiesa e il segno dei tempi.  Le domande senza risposte   
Corriere della Sera
 
(Ernesto Galli della LoggiaÈ lecito supporre che con il suo discorso a conclusione della prima fase del Sinodo papa Francesco abbia mirato a due obiettivi. Cercare innanzi tutto di dare un’immagine del suo magistero più mediatrice e per così dire «centrista» rispetto a quella che finora era apparsa a molti; e insieme abbia ritenuto urgente richiamare la Chiesa al superamento di quelle divisioni apparse così evidenti proprio durante i lavori del Sinodo. (...)


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La Stampa
(Giacomo Galeazzi) «Ho partecipato a vari Sinodi e il meccanismo non funziona bene. Stavolta poi c’era troppa carne al fuoco, si è partiti senza certezze, ma non si può mettere in discussione tutto, la Chiesa è custode di una verità di cui non può disporre». È critico verso l’utilità della «istituzione sinodale» il cardinale Velasio De Paolis, presidente emerito della Prefettura per gli Affari economici della Santa Sede e tra i firmatari del testo
«Permanere nella verità di Cristo» contrario alle aperture della Chiesa sulla comunione ai divorziati risposati. «C’è stato un errore originario di impostazione».