lunedì 12 gennaio 2015

Con voce concorde



I vescovi come maestri della fede. 

(Gerhard L. Muller) Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto l’opportunità e la fecondità di raggruppamenti, organicamente congiunti, fra i vescovi di una stessa nazione o regione. Nel 1966, Papa Paolo VI, con il motu proprio Ecclesiae Sanctae, impose successivamente la costituzione delle Conferenze episcopali laddove non esistevano ancora. Essendo le Commissioni dottrinali delle commissioni appartenenti alle Conferenze dei vescovi, bisogna partire da queste ultime per inquadrarle correttamente dal punto di vista teologico ed ecclesiologico. La costituzione Lumen gentium ha visto nelle Conferenze episcopali una concreta applicazione dell’«affetto collegiale» (collegialis affectus) che deve segnare la collaborazione nel seno del collegio episcopale. 
In questo contesto va tematizzato l’auspicio espresso dal Santo Padre nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, cioè che sia esplicitato maggiormente «uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale». Per essere compreso correttamente, tale auspicio deve essere considerato e approfondito alla luce dell’ecclesiologia cattolica, e in particolare dei documenti del Magistero nei quali la tematica è stata trattata in modo specifico. Fra questi, si pensa specialmente al motuproprio Apostolos suos di Papa Giovanni Paolo  II, al quale rinvia d’altronde lo stesso testo appena citato della Evangelii gaudium.
Nell’Apostolos suos Giovanni Paolo  II ha voluto chiarire la natura teologica e giuridica delle Conferenze dei vescovi. Questo testo distingue in particolare l’azione collegiale del corpo dei vescovi nel suo insieme, quale espressione dell’unità dell’episcopato e della sua sollecitudine per tutta la Chiesa, e l’azione a livello di singole Chiese particolari e dei loro raggruppamenti. Sebbene l’esercizio congiunto di certe funzioni pastorali a livello regionale, nazionale e internazionale sia animato da uno spirito collegiale, «tuttavia esso non assume mai la natura collegiale caratteristica degli atti dell’ordine dei vescovi in quanto soggetto della suprema potestà su tutta la Chiesa. È ben diverso, infatti, il rapporto dei singoli vescovi rispetto al Collegio episcopale dal loro rapporto rispetto agli organismi formati per il suddetto esercizio congiunto di alcune funzioni pastorali». Tenendo conto del fatto che il Collegio esiste per volontà del Signore, mentre i raggruppamenti di Chiese particolari sono di istituzione ecclesiastica, soltanto la relazione di ogni vescovo col Collegio episcopale è di diritto divino. Tutto questo implica che, mentre le Conferenze episcopali e le commissioni che ne fanno parte possiedono una natura giuridica e organizzativa propria, la loro rilevanza teologica ed ecclesiologica, e quindi anche la loro autorità, provengono non da queste stesse strutture, ma dal fatto che sono costituite da vescovi, membri dell’unico Collegio episcopale.
Tali precisazioni e distinzioni non impediscono di riconoscere l’utilità di un esercizio congiunto del ministero episcopale a livello delle Conferenze dei vescovi, in particolare nell’ambito dottrinale.
In effetti, «la voce concorde dei vescovi di un determinato territorio, quando, in comunione col Romano Pontefice, proclamano congiuntamente la verità cattolica in materia di fede e di morale, può giungere al loro popolo con maggiore efficacia e rendere più agevole l’adesione dei loro fedeli col religioso ossequio dello spirito a tale magistero».
Per raggiungere meglio questo scopo, a livello di raggruppamento di Chiese locali, occorrono strumenti adeguati. A quel punto si intravede senza difficoltà la natura delle Commissioni dottrinali e la loro importanza. Esse «agiscono su incarico e per mandato delle Conferenze episcopali, e costituiscono un organo consultivo istituzionalizzato di aiuto alle medesime Conferenze episcopali e ai singoli vescovi, nella loro sollecitudine per la dottrina della fede». Il legame stretto delle Commissioni dottrinali con il magistero ordinario dei vescovi in quanto maestri della fede spiega perché la Congregazione per la Dottrina della Fede ha sempre chiesto, dal 1967 in poi, che i membri veri e propri delle Commissioni dottrinali siano dei vescovi. Nella lettera del 23 novembre 1990 si è precisato al proposito: «Sono membri della Commissione dottrinale i vescovi eletti dalla Conferenza episcopale. Esperti possono essere consultati di volta in volta, ma il loro ruolo deve essere distinto da quello dei vescovi, che sono i soli responsabili di eventuali pronunciamenti della Commissione, poiché si tratta di una Commissione episcopale».
L’articolazione fra il compito delle Commissioni Dottrinali e quello della Congregazione per la Dottrina della Fede è basato sul principio di una sana sussidiarietà. San Paolo paragona la Chiesa con il corpo umano nel quale ogni membro, invece di sostituirsi agli altri, agisce secondo la sua natura e collabora armoniosamente con le altre membra in vista del bene vicendevole (cfr.  1  Corinzi, 12, 12-30). È più consono alla natura comunionale della Chiesa che le questioni dottrinali sorte in qualche regione, e in particolare il problema del dissenso, vengano affrontate — nella misura del possibile — a livello locale o regionale, ovviamente sempre in accordo con l’insegnamento magisteriale della Chiesa universale. A tale proposito le Commissioni dottrinali possono offrire un prezioso aiuto agli Episcopati. Non sarebbe onesto rimproverare ai Dicasteri della curia romana un loro eccessivo centralismo e al contempo non intraprendere iniziative opportune a livello delle Conferenze episcopali. Esiste qui l’opportunità per una giusta decentralizzazione, come auspicata dal Santo Padre. Di fatto, «un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria».
Non è indifferente che, per rafforzare la collaborazione fra la Congregazione per la Dottrina della Fede e le Commissioni dottrinali, il cardinale Joseph Ratzinger abbia preso l’iniziativa di riunire regolarmente i presidenti di dette Commissioni a livello continentale, ormai più di trent’anni fa. Il primo incontro si svolse a Bogotá nel 1984; seguirono gli incontri a Kinshasa (1987), a Vienna (1989), a Hong-Kong (1993), a Guadalajara (1996), a San Francisco (1999) e a Dar es Salaam (2009). Il cardinale Ratzinger e poi il cardinale William Joseph Levada hanno presieduto personalmente tali incontri, offrendovi interventi lungimiranti sulle sfide contemporanee in campo dottrinale. Questi incontri manifestano la volontà da parte della Congregazione di sostenere gli Episcopati locali nel loro impegno per la diffusione e la tutela della sana dottrina. Una delle caratteristiche originali di questi incontri consiste nel fatto che sono i superiori della Congregazione a spostarsi nei vari continenti. Si vuol sottolineare in questo modo l’importanza delle istanze locali e regionali e la loro responsabilità nell’affrontare le questioni dottrinali.
Esiste innegabilmente una certa connaturalità fra la Congregazione per la Dottrina della Fede e le Commissioni dottrinali, per quanto riguarda la loro finalità. Anche se operano in modo e su scale diversi, ambedue sono strumenti di cui la Chiesa si è dotata lungo i secoli per svolgere con maggiore efficacia la missione di annunciare il Vangelo a tutti. È vero tuttavia che l’autorità specifica di cui gode la Congregazione e la dimensione universale del suo magistero partecipato la distinguono essenzialmente dalle Commissioni dottrinali. Queste ultime «non hanno l’autorità di porre atti di magistero autentico né a nome proprio né a nome della Conferenza neppure per incarico di questa». Inoltre, «la Commissione dottrinale non può pronunciarsi pubblicamente a nome di tutta la Conferenza, se non ne ha avuto l’autorizzazione esplicita». In effetti, «la natura stessa della funzione dottrinale dei vescovi richiede che, se la esercitano congiuntamente riuniti nella Conferenza episcopale, ciò avvenga nella riunione plenaria». Infine, «perché le dichiarazioni dottrinali della Conferenza dei vescovi (…) costituiscano un magistero autentico e possano essere pubblicate a nome della Conferenza stessa, è necessario che siano approvate all’unanimità dai membri vescovi oppure che, approvate nella riunione plenaria almeno dai due terzi dei presuli che appartengono alla Conferenza con voto deliberativo, ottengano la revisione (recognitio) della Sede Apostolica».
Bisogna comunque sottolineare le similitudini che devono segnare il rapporto fra la Congregazione e le Commissioni dottrinali. Ad esempio, una delle funzioni della Congregazione è quella di verificare i documenti pubblicati dagli altri Dicasteri della curia romana per quanto riguarda la fede e i costumi. In modo analogo, le Commissioni dottrinali «collaborano con le altre Commissioni delle Conferenze episcopali, specialmente con quelle investite di responsabilità nel settore educativo (seminari, università e scuole), catechistico, liturgico ed ecumenico, esprimendo il proprio competente parere su tutto ciò che ha rilevanza dottrinale. Le altre Commissioni, di norma, non dovrebbero pubblicare documenti importanti senza aver ricevuto anche il parere della Commissione dottrinale, per quanto è di sua competenza».
Vorrei richiamare inoltre due aspetti fondamentali per il nostro essere ecclesiale: il nostro essere “comunione” e insieme “popolo di Dio”. Nulla come la communio, che identifica la Chiesa fin nelle sue radici, aiuta a comprendere la natura di questo popolo che tutti noi siamo. Anzi, il concetto di comunione, lungi dall’oscurare quello di popolo di Dio, mostra il volto autentico di questo popolo, che raccoglie in unità la legittima diversità. La parola comunione dice che la nostra unità non può fare a meno della ricchezza plurale, come ci richiama ormai da tempo Papa Francesco, a cui è cara la figura del poliedro, nel quale le tante facce si compongono in armoniosa unità. È per questo che un’azione ecclesiale fedele alla comunione, rispettosa della natura profonda del Popolo di Dio, non può che esprimersi in termini di sinergia. Sinergia significa forza di un’opera comune, un’opera che vive della ricchezza di tutti i doni che ciascuno apporta, una ricchezza convergente nell’unità.
Questa mi sembra infatti l’icona che meglio descrive ogni rapporto nella Chiesa e anche i rapporti fra la Congregazione per la Dottrina della Fede e le Commissioni. I compiti propositivi assegnati alle Commissioni dottrinali aprono un vasto campo per molteplici iniziative, che, se messe in atto, gioveranno all’intera Chiesa. Si può pensare alla divulgazione e al commento dei documenti del Magistero, alla preparazione di testi di valore scientifico e dottrinalmente sicuri, alla compilazione di una lista di libri approvati per l’insegnamento, alla stimolazione del lavoro teologico scientifico, coltivando a questo scopo mutue relazioni con i teologi e gli insegnanti delle università e dei seminari, o all’aiuto offerto ai singoli vescovi nel compito di seguire e discernere la produzione teologica del proprio territorio, indicando loro una lista di esperti per l’esame dei libri. Tutto ciò ha l’unico scopo di aiutare ciascun vescovo a esercitare, con maggiore efficacia, l’affascinante e oneroso compito di essere maestro della fede. Lasciamoci condurre sempre da Colui che è il nostro vero Maestro, Gesù Cristo, il «Testimone fedele e verace» (Apocalisse, 3, 14), Colui che suscita continuamente la nostra fede e la porta a compimento (cfr.  Ebrei, 12, 2), per il bene del gregge a noi affidato da Cristo, buon Pastore.
L'Osservatore Romano