mercoledì 6 aprile 2016

Presentazione del VII Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân



Presentazione del VII Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân. Roma, aula Marconi della Radio Vaticana, 6 aprile 2016


Arcivescovo Giampaolo Crepaldi

Guerre di religione, guerra alla religione

Presentazione del VII Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo
dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân
(Cantagalli, Siena 2016)
Roma, aula Marconi della Radio Vaticana, 6 aprile 2016

Il Rapporto dell’Osservatorio, giunto alla settima edizione, quest’anno ha per titolo “Guerre di religione, guerra alla religione”. Il Rapporto informa su come va la Dottrina sociale della Chiesa nei cinque continenti e quindi è una miniera di varie notizie. Però ogni anno si concentra su un tema particolare, un tema che caratterizza il momento presente. Le guerre alla religione e la guerra alla religione, secondo noi, caratterizzano il momento presente. Avremmo voluto essere smentiti dai datti. Avremmo voluto aver sbagliato titolo. Ma i gravissimi attentati di Bruxelles hanno – purtroppo! – confermato che avevamo visto giusto. Non è una conferma gradita. Ma la realtà si impone con una sua propria forza.
La tesi centrale del Rapporto può essere così riassunta: L’Europa ha un’intrinseca debolezza che la rende incapace di vedere la sfida in atto. Questa sua debolezza nei confronti del problema delle nuove guerre di religione deriva dall’aver dichiarato guerra alla religione e alla religione cristiana in particolare. Ho così anticipato il nucleo centrale del Rapporto, su cui tornerò in seguito. Non dopo avere richiamato due fatti simbolicamente  significativi. Fatti di piccola entità – intendiamoci – ma, ripeto, due fatti che indicano bene le incertezze del momento.
Proprio nei giorni dell’attentato, il ministro belga della pubblica istruzione – la signora Joëlle Milquet -  ha affermato che in Belgio non sarà possibile esentare i figli dalla frequenza alla scuola pubblica per motivi religiosi. Qualcuno poteva vedere in questo provvedimento la volontà di provvedere ad una integrazione delle varie religioni dentro gli spazi pubblici della scuola. Invece l’intento della signora Milquet era di impedire le scuole parentali cui si stanno rivolgendo i cattolici e ribadire nel contempo l’ideale della laicità di Stato che il Belgio sta realizzando secondo le categorie giacobine della Francia. Avendo alla base questa idea ideologica di laicità e proseguendo sulla strada di questa avversione al cristianesimo, nella fretta di liberarsi del proprio passato cristiano, dove troverà il Belgio la forza morale e spirituale per fronteggiare la violenza a sfondo religioso che nasce nelle sue stesse città e tra gli abitanti dei suoi quartieri islamizzati, dove le leggi dello Stato sono come sospese?
Il secondo esempio riguarda il mondo cattolico belga. In segno di lutto e cordoglio per le vittime, l’Università di Lovanio ha fatto suonare alle proprie campane il motivo della canzone “Imagine” di John Lennon. Ricordo che l’Università cattolica di Lovanio è stata un mirabile centro di alta cultura, al centro di grandi controversie intellettuali ma certamente un luogo di propulsione per la spiritualità e la cultura cattolica non solo del Belgio ma dell’intero continente. Ma, a quanto sembra, questa cultura si è molto laicizzata e di fronte al terrorismo di matrice islamica ci si esprime con le parole e le note dei Beatles.
Si tratta, come dicevo, di due micro-fatti a cui non dare troppa importanza. Ma spesso sono proprio i piccoli atteggiamenti, i lapsus, i tic a rivelare una temperie storica e culturale meglio che non i grandi trattati di sociologia. Del resto, i due fatti ora ricordati chiamano in causa non solo la politica belga ma anche la religione cattolica. Abbiamo rispettato così la par condicio, nel senso che le incertezze sono in ambedue i fronti.
Gli attentati di Bruxelles, come del resto quelli a Charlie Hebdo del gennaio 2015 o quelli al Bataclan a Parigi nel novembre dello stesso anno, richiedono più attenti interventi di intelligence ma non si risolveranno con gli interventi di intelligence. Si risolvono, come è stato detto, con l’integrazione? Il governo italiano ha detto che la cosa da fare per fronteggiare questi episodi è costruire più moschee e un famoso uomo politico ha aggiunto che bisognerebbe finanziarle con l’otto per mille. Ma il Belgio ha un’altissima densità di moschee, a Bruxelles ci sono interi quartieri islamizzati e l’Islam è la prima religione del Paese.
D’altro canto, cosa intende l’Europa per integrazione? Le incertezze concettuali su questo punto e la debolezza morale per perseguirlo di fatto ci paralizzano, obbligandoci a rincorrere l’agenda disposta da altri. Il multiculturalismo è fallito[1], ma noi continuiamo a riproporlo senza fare un passo in avanti.
Possiamo a questo punto tornare alla tesi del Rapporto che ho sinteticamente enunciato all’inizio. L’Europa, e il Belgio in particolare, ha condotto e sta conducendo una guerra contro la religione, e la religione cattolica in particolare. Questa estromissione sistematica di Dio dalla pubblica piazza ha però anche secolarizzato l’etica sociale e i valori, a cominciare da quelli della vita e della famiglia, che fino a qualche decennio fa erano condivisi e garantivano la tenuta morale del sistema comunitario. La guerra contro il cristianesimo è stata anche la guerra contro l’etica naturale come fondamento laico della vita civile. Oggi si parla di rivedere il trattato di Schengen. Si temono le fessure nei confini geopolitici, mentre si sono aperte tante fessure nei confini dell’anima, lasciandovi entrare di tutto. Una società che ormai crede a ben poco oltre ad una astratta libertà vuota di contenuti, cosa ha da proporre ai nuovi arrivati per integrarli? Integrarli in cosa? Qual è la nostra proposta di convivenza? La proposta europea?
L’Europa non è in grado di difendere i cristiani perseguitati nel mondo, tollera la loro persecuzione anche tra i propri confini, come testimoniano i Rapporti delle diverse agenzie che studiano il fenomeno, e spesso l’intolleranza verso i cristiani è istituzionale. L’Europa non è in grado di selezionare gli ingressi perché non ha criteri di selezione. Esiste il diritto di non esser invasi, come esiste il dovere di accogliere, ma per far valere il diritto a non essere invasi bisogna sapere di essere qualcosa e qualcuno. L’Europa lo sa ancora?
Vengono in mente due famosi interventi di Benedetto XVI che, a distanza di anni e alla luce degli avvenimenti successivi, aumentano la loro capacità di parlarci dell’oggi.
Mi sono appena chiesto se l’Europa sa ancora cosa è e cosa deve essere. Ebbene, il cardinale Joseph Ratzinger pronunciò su questo parole lucide e impietose. Parlò di “autodistruzione della coscienza europea”, disse che “l’Occidente tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso” e sostenne che la multiculturalità, a cui noi possiamo aggiungere la multireligiosità, è talvolta soprattutto “abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie” e “dal rispetto di ciò che è sacro”[2].
L’altro intervento di Benedetto XVI, che sta svelando una capacità orientativa sorprendente, è il famoso discorso di Ratisbona del settembre 2006[3]. Era stato subito interpretato come un discorso sul dialogo interreligioso, ed invece conteneva delle indicazioni strategiche per la politica[4]. La famosa espressione “Non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio” dovrebbe esser tenuta presente anche dalla politica, dalla politica degli Stati europei e dalla politica delle istituzioni dell’Unione europea. Essa significa che la politica non può esimersi dal valutare la verità delle religioni, anziché considerarle tutte uguali perché tutte prive di verità come invece sta facendo ora. Solo così l’Europa potrà selezionare gli ingressi – fatte salve le esigenze del diritto umanitario, naturalmente –; potrà evitare il multiculturalismo a macchia di leopardo ossia la balcanizzazione dell’Europa fatta di enclave religioso-politiche che si autogovernano; potrà evitare di rinunciare a parti essenziali della propria civiltà, come per esempio la propria civiltà giuridica per fare indebitamente spazio a tradizioni giuridiche non conformi a ragione; potrà porre dei limiti non convenzionali ma sostanziali al diritto alla libertà di religione; potrà chiedere parità di trattamento per i cristiani a livello internazionale; potrà evitare di fare dei propri quartieri metropolitani terreno di formazione e reclutamento per il terrorismo jihadista. Come si vede il nesso tra le guerre di religione e la guerra alla religione è molto stretto. La brutta figura che l’Occidente sta facendo in Siria e riguardo all’Isis non è priva di legami con quell’odio di sé e delle proprie radici cristiane di cui parlava Ratzinger.
E così, concludendo, tocco il punto decisivo. A Ratisbona Benedetto XVI ha invitato la politica a porsi responsabilmente davanti al problema della verità delle religioni. Ma potrà farlo una politica che ha dichiarato guerra al cristianesimo, ossia alla propria religione?

[1] Cf per esempio: Walter Laqueur, Gli ultimi giorni dell'Europa. Epitaffio per un vecchio continente, Marsilio, Venezia 2008.
[2] J. Ratzinger, Europa, suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani, in M. Pera -  J. Ratzinger, Senza radici. Europa relativismo cristianesimo Islam,  Mondadori, Milano 2004, pp. 66, 70, 71 rispettivamente.
[3] Benedetto XVI, Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni, 12 settembre 2006.
[4] Cf G. Crepaldi, Il posto di Dio nel mondo nel pensiero di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Postfazione a Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Il posto di Dio nel mondo. Potere politica legge, a cura di Stefano Fontana, Cantagalli, Siena 2013, pp. 225-257.

http://www.vanthuanobservatory.org/