giovedì 23 ottobre 2014

Sinodo, quelle "tentazioni" che interpellano tutti...

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Le parole che il Papa ha pronunciato a chiusura dell'Assemblea straordinaria valgono per tutti i credenti

Domenico Delle Foglie - direttore Sir Europa


Il Sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia è stato un momento significativo di quella "Chiesa in uscita" evocata da Papa Francesco sin dai primi passi del suo pontificato. Una "Chiesa in uscita" che non ha paura di rimanere "incidentata" nell'incontro con il mondo e che, nel solco del Concilio ecumenico Vaticano II, si esercita nello "scrutare i segni dei tempi", non teme il discernimento e l'abbraccio con i feriti. Tutti i feriti dalla vita, anche quelli che sino a ieri ha forse trascurato, mai odiato.
Ecco perché a poco valgono tutte le letture "politiche" applicate a quanto si è svolto nelle aule sinodali, così come il giudizio sugli esiti di un appuntamento ecclesiale destinato a restare come pietra miliare nella storia secolare di quella speciale comunità terrena di uomini e donne radunate attorno al proprio Dio di salvezza e misericordia che è la Chiesa fondata da Gesù Cristo, per volontà del Padre e pervasa dal soffio dello Spirito Santo.
Solo in quest'ottica ci permettiamo di ragionare attorno al Sinodo straordinario, nella consapevolezza che sin da oggi si apre una fase nuova, un "cammino" come l'ha definito lo stesso Papa Francesco, che porterà all'appuntamento con il Sinodo ordinario dell'ottobre 2015 dal quale emergerà, in tutta la sua forza rigeneratrice, lo slancio della Chiesa verso la famiglia e il matrimonio, insieme con la sollecitudine verso il bene ovunque esso si manifesti nella vita delle donne e degli uomini di oggi. Di questo abbiamo ragionevole certezza, così come sappiamo che la "Relatio Synodi" è affidata come "Lineamenta" alla cura delle Conferenze episcopali nazionali, perché in ogni angolo del mondo si realizzi quel discernimento comunitario che il Papa considera indispensabile.
Ma ciò che preme sottolineare, in questo momento, è che le parole che il Papa ha voluto pronunciare a chiusura dei lavori del Sinodo valgono per tutti. Per tutti i credenti. Non solo, dunque, per tutti i vescovi e per tutti i pastori. Ricorderemo solo per titoli, rinviando a una lettura testuale delle parole del Papa, le "tentazioni" dalle quali anche i laici cristiani dovranno guardarsi in quest'anno di preparazione al Sinodo ordinario. Eccole: la tentazione dell'irrigidimento ostile, la tentazione del buonismo distruttivo, la tentazione di trasformare la pietra in pane e all'opposto di trasformare il pane in pietra, la tentazione di scendere dalla croce, la tentazione di trascurare il "depositum fidei" e, all'opposto, la tentazione di trascurare la realtà. Sono parole pronunciate dal Papa che non intendiamo commentare, ma solo acquisire come strumentazione spirituale, ancor prima che metodologica, per vivere con purezza d'animo e onestà intellettuale il cammino che ci aspetta. Un cammino che, vogliamo ricordarlo a qualche distratto, da sempre ci porta a incrociare l'umanità ferita che oggi ha anche il volto dei divorziati risposati, di quanti sono sposati solo civilmente, dei conviventi, degli omosessuali. Ma anche di tante nostre famiglie credenti in affanno e in crisi. Cancellarli tutti per miopia esistenziale è un vero peccato di omissione.
Certo, queste "tentazioni" indicate dal Papa sollecitano una prima considerazione. Come accade in tutte le famiglie, e la Chiesa è ancora una famiglia, a qualcuno tocca il compito d'indicare il tragitto e i rischi che si possono correre lungo una strada che non può non essere accidentata. In questo caso, parliamo di rischi squisitamente spirituali, non di incidenti o traversie culturali che pure sono da mettere in conto. Ecco, il Papa ci ha messo in guardia. Ora sappiamo come viaggiare in questo anno di discernimento, nella coscienza di non dover tradire il nostro Dio e di non dover tradire neppure le donne e gli uomini del nostro tempo con i quali siamo chiamati a condividere tutto: anche l'amore che Gesù Cristo ci dona ogni santo giorno. Tenerlo stretto e solo per noi sarebbe l'ultima, imperdonabile tentazione.
- GLI ALLEGATI
eur74.rtf (Allegato RTF)

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Sinodo, un rinnovato sguardo sul mondo

I vecchi schemi tradizionalismo-progressismo appaiono logori. Il cammino ecclesiale prende le mosse dall’umile riconoscimento della realtà in cui la Chiesa è chiamata a vivere

GILFREDO MARENGO

Che lo schema tradizionalismo – progressismo non sia uno dei modi migliori per misurarsi con le sfide pastorali che interpellano la vita della chiesa nel presente è un dato difficile da contestare quanto almeno l’uso che ancora ne viene fatto, con singolare noncuranza della sterilità così ampiamente documentata ormai da decenni. Lo stesso Papa Francesco, proprio alla chiusura dei lavori sinodali, ha rubricato questa logora polarità sotto la voce – certamente non incoraggiante - di «tentazione».


Nel variegato panorama dei commenti al Sinodo appena celebrato non sfugge che l’impiego di questa chiave di lettura ha fatto velo ad una delle istanze fondamentali che hanno presieduto alla convocazione del Sinodo medesimo: un divario sempre più profondo tra l’insegnamento ecclesiale sul matrimonio e la famiglia e il vissuto di molti cristiani. In un contesto culturale e sociale nel quale il sentire comune è sempre più distante, quando non ostile, ai paradigmi cristiani circa l’uomo, l’amore e il matrimonio, gli stessi membri della comunità ecclesiale mostrano di essere in grave difficoltà nei loro confronti: non ne comprendono le ragioni e, di conseguenza, non li assumono come criteri di vita. Implicitamente si può intravedere un altro accento di preoccupazione: proprio questa fragilità dell’esperienza cristiana condiziona pesantemente la capacità della vita della chiesa di misurarsi con successo proprio con le nuove questioni presenti nel mondo contemporaneo.


C’è da dubitare che l’appello schematico alla «tradizione», così come l’inseguire a tutti costi nuovi «orizzonti di progresso» sia in grado di incidere profondamente in questo drammatico scollamento tra insegnamento della chiesa e vissuto dei fedeli, nonostante il formidabile investimento di energie che da oltre cinquant’anni segna con tratti forti il profilo della comunità ecclesiale, mettendo in campo una quantità di soggetti, contributi,  energie intellettuali e pastorali di dimensioni non comuni, a proposito di matrimonio e famiglia.


Alla luce di questo rilievo potrebbe essere utile rimettere al centro dell’attenzione quanto il nodo decisivo – non sempre esplicitato in molti dibattiti – sia la relazione tra la chiesa e il mondo del suo tempo (sia esso moderno e/o post-moderno poco importa).


La lettura dei testi prodotti dal sinodo ha suscitato in molti la percezione di un cambio di stile e di paradigmi, per usare un lessico che direttamente richiama la complessa vicenda della recezione del Vaticano II, da molti giustamente evocato come antecedente ed ispiratore dei lavori sinodali.


A mio parere la novità emersa non deve essere subito collocata nell’ambito di un percorso culturale e teologico in senso stretto, ma piuttosto va esaminata secondo il fondamentale registro della pastoralità. A ben vedere l’accento è stato posto con forza sulla ribadita intenzione di porre la vita della comunità ecclesiale in dialogo (la grande parola di Paolo VI, appena proclamato Beato) con la condizione umana presente, dei cristiani, delle famiglie di ogni uomo e donna di questo nostro tempo: certamente una condizione che non sempre può piacere, densa di drammi, complicazioni ed equivoci, ma pur sempre di fatto la realtà in cui la chiesa è posta ed è chiamata a vivere fino in fondo la sua missione e la sua testimonianza.


Il mondo presente, dunque, guardato realisticamente come condizione e non come obiezione all’agire ecclesiale. Partire da qui mette in discussione in radice ogni deriva tradizionalista progressista: entrambe – infatti – rischiano sempre di guardare al mondo come fattore che «obietta» alla chiesa e al suo annuncio. È così per quanti non sanno andare oltre la rigorosa proposizione della dottrina, sine glossa, ad un mondo sentito come dimentico ed ostile della sua verità oggettiva, senza accorgersi che segnalare la fragilità di questo atteggiamento non comporta né dubbi né riserve sull’ortodossia della fede, ma piuttosto vuole essere esprimere una vigilanza circa una sterile autoreferenzialità della comunità ecclesiale: più forte si eleva il lamento per un mondo lontano e che traligna dalla retta via, più la chiesa rischia di rendersi incapace di incontro e di condivisione.


Allo stesso modo, non è convincente la posizione di quanti, sentendo anch’essi il mondo presente che obietta all’annuncio cristiano, si avventurano a immaginare nuovi assetti e soluzioni che dovrebbero tacitare quell’obiezione: difficile non manifestare perplessità per un atteggiamento che assegna alla cultura dominante il compito di verificare la bontà e la pertinenza dell’annuncio cristiano. Proprio a questo livello si è giocata dagli anni Sessanta la complessa battaglia sull’aggiornamento, la grande parola chiave del Concilio.


Liberare il campo da queste contrapposizioni polemiche potrebbe favorire un cammino che prenda le mosse  da un pacato – verrebbe da dire umile – riconoscimento della realtà in cui la chiesa è chiamata a vivere ed operare. Assumere questa posizione è in grado di liberare non poche energie per misurarsi fino in fondo con la radicale sfida del presente: dare e, soprattutto, testimoniare le ragioni per le quali il Vangelo della famiglia, singolare dono della rivelazione cristiana, è in tutte le sue dimensioni capace di intercettare, valorizzare e portare a compimento ogni istanza presente nel cuore dell’uomo, raggiunto nella sua concreta condizione storica.

Il cammino della chiesa, almeno dagli anni del Vaticano II, ritrova sempre al centro la medesima provocazione: custodire senza riserve la singolarità dell’evento di Gesù Cristo, unico Salvatore, nella operosa certezza che il suo Vangelo è davvero per tutti e tale universalità emerge e si attesta solamente dall’interno della sua unica pretesa salvifica.

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www.rossoporpora.org
(Giuseppe Rusconi) Intervista di bilancio del Sinodo al card.Francesco Cocccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi – Una parte del Sinodo ha avuto timore di aprire una breccia nell’indissolubilità del matrimonio – Un esempio di caso particolare di ‘divorziati risposati’ – Il sabato, il pozzo, il figlio (...)