venerdì 3 ottobre 2014

Un grosso dramma familiare

La decisione di Francesco di abbandonare tutto. 



















(Felice Accrocca) Il Sinodo sulla famiglia si rivela importante per tanti aspetti, non solo pastorali; esso, infatti, spinge anche a riflettere sulla storia della Chiesa domestica e sulla sua incidenza sulla vita delle persone. Se Timoteo, collaboratore di Paolo, ricevette in casa i primi rudimenti della fede e della dottrina, trasmessi a lui dalla madre Eunìce e dalla nonna Lòide (2 Timoteo, 1, 5), altri santi non vissero in famiglie esemplari. Francesco d’Assisi, si sa, fu osteggiato fortemente dai suoi. Una delle fonti più ricche di notizie a riguardo è senz’altro la cosiddetta Leggenda dei tre compagni.

Quando il giovane cominciò a guardare la realtà con occhi nuovi, essa narra, si propose «con più fermezza nel suo cuore di non rifiutare mai l’elemosina ad alcun povero che la chiedesse per amore di Dio, e anzi di elargire elemosine più spontanee e generose del solito» (Leggenda, n. 8). Da quel momento presero corpo anche certe sue stranezze, sulle quali, almeno in un primo tempo, Francesco mantenne il riserbo. Dopo il colloquio interiore con il Crocifisso nella chiesa di San Damiano, invece, cominciò a rendere pubblico, con gesti anche clamorosi, il suo intenso mutamento interiore. Caricato sul suo cavallo un pacco di stoffe sottratte al negozio, si recò a Foligno, dove le vendette insieme alla stessa cavalcatura (Leggenda, n. 16). Vedendo che il figlio era sparito, il padre prese a cercarlo. Francesco si rifugiò in una caverna dove rimase per un mese intero: soltanto un membro della famiglia conosceva quel rifugio e ogni tanto gli portava del cibo. Il periodo trascorso in quell’antro costituì per Francesco un’ulteriore purificazione.
Un giorno — ebbro d’entusiasmo — lasciò il suo rifugio. Quel che segue è il quadro stupendo di un grosso dramma familiare. Subito, infatti, la voce degli schiamazzi che l’accompagnavano corse veloce come scintille su un campo di stoppie, finché non pervenne all’orecchio del padre, il quale, appena ebbe compreso che l’oggetto della pubblica derisione era proprio quel figlio che da un po’ di tempo non gli dava altro che problemi, si gettò su di lui e l’afferrò in malo modo trascinandolo a casa, dove lo rinchiuse in un ambiente buio tentando di piegarne la volontà, prima a parole, poi con percosse e catene (Leggenda, n. 17).
Un dramma familiare portato in piazza, come oggi siamo abituati a vedere in tanti talk show di pessima qualità, dove è dubbio il contenuto stesso di quelle contese che fanno accapigliare i partecipanti. Qui il dramma era vero, e sapere di essere sulla bocca di tutti, dopo anni di duro lavoro (se fosse poi sempre stato onesto non sappiamo, ma duro lo era stato di sicuro), non era cosa piacevole per Pietro, che tante speranze aveva riposte proprio su quel figlio. Questo finiva per accrescere il suo dolore e la sua rabbia, che non poteva non riversarsi su Francesco, unica fonte di tutti i suoi guai.
Emersero, però, altre tensioni familiari. La madre, infatti, mentre il padre era fuori, resasi conto che Francesco non si sarebbe piegato, lo liberò dalla sua prigionia consentendogli così di tornare a San Damiano. Quando Pietro di Bernardone rientrò e si rese conto della situazione, scaricò la sua rabbia sulla moglie, la cui complicità era venuta palesemente alla luce (Leggenda, n. 18). Le tensioni crebbero e si giunse fino a un processo intentato dal padre nei confronti del figlio, che alla fine si denudò di ogni cosa davanti al vescovo e ai suoi concittadini. Bellissima è la descrizione dello stato d’animo di Pietro, che finiva per maledire il figlio ogni volta che l’incontrava. Ma era una rabbia che scaturiva da un dolore fortissimo, conseguenza di un amore che egli giudicava tradito da quel figlio amato: «Suo padre, al vederlo caduto in uno stato così miserabile, era ripieno di gran dolore. Siccome l’aveva molto amato, vedendolo così cadaverico per le privazioni eccessive e per il freddo, provava tanta vergogna e sofferenza per lui, che lo copriva di maledizioni dovunque lo incontrava» (Leggenda, n. 23). La descrizione è viva e incisiva e trasmette al lettore la consapevolezza di un rovesciamento delle parti. A star male non era il giovane, che si trovava a dover fare i conti con uno stile di vita duro e aspro, al quale non era abituato, ma il padre, che pur viveva tra gli agi. In tal modo, mentre esalta la grandezza di Dio, che dà forza ai deboli consentendo loro di vincere sui forti, l’autore istilla pure umana pietà per un padre che aveva amato in malo modo suo figlio, ma che tuttavia l’aveva amato e non riusciva ad accettare la propria sconfitta.
Non soffriva però solo Pietro, poiché anche Francesco provava acuto dolore trovandosi privo della figura paterna. La fonte precisa infatti che egli, nel considerare le maledizioni che il padre gli indirizzava, si rivolse a un uomo poverello e disprezzato e gli chiese di restare con lui, promettendogli parte delle elemosine se a ogni maledizione quegli avrebbe fatto su di lui il segno della croce, rendendogli benedizione in luogo della maledizione. Precisa inoltre che Francesco prese quell’uomo come padre (assumpsit sibi in patrem), mostrando in tal modo l’intimo bisogno che il giovane aveva della figura paterna. Anche le parole che Francesco — secondo l’autore — rivolge al padre mentre il povero lo benediceva, esprimono quest’intima esigenza: «Non credi che Dio possa darmi un padre che mi benedica, contro le tue maledizioni?» (ivi). Quante volte, nel corso degli anni, Francesco sarà ritornato sulle parole del salmo (27, 10): «Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto»? E quali saranno stati i suoi sentimenti in proposito?
Diverso, meno traumatico, ma non meno duro, fu lo scontro con il fratello. La Leggenda ne riporta uno solo, ma è da credere che non sia stato l’unico.
L’autore dice che in un giorno d’inverno, mentre Francesco stava pregando coperto di poveri cenci, gli passò vicino suo fratello carnale, il quale — rivolgendosi a un altro concittadino — pronunciò parole di scherno circa la nuova condizione del congiunto. Quest’ultimo, a sua volta, gli rispose in fervore di spirito, utilizzando la lingua francese (ivi).
Certo, la vita insegna che lo strappo familiare è vissuto in modo diverso da genitori e figli; un padre è pur sempre un padre e difficilmente dimentica un figlio che si è distaccato da lui, quale che sia la ragione di quel distacco. Un fratello, invece, più facilmente si distacca dal fratello quando insorgono motivi di lite, fino a dimenticarsi dell’altro a distacco avvenuto.
Il fatto dunque che l’autore della Leggenda non lasci trasparire forti ondate emotive a riguardo sta a testimoniare non solo la sua capacità di rappresentazione psicologica dei protagonisti della narrazione, ma — prima ancora — la bontà stessa della sua narrazione.
Francesco, dunque, non proveniva da una famiglia perfetta, ma da una famiglia qualsiasi, con i suoi problemi, come ce ne sono tante. Con l’aiuto di Dio, affrontò un vero percorso di riconciliazione con se stesso e con gli altri, che fece di lui una persona in tutto pacificata. La sua storia sta a testimoniare che, con l’aiuto di Dio, ognuno potrebbe fare altrettanto.
L'Osservatore Romano