sabato 14 marzo 2015

IV Domenica di Quaresima 2015

Nella quarta domenica di Quaresima la liturgia ci propone il Vangelo del colloquio tra Gesù e Nicodemo. Gesù dice:   
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”.
Se la Quaresima si fa lunga e ci siamo un po’ appesantiti nel combattimento penitenziale, la 4ª domenica “laetare”, cioè di gioia, di letizia, come la chiama la liturgia, viene a noi come una buona notizia: coraggio! Siamo giunti a metà del nostro cammino verso la Pasqua. Il dialogo tra Gesù e Nicodemo, che il Vangelo di oggi ci propone, ci rivela tutto l’amore che il Padre ha per noi e per il mondo. Nicodemo, un capo dei Giudei va da Gesù, di notte, a dirgli tutta la sua ammirazione, ma anche tutta la sua attesa per il Regno di Dio. Gesù lo investe con una parola grande che lo sconvolge: “Se uno non nasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio". Nicodemo è molto colpito dall’idea, ma chiede: “Come rinascere dall’acqua e dallo Spirito”? Si attende una risposta molto complessa. Gesù gli dice: Si tratta di “credere nel Figlio dell’uomo”, perché chiunque crede in lui ha la vita eterna. Così come Mosè ha innalzato il serpente di bronzo nel deserto, dando la vita a chi era morso dai serpenti, ora si tratta di alzare gli occhi e di fissarli nel Figlio dell’uomo, nella luce che il Padre ha mandato per l’uomo. Si tratta di credere! Ma cosa significa “credere”? Che cos’è la fede? La fede è un dono di Dio, un dono con cui aderiamo a Dio e a ciò che lui ha rivelato; è un atto con cui ci affidiamo interamente al suo amore, ci dice il Catechismo (cf CCC 150), con cui ci lasciamo guidare dalla sua luce. Risvegliamo oggi, giorno del Signore, la gioia della fede, la festa del nostro Battesimo, nella comunione dei fratelli, attorno alla mensa del Signore. (Pasotti)
*
Dal Secondo libro delle Cronache 36,14-16.19-23. 
Anche tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato in Gerusalemme. 
Il Signore Dio dei loro padri mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché amava il suo popolo e la sua dimora. 
Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l'ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. 
Quindi incendiarono il tempio, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutte le sue case più eleganti. 
Il re deportò in Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all'avvento del regno persiano, 
attuandosi così la parola del Signore, predetta per bocca di Geremia: "Finché il paese non abbia scontato i suoi sabati, esso riposerà per tutto il tempo nella desolazione fino al compiersi di settanta anni". 
Nell'anno primo di Ciro, re di Persia, a compimento della parola del Signore predetta per bocca di Geremia, il Signore suscitò lo spirito di Ciro re di Persia, che fece proclamare per tutto il regno, a voce e per iscritto: 
"Dice Ciro re di Persia: Il Signore, Dio dei cieli, mi ha consegnato tutti i regni della terra. Egli mi ha comandato di costruirgli un tempio in Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il suo Dio sia con lui e parta!". 



Salmi 137(136),1-2.3.4-5.6. 
Sui fiumi di Babilonia, 
là sedevamo piangendo 
al ricordo di Sion. 
Ai salici di quella terra 

appendemmo le nostre cetre. 
Là ci chiedevano parole di canto 
coloro che ci avevano deportato, 
canzoni di gioia, i nostri oppressori: 

"Cantateci i canti di Sion!". 
Come cantare i canti del Signore 
in terra straniera? 
Se ti dimentico, Gerusalemme, 

si paralizzi la mia destra; 
mi si attacchi la lingua al palato, 
se lascio cadere il tuo ricordo, 
se non metto Gerusalemme 

al di sopra di ogni mia gioia. 



Dalla Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 2,4-10. 
Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, 
da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati. 
Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù, 
per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. 
Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; 
né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. 
Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo. 



Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 3,14-21. 
E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, 
perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». 
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 
Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. 
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è gia stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio». 
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. 
Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. 
Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio». 
*

Commento

In mezzo a tante chiacchiere sulla moralità e la giustizia, il Vangelo di oggi ci inchioda tutti alla verità: le nostre opere "in chi" sono fatte? Nel Vangelo di Giovanni fede e opere quasi coincidono: l’opera per eccellenza, infatti, è credere. E’ l’opera "fatta in Dio", che spalanca le porte della vita alla luce. Credere è appoggiarsi, credere è rimanere nel Signore. Tutto nel Vangelo di Giovanni conduce a una relazione di intimità con Gesù. Vedere è credere, e credere è essere uniti profondamente e indissolubilmente a Lui.

Credere in Cristo coincide con l'essere in Lui. In Giovanni non v’è nulla di gnostico, intellettuale o ideale. Giovanni è concretissimo, nelle note storiche di cui si serve per il suo vangelo, come nel mostrare la relazione di Gesù con i suoi discepoli. Il discepolo amato appare come colui che riposa sul petto di Gesù, e ne percepisce i sentimenti più profondi sino ad identificarvisi.

E credere significa anche vedere Gesù dove non lo si vede più nella carne, nei momenti bui dell’esistenza, dove neanche un briciolo di sentimento può consolare. Nella solitudine della notte, dove ragione e sentire non rispondono all’appello, camminare illuminati dalla sola fede, dall’intimità che supera ogni barriera, come una madre che ha il figlio in guerra e non sa se sia vivo oppure no, che non riceve lettere e notizie, ma che non per questo smette di amarlo, anzi, nella totale incertezza, nella precarietà che fagocita tutto, l’amore si moltiplica a dismisura rompendo gli argini del tempo e dello spazio. 

Questo amore è, per Giovanni, la fede. Esso sgorga dal cuore di Dio rivelato nel dono del suo unigenito Figlio. L’amore di Dio che cerca ogni uomo per attirarlo a sé attraverso la Croce innalzata di Gesù. Guardare Cristo crocifisso, fissare quell’amore trafitto dai miei peccati, restarne coinvolto perché Lui si è legato a me al punto di farsi peccato; guardare Cristo crocifisso e vedere l’amore di Dio per me: questa è la fede.

Credere che l’amore che ho sempre sperato è possibile, è ora qui davanti ai miei occhi. Ma che significa questo concretamente? Significa che proprio attraverso i miei peccati posso, oggi, incontrare Cristo. Sono in esilio, deportato a causa della mia banale superficialità. Ho “sbeffeggiato” tante volte “i messaggeri” mandati “premurosamente” da Dio per chiamarmi a conversione annunciandomi che Lui “ama il suo popolo e la sua dimora”.

I nostri peccati hanno distrutto il suo “Tempio”, è la verità. Il matrimonio? Il rapporto con i figli? La comunità cristiana dove camminiamo? La missione? Frantumati dal nostro orgoglio, lo stesso del popolo nel deserto. E ora ecco i “serpenti” attaccarci e toglierci la vita. Ci mordono e non possiamo farci nulla. Potevamo vivere felici obbedendo alla volontà di Dio e ora eccoci preda della superbia. E ci va tutto male.

E’ così? Allora questa IV domenica di Quaresima è per te e per me! Viene a noi Ciro, un re pagano, un evento che non potremmo immaginare come un segno della misericordia di Dio. Eppure proprio quello che ci sta uccidendo può aprirci gli occhi per implorare misericordia. Gesù si è fatto serpente per noi. E’ entrato nel peccato e nella morte perché in essi potessimo incontrare il suo amore.

Davvero è un “troppo amore” come il greco originale del brano di San Paolo suggerisce. Non possiamo nulla se non accogliere la misericordia che oggi la Chiesa ci annuncia! Dalla debolezza non si guarisce, ci umilierà sempre perché impariamo ad alzare lo sguardo del cuore verso la Grazia che, sola, può salvarci.

E’ inutile, la salvezza del nostro matrimonio, la castità e la riconciliazione con il fratello, la libertà dal denaro e dagli idoli “non vengono da noi” ma è un “dono di Dio”. E neanche dalle “nostre opere”, da quelle fatte “in noi”, perché altrimenti continueremmo a vantarcene, precipitando così all’inferno.

La Quaresima ci aiuta ad accettare noi stessi e ad abbandonarci a Cristo. “Bisogna che sia innalzato” ogni giorno davanti a noi, per aiutarci ad umiliarci e così “credere in Lui” per non morire. E come è “innalzato”? Nella predicazione, nei sacramenti e nei fratelli.

"Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio" significa infatti che Dio ti ha tanto amato da dare a te suo Figlio incarnato in ogni fratello, anche nel nemico. Anche nel marito insopportabile, anche nella moglie che non te ne fa passare una, anche nel figlio distratto e infantile anche nelle persone che ti rubano l'onore, che ti calunniano, che non ti accettano.

Dio ti ama tanto da darti suo Figlio ogni istante, in ogni evento, in ogni persona. Credere questo significa non morire nelle relazioni, nelle difficoltà, ma avere già oggi la vita eterna. Ma come posso credere questo se l'evidenza mi dice il contrario? Se i peccati dell'altro mi stanno dinanzi e tutto sembra meno che Gesù Cristo, tutto mi fa pensare meno che all'amore di Dio?

E' possibile solo per chi rinasce dall'alto, ovvero per chi ha sperimentato di essere stato guardato dall'alto, dagli occhi celesti e misericordiosi di Dio. La carne può solo giudicare secondo la carne, e non c'è posto per la fede.

Ma chi è rinato in Cristo è “un’opera di Dio creata in Cristo per camminare nelle opere che Dio ha predisposto per essere praticate”. Le opere “in Cristo”, opere irradianti luce nelle tenebre, “per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua Grazia”.

Allora chi si converte davvero e “crede”, si arrende e appoggia in Cristo accettando la sua debolezza, inizia e compie la missione che gli è affidata e per la quale è stato chiamato nella Chiesa. Sì, la missione è l’umiltà della conversione, un luogo che è tutti i luoghi, un tempo che è ogni tempo, l’amore di Dio che si dilata in chi lo accoglie senza guardare a se stesso.

Un cristiano che fissa Cristo sta salvando il mondo. Un cristiano che si umilia è “innalzato” con Cristo e “attirato a sé” sulla Croce, dove trascina anche chi gli è accanto. Che mistero la Chiesa nel mondo! Che mistero la tua vita! Ti converti e salvi un’infinità di persone…

Chi ha accolto lo sguardo di Dio che cercava la sua opera in mezzo ai peccati, può incontrare e accogliere in chiunque il Figlio donato per amore. Credere è, dunque, lasciarmi amare e perdonare. Credere è smettere di discutere, giustificarmi, scappare nelle tenebre per contraffare le opere malvagie, alla ricerca di rifugi ipocriti e alienanti.

"Chi non crede, infatti, è già condannato" a cercare vita in cisterne screpolate e senz'acqua, obbligato a darsi sempre più piacere, a soddisfare parossisticamente esigenze vecchie e nuove, perché il male non sazia mai, affama sino a uccidere. Chi rifiuta Cristo è "già" nell'inferno e "rimane nelle tenebre" che lo allontanano da Dio e dal fratello. 

Ma no, coraggio, possiamo credere, perché nella Chiesa possiamo crescere nella “fede” che ci “salva”, imparando ad abbandonare ogni pretesa di autosufficienza e autogiustificazione per lasciarci giudicare dal "giudizio" di Dio, la "luce" che "viene nel mondo" per diffondere la sua misericordia. Credere è possibile solo dove l'amore consente alle persone di uscire allo scoperto senza timore, a "svelare le sue opere", proprio quelle "malvagie"; credere è possibile nella Chiesa che è il corpo di Cristo dove possiamo "venire alla luce" anche se le nostre azioni sono corrotte, perché in essa si posa lo sguardo di Gesù che ci vede addormentati, mai morti.

Nella Chiesa possiamo imparare a "preferire" la luce alle tenebre, consegnando le opere malvagie alla misericordia di Dio. Nella comunità possiamo "venire fuori" come Lazzaro dal sepolcro, chiamati da Gesù che è venuto per amarci e non per condannarci.

Una famiglia che ha fede è un luogo dove ciascuno può "venire alla luce" per quello che è, senza dover sempre scappare nella notte, per paura delle proprie opere. Dove si posa lo sguardo di Gesù un padre guarda oltre l'apparenza il proprio figlio, non lo giudica, ma ama in Lui Cristo, già all'opera per liberarlo dal peccato.

"Venire alla luce" e operare la "verità" è il primo passo nella conversione: anche se ci sono crisi e scontri, liti e problemi, tutto viene estratto dal buio della menzogna per risplendere alla luce della Verità. Se abbiamo fede guardiamo agli altri cercando l'opera di Dio e non l'opera, fragile e corruttibile, dell'uomo

Questa è l'opera "fatta in Dio", che viene alla luce, e brilla più forte di ogni peccato. Non c'è più giudizio e condanna, ma solo amore gratuito, nei riguardi di ogni parola e gesto di chi ci è accanto! Che famiglie, che matrimoni, che fidanzamenti, che amicizie quando si cammina insieme nella Chiesa che ci gesta alla fede…

Lasciamoci allora abbracciare da Gesù, così come siamo, fissiamo il suo sguardo che non ci giudica, che desidera solo di farci una cosa con Lui e trasformare la nostra condanna in assoluzione, la morte in vita. Desidera la nostra felicità, essere in Lui e Lui in noi, rimanere da ora e per l’eternità nel suo amore.

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La Croce dà vita nella gioia

Lectio Divina per la IV Domenica di Quaresima 2015


Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente lectio divina sulle letture liturgiche della IV Domenica di Quaresima (Anno B), 15 marzo 2015.
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Rito Romano
2Cr 36,14-16.19-23; Sal 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21
Rito Ambrosiano – IV Domenica di Quaresima – “del Cieco”
Es 33, 7-11a; Sal 35; 1Tes 4,1b-12; Gv 9,1-38b
1) Nicodemo, un cercatore della vita.
Nella quarta domenica di quaresima il Vangelo di Giovanni ci offre un piccolo brano del discorso[1] di Gesù dopo l’incontro con Nicodemo[2]. Quindi – anche se brevemente - è utile spiegare cosa accadde la notte in cui questo Capo dei Giudei si recò dal Messia.
Quest’uomo, pauroso perché va da Cristo di notte, ma sufficientemente coraggio da andarci comunque, è l’uomo che ha l’intelligenza e l’apertura del cuore tali da non chiudersi di fronte alla verità.
Questo fariseo e gli altri capi avevano chiesto dei segni e li avevano visti. Adesso sa che può fidarsi di Gesù: “Sappiamo che sei venuto da Dio come maestro”. E Gesù sa che è aperto ad accogliere la Verità, alla quale il suo cuore aspira ma a cui l’uomo da solo non può arrivare.
Nicodemo, come molti altri, aveva visto dei segni, ma non gli bastavano. Voleva vedere il Regno di Dio. E Gesù gli dice: “Occorre nascere dall’alto”.
Probabilmente, questo fariseo voleva migliorare la vita e Cristo gli rispose che occorreva che nascesse a nuova vita. Nicodemo capì che Gesù non parlava semplicemente di una rinascita simbolica, morale, ma di una “vera” rinascita e fece la domanda più difficile: “Come può avvenire questa nuova nascita? Può forse un uomo adulto rientrare nel grembo di sua madre?”. Insomma, come è possibile rinascere davvero? Gesù rispose: “In verità, in verità ti dico: Se uno non è nato dall'acqua e dallo Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Al di là di ogni interpretazione data da esegeti, esperti di Bibbia antichi e moderni, io credo che Nicodemo non capì un gran che, ma comprese che Gesù gli diceva: “Vieni e vedi”, “seguimi e vedrai”. E seguì Cristo fedelmente tant’e che il Vangelo parla di lui come protagonista di altre due notti:
1- “Uno di loro, Nicodemo, quello che era andato precedentemente da lui, dice loro: ‘Giudica forse la nostra legge qualcuno senza che prima lo si ascolti, in modo che si sappia che cosa fa?’. Gli risposero: ‘Sei forse anche tu della Galilea? Studia a fondo e vedrai che il profeta non sorge dalla Galilea’". (Gv 7, 50-52)
2- “...Venne anche Nicodemo, il quale già prima era andato da lui di notte, portando una mistura di mirra e di aloe di circa 100 libbre. Presero dunque il corpo di Gesù e lo avvolsero con bende assieme agli aromi, secondo l'usanza di seppellire dei giudei”. (Gv 19, 39-40).
La prima cosa da fare per avere una vita vera e duratura non è lo studio per cambiare e fare meglio le proprie azioni, non è l’analisi psicologica, non è un programma spirituale, non è qualcosa che dobbiamo fare noi, ma è ricevere il dono dello Spirito, quindi la prima cosa che dobbiamo fare noi è la preghiera, cioè il chiedere questo, è il chiedere che avvenga questa conversione “spirituale” in noi, anche se non comprendiamo cosa vuol dire questa conversione, che Cristo indica come nascita alla vita nuova, quindi eterna (L’espressione “vita eterna”, infatti, designa il dono divino concesso all’umanità: la comunione con Dio in questo mondo e la sua pienezza in quello futuro).
La vita eterna ci è stata aperta dalla morte e risurrezione di Cristo e la fede è la via per raggiungerla. E’ quanto emerge dalle parole rivolte da Gesù a Nicodemo e riportate dall’evangelista Giovanni: «E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,14-15)[3].
2) La Croce della Vita e della Luce.
Oggi come allora, San Giovanni evangelista ci ricorda che il solo “segno” è Gesù innalzato sulla croce: Gesù morto e risorto è il segno assolutamente sufficiente. In Lui possiamo comprendere la verità della vita e ottenere la salvezza. E’ questo l’annuncio centrale della Chiesa, che resta immutato nei secoli. La fede cristiana pertanto non è ideologia, ma incontro personale con Cristo crocifisso e risorto.
Quindi accettando la Croce, quella di ogni giorno contro la quale lottiamo credendo di far cosa giusta, saggia e ragionevole, diciamo di sì all'irruzione dello Spirito che ci fa nascere a nuova vita. “La Croce stravolge il piatto e incolore incedere del mondo incatenato alla carne. La Croce strappa dalle abitudini radicate, impermeabili alla novità sconvolgente di Dio. La Croce innalza sino al cuore di Dio, al suo amore. La Croce catapulta le nostre esistenze alla destra di Dio”. (Benedetto XVI)
La Croce irradia luce, perché parla d’amore e l’amore parla di risurrezione e genera santi. Il mosaico della Croce che si trova nell’abside della Chiesa di San Clemente a Roma, lo mostra bene. Cristo è sulla croce nera, legno morto, che ha inscritto su di se anche dodici colombe, gli apostoli. Dal legno nero, sputano molti rami verdi che hanno come fiori i santi, cioè le persone che hanno dato la vita per Cristo ed hanno ricevuto la Vita da Cristo. Con Lui ci sono di esempio e mostrano che colui o colei che ama diventa per gli altri presenza di luce.
Vivere la croce è dare alla luce. Come non pensare al Signore crocifisso che mentre tutto è compiuto (Gv 19,30) inonda d’amore chi è sotto il patibolo donando a una madre il figlio e al figlio una madre, per sempre? Morente sulla Croce, Gesù affidò Giovanni alla sua mamma, dicendo: “Donna, ecco tuo figlio” (cf. Gv 19, 26). Se Egli non la chiamò col dolce nome di Madre, fu perché era arrivata per lei l’ora - come arriva per le anime che progrediscono nell’amore – di affidarle un’altra maternità. La maternità spirituale sulle anime; quella maternità che il Salvatore aveva promesso di concedere a tutti quelli che avessero fatto la sua divina volontà: “Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre” (cf. Mt 12, 50). Elevò così, in certo modo, questa maternità spirituale di cui stiamo parlando, alla stessa altezza dell’altissimo privilegio della maternità divina.
Di questa maternità spirituale sono particolare esempio le Vergini consacrate nel mondo.
In effetti, l’impegno verginale è destinato, secondo il disegno divino, a suscitare una fecondità spirituale. Nella Vergine Maria, questa verità appare nella maniera più manifesta, per il fatto che la Vergine diventa Madre di Dio, e che questa maternità si prolungherà con una maternità universale nell'ordine della grazia. Nelle Vergini che seguono la via aperta da Maria, l’amore verginale votato a Cristo è fonte di maternità spirituale.
La vergine che dona tutto il suo cuore a Cristo rinuncia a uno sposo umano per prendere direttamente il Signore come sposo. Nel matrimonio vi è l’attuazione delle nozze di Cristo e della Chiesa, come dice san Paolo (Ef 5,28). Nella verginità questa attuazione è più totale, perché solo Cristo diventa lo Sposo, Cristo raggiunge così la sua più grande profondità. La qualità di sposa di Cristo dà alla personalità della donna consacrata un notevole sviluppo affettivo. Essa mostra l’aspetto positivo della verginità, perché è completa ed esclusiva appartenenza a Cristo. Con la consacrazione ciascuna di loro è come se avesse detto: “Tutto sei per me. Io sono tutto per te”. Queste donne testimoniano che siamo stati creati per una libertà che ama dire sì. Ogni nostro amore rimanda a un amore originario. L’amore è un dono che ci fa assomigliare a Dio. L’amata diventa l’Amante e dà (al)la luce. Nel dire sì a Cristo come sposo, la Vergine Consacrata ha testimonia che Cristo “è per lei Tutto e tutte le cose” e che “il suo cuore non si soddisfa con meno di Dio” (S. Giovanni della Croce). Ma così l’anima innamorata si trova ad assumere la forma dello Sposo che, per nostro amore, si lasciò “vendere come schiavo di tutto il mondo” (S. Teresa d'Avila). Essa si protende allora verso i suoi fratelli bisognosi di salvezza. L'intimità con Dio che non genera missionarietà è narcisismo e illusione spirituale. La missionarietà che non nasce dall’intimità e non la approfondisce è sterile dispersione. Intimità e missionarietà assieme sono fonte di immensa fecondità spirituale.
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NOTE
[1] “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio». (Gv 3,14-21)
[2] “C ‘era tra i farisei un uomo di nome Nicodemo, un capo dei giudei. Questi venne da lui di notte e gli disse: "Rabbì, noi sappiamo che sei venuto da Dio come maestro. Nessuno infatti può fare questi segni che tu fai se Dio non è con lui". Rispose Gesù: "In verità, in verità ti dico: Se uno non è nato dall'alto, non può vedere il regno di Dio". Gli  dice  Nicodemo: "Come può un uomo nascere se è vecchio?  Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e nascere?". Gesù rispose: "In verità, in verità ti dico: Se uno non è nato dall'acqua e dallo Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Il nato dalla carne è carne e il nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti che ti abbia detto: Voi dovete nascere dall'alto. Il vento soffia dove vuole e senti il suo sibilo, ma non sai donde viene né dove va. Così è chiunque è nato dallo Spirito". "Come possono avvenire questi fatti?" - riprese Nicodemo. Rispose Gesù: "Tu sei maestro in Israele e non conosci queste cose? In verità, in verità ti dico: Noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo visto e voi non accogliete la nostra testimonianza. Se non credete, quando vi ho detto cose terrene, come crederete qualora vi dica cose celesti? E nessuno è salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo, che è in cielo.” (Gv 3, 1- 13)
[3] Qui vi è l’esplicito riferimento all’episodio narrato nel libro dei Numeri (21,1-9), che mette in risalto la forza salvifica della fede nella parola divina. Durante l’esodo, il popolo ebreo si era ribellato a Mosè e a Dio, e venne punito con la piaga dei serpenti velenosi. Mosè chiese perdono, e Dio, accettando il pentimento degli Israeliti, gli ordina: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque dopo esser stato morso lo guarderà, resterà in vita». E così avvenne.