domenica 19 ottobre 2014

Lunedì della XXIX settimana del Tempo Ordinario



In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». 
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

 (Dal Vangelo secondo Luca,12,13-21)

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Eredità e cupidigia, ogni conflitto tra fratelli sorge dalla contraddizione di questi due termini. Dove vi è eredità non può esservi cupidigia. L'eredità è un dono che scaturisce dall'essere legati a colui che fa testamento. E' frutto della sua liberalità, del suo amore. Noi tutti siamo eredi di Dio e coeredi di Cristo. Per pura Grazia, senza aver desiderato nè sperato nulla. Di nostro abbiamo messo solo ribellioni e peccati. Come il figlio prodigo abbiamo dilapidato tutto. Eppure il Padre ci ha amati, ha inviato il suo Figlio sulle nostre tracce, quelle di un'eredità amaramente perduta. Ci siamo appropriati della primogenitura stravolgendola e pervertendola. Ci siamo fatti dio in ogni aspetto della nostra vita e ci siamo ritrovati mille volte gettati in terra, in mezzo al fango di tanti fallimenti. Abbiamo perso ogni diritto, come i carcerati. Eppure Dio ci ha amati e, nella Croce del suo Figlio, ci ha riscattati e ci ha ridonato la dignità e l'eredità perduta. Di più. ci ha ricreati quale sua eredità più bella, figli nel Figlio. Per questo Gesù è giudice in quanto mediatore. Ha giudicato il peccato e ha posto la sua vita come mediazione per il riscatto. Lui al posto nostro. Lui nella tomba, nudo, senza diritti, come l'ultimo dei peccatori perché noi potessimo essere riaccolti quali figli degni dell'eredità paterna. 

Si comprendono allora le parole del Signore: chi mi ha costituito giudice secondo i criteri del mondo e della carne? Chi ha posto la mia vita a mediare tra una cupidigia e l'altra? Questo è l'inganno con il quale spesso ci accostiamo a Lui, cercando giustizia e mediazione, e vedere così affermate le nostre ragioni, sempre tristemente mosse dalla cupidigia, che nel greco originale significa anche arroganza e avidità. Cerchiamo Cristo perché decreti giusti i nostri ragionamenti, i dialoghi con se stesso di cui è schiavo l'uomo ricco della parabola. Dirò a me stesso: la pazzia di chi si crede nello stesso tempo autore e fruitore della vita, dio e creatura. 

La stoltezza demoniaca che si fa cupidigia, desiderio rapace, perché sempre inappagato. O si è Dio o si è creatura. La sapienza del cuore è saper contare i propri giorni, ciascuno come un dono di Dio, eredità gratuita che ci raggiunge senza alcun merito e diritto. Siamo tutti uomini ricchi la cui vita dà sempre un raccolto abbondante: Cristo Gesù vivo in noi! E con Lui ogni altro bene! Pensare che questo possa essere utile per installarsi e mangiare, bere e divertirsi, è fare della vita una folle corsa verso il nulla. Stoltezza di chi non sa che ogni giorno ci viene chiesto conto del dono ricevuto, se il frutto abbondante recato da Cristo si è compiuto in amore oppure se è stato fagocitato dalla cupidigia. La morte è sempre in agguato, e non solo quella fisica: il tradimento, una malattia, una crisi economica, e molto altro che fa verità e mostra la qualità della nostra vita: oro o paglia!

La vita non dipende dall'abbondanza, ma dall'uso che se ne fa. A chi molto è stato dato,  molto molto sarà richiesto. E vi è un solo uso della vita che la rende autentica e innestata nell'eternità: arricchire presso Dio. Già, ma come è possibile? Arricchire presso Dio significa vivere con sapienza, mentre stoltezza è accumulare per sé. Il sapiente vive fissando lo sguardo sul Cielo, è figlio del Padre, conosce se stesso e conosce il dono che costituisce la sua vita: sa che può essere vissuta solamente donandola, esattamente come è stata ricevuta. Il sapiente vive abbandonato all'amore provvidente di Dio; conosce per esperienza il valore di ogni istante quale scrigno di Grazie infinite, tra le quali può celarsi quella della Pasqua eterna, l'incontro con il suo Signore. 

Lo stolto teme di morire, vive tutto con cupidigia perché è ancora nudo del peccato di Adamo e tutto, persone e cose, accaparra tentando maldestramente di coprirsi e sfuggire alla corruzione. Il sapiente ha conosciuto il perdono, lo stolto vive nel rimorso. Come il ricco epulone, incapace di accorgersi di Lazzaro che bussava alla sua porta, soffocato com'era dal proprio io da ingrassare. Perché l'io senza Dio è un tiranno implacabile. Per il sapiente, invece, che ha conosciuto la misericordia di Dio, seno benedetto dove gli stolti sono rigenerati a vita nuova, la vita, con i suoi beni e i suoi affetti, è segno del perdono e così diventa dono. Lo stolto progetta e si tormenta, e non trova mai pace, difendendo senza requie quei brandelli di vita che ancora gli restano tra le mani. Accogliamo oggi la Sapienza fatta carne, Cristo Gesù vittorioso sul peccato e sulla morte. Lasciamo che ci liberi e ci perdoni, e ci faccia figli della Sapienza, quella eterna della Croce, porta del Cielo sul quale fissare il nostro sguardo e il nostro cuore.