sabato 6 luglio 2013

L'amore è la via



Commenti alla «Lumen fidei» sulla stampa internazionale. L’abbraccio per quanti cercano

«Siamo testimoni di una straordinaria collaborazione che è insieme il testamento di Benedetto e il saluto inaugurale di Francesco» scrive Robert P. Imbelli nel dossier pubblicato dalla rivista «America» all’indomani dell’uscita della Lumen fidei. «Radicata nella terra del mistero pasquale di Cristo — prosegue il teologo del Boston College commentando l’enciclica — la fede non nega né ignora le sofferenze del mondo, ma vuole invece portare speranza e amore, specialmente ai bisognosi e agli abbandonati».
Sono diversi i commenti alla Lumen fidei che rimarcano il suo essere indirizzata, oltre che ai cattolici e ai cristiani in genere, anche a quanti sono in cerca, ai dubbiosi, agli agnostici e agli atei. «Il gentile invito di Francesco a coloro che cercano» definisce (sempre su «America») la lettera enciclica James Martin. Che aggiunge: «A quanti temono che convertendosi dovranno rinunciare a usare la loro intelligenza», la Lumen fidei ribadisce invece con forza «il valore di un percorso anche intellettuale».
L’apertura del testo è colta da molti commentatori. Scrive ad esempio Demetrio Fernández, vescovo di Córdoba sul quotidiano spagnolo «La Razón», che la Lumen fidei entra nel merito del dialogo con la cultura atea contemporanea — che considera la fede come una menomazione della ragione e un oscurantismo — per aprire lo sguardo al mistero della vita che solo nella fede incontra risposta. «La fede — continua Fernández — non è una luce illusoria, ma una luce sovrabbondante che spinge la ragione a raggiungere nuove mete. Amare rende capaci di accedere alla verità, secondo la più pura tradizione agostiniana». Francisco firma, Benedicto XVI confirma, scrive José Beltrán sullo stesso giornale, giocando sull’assonanza delle parole.
L’enciclica è anche — dice la storica ebrea Anna Foa al notiziario quotidiano dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane «l’Unione informa» — «un testo ricco di addentellati ebraici e, almeno a una prima lettura, senza formulazioni relative alla cosiddetta Teoria della sostituzione dell’Antico Testamento. A colpirmi — afferma ancora Foa — il passaggio in cui si parla di fede come memoria del futuro. E ancora, estremamente significativi i riferimenti al pensiero del filosofo ebreo Martin Buber per spiegare il concetto di idolatria e al concilio Vaticano II come momento di svolta nel dialogo e nella reciproca comprensione». Alla luce delle importanti considerazioni contenute, il suo auspicio è dunque che «le encicliche papali diventino oggetto di sempre maggior studio e attenzione all’interno dello stesso mondo ebraico».
Come ogni testo della storia umana capace di dire realmente qualcosa (a prescindere dalla sua natura e provenienza), anche la Lumen fidei colpisce ogni singolo lettore per gli aspetti che più lo coinvolgono. E se alcuni si sono soffermati sui passaggi che chiamano in causa la scienza, tanti rimarcano invece il rapporto tra verità e amore. «Essendo la fede strettamente connessa con l’amore, non può essere imposta con la violenza, non può essere una verità che schiaccia il singolo, non sarà fede intransigente e neppure arrogante, ma umile — scrive ad esempio Enzo Bianchi sul quotidiano italiano “Avvenire” —. La verità, infatti, non sarà mai posseduta da qualcuno, ma sempre ci possederà e ci precederà, perché la verità è una persona, Gesù Cristo».
Nel suo editoriale pubblicato sul quotidiano francese «la Croix», Dominique Greiner rileva che l’enciclica nasce da uno stesso sguardo sul mondo attuale, un mondo in crisi che cammina nella notte senza direzione, incapace di distinguere il bene dal male perché ha rinunciato alla possibilità stessa di cercare la verità. Per Benedetto XVI e Francesco la fede è una luce per le nostre tenebre, un bene comune, che dà luce a ogni uomo, non solo all’interno della Chiesa, e serve a costruire la società: l’uomo si illude di conoscere se stesso stando lontano da Dio, e si rifiuta di riconoscere Chi lo precede, Chi gli ha donato la vita. La trasmissione della fede risponde dunque a un bisogno fondamentale, fare il bene dell’uomo. I cristiani devono essere i primi a esserne convinti, e per questo devono continuare ad approfondire la loro fede. L’enciclica insiste sulla dimensione comunitaria, liturgica e sacramentale della vita cristiana che trasforma interiormente i fedeli. Offrendo a tutti gli strumenti per avvicinarsi a Dio testimonieranno che accedere alla fede è davvero un bene per tutti, un bene comune.
«L’Enciclica si conclude con un’icona semplice e luminosa: quella di Maria, la vergine dell’ascolto, la madre dell’amore, la donna della fede — scrive quindi il teologo Bruno Forte nell’introduzione al commento alla Lumen fidei (in uscita per i tipi dell’Editrice La Scuola) —. Nella pienezza dei tempi, la Parola di Dio si è rivolta a Maria, ed ella l’ha accolta con tutto il suo essere, nel suo cuore, perché in lei prendesse carne e nascesse come luce per gli uomini (n. 58). Il pellegrinaggio della fede di Lei è modello e tipo di quello di ogni credente e di tutta la comunità ecclesiale. Alla Sua intercessione Papa Francesco affida perciò con una preghiera finale il cammino di fede di ciascun battezzato e dell’intero popolo di Dio. Un’icona semplice e densa, quella di Maria, la credente, un denso compendio di tutto ciò che l’Enciclica ha voluto dire. Proprio così una conclusione bella e adatta a un testo al tempo stesso semplice e profondo, organico nel suo sviluppo e attento alla complessità degli aspetti dell’esperienza più ricca e umanizzante che si possa pensare: quella di credere nel Dio Trinità Santa, di giocare la vita sul Suo amore e di sapere che proprio così essa non è meno ma più bella, non meno, ma più umana, non meno, ma più autenticamente vissuta al servizio di tutti, per il bene di tutti, per la gloria dell’Eterno».
L'Osservatore Romano
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Avvenire, 6 luglio 2013
di ENZO BIANCHI
È altamente significativo che papa Francesco abbia voluto accogliere l’eredità di un’enciclica di Benedetto XVI e l’abbia promulgata aggiungendo al testo nuovi contenuti. Non è la prima volta che questo accade nella chiesa, e tuttavia questa enciclica è capace di testimoniare la continuità dell’azione di confermare nella fede i fratelli da parte del successore di Pietro e, nello stesso tempo, di dare un segno della fraternità tra il vescovo di Roma emerito e quello attuale. 
Il tema dell’enciclica è la fede, e questa lettera non solo viene emanata nell’anno a essa dedicato, ma è anche il completamento dell’insegnamento di Benedetto XVI sulle virtù teologali, dopo le sue encicliche sulla carità e sulla speranza. Siamo in un’ora contrassegnata dalla crisi della fede: della fede in Dio, certamente, e dunque in colui che ha raccontato Dio, Gesù Cristo (cf. Gv 1,18); ma crisi anche dell’umanità della fede, della fede come atto umano, fede-fiducia come fondamento necessario per il cammino di umanizzazione. 
Papa Francesco ci offre un approfondimento della fede, ripercorrendo per noi la strada della storia di salvezza: la fede è quella che è apparsa tra gli uomini con Abramo, il padre dei credenti; è stata fede di Israele, il popolo di Dio; è stata fede compiuta in Gesù Cristo, “origine e compimento” della fede cristiana (cf. Eb 12,2). Questa fede, che resta un dono di Dio e nasce sempre dall’ascolto (cf. Rm 10,17), nell’uomo si fa esercizio e si coniuga in modo fecondo con l’intelligenza e la ragione umana, con il cuore stesso dell’uomo, ed è la vera luce per la conoscenza di Dio e della verità che è Gesù Cristo (cf. Gv 14,6), per quanto è possibile all’essere umano. Ma la fede vissuta, custodita e annunciata dalla chiesa è anche una fede che riguarda tutta l’umanità, è per il “bene comune” ed è capace di dare senso alla vita degli uomini e delle donne, vita fragile, votata alla morte, che nella fede diventa incontro con il Signore nella vita per sempre.

Se questa è la traccia dell’enciclica, occorrerebbe molto più spazio per mettere in luce i passaggi estremamente significativi e performanti delle parole di papa Francesco. Voglio però evidenziare almeno tre acquisizioni decisive. 
Innanzitutto l’affermazione forte secondo cui la fede non è lo spazio vietato alla ragione, non è un salto nel vuoto, non è un sentimento cieco e neppure un fatto soggettivo, una concezione individualistica. È vero che essa è sempre un dono, e di conseguenza un atto personale, ma è capace di rischiarare il cammino di ogni essere umano, di far comprendere la storia dell’uomo e dell’universo, di dare un senso al duro mestiere di vivere toccato in sorte all’uomo. 
Un’altra affermazione forte riguarda il contenuto di questa fede: è l’amore, o meglio, è il “Dio” che “è amore” (1Gv 4,8.16). Chi sono i cristiani? Quelli che “hanno creduto all’amore” (cf. 1Gv 4,16). E quando non si crede all’amore, si finisce per credere agli idoli, che sono un falso antropologico prima di essere un falso teologico. È l’idolatria il contrario della fede, è l’idolatria alienante che “chiede a un volto umano di piegarsi a un volto che non è un volto umano” (Martin Buber), bensì il volto di un signore-padrone che non permette né libertà né amore. 
Infine, proprio perché i cristiani sono stati definiti paradossalmente “i credenti” (At 2,44), essi confidano in Gesù Cristo, il Dio-uomo, affidabile perché fedele al Padre e all’uomo fino alla morte, fino a dare la propria vita per gli uomini, suoi fratelli e amici. La fede cristiana non può non essere amore per Gesù Cristo, perché “l’amore stesso è conoscenza” (san Gregorio Magno). Essendo dunque la fede strettamente connessa con l’amore, non può essere imposta con la violenza, non può essere una verità che schiaccia il singolo, non sarà fede intransigente e neppure arrogante, ma umile. La verità, infatti, non sarà mai posseduta da qualcuno, ma sempre ci possederà e ci precederà, perché la verità è una persona, Gesù Cristo! 
E per tutti quelli che non si dicono cristiani né credenti in Dio il messaggio dell’enciclica è di grande speranza: “nella misura in cui si aprono all’amore con cuore sincero … già vivono, senza saperlo, nella strada verso la fede”. Sì, occorre fede-fiducia per tutti gli uomini, e soprattutto occorre credere all’amore. A chi crede all’amore, Dio si farà conoscere in un modo noto a lui solo, e lo assocerà al mistero pasquale di Cristo (cf.Gaudium et spes 22). 

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UN LAMPO DI LUCE NELLE TENEBRE DEL PRESENTE

Ieri, mentre veniva presentata al mondo la nuova enciclica “Lumen fidei”, scritta a quattro mani da Benedetto XVI e da papa Francesco, i due uomini di Dio insieme hanno anche inaugurato, nei giardini vaticani, una statua di san Michele Arcangelo, consacrando la città vaticana a lui e a san Giuseppe.
Da tali fatti emerge non solo l’affetto fraterno che unisce Francesco e il predecessore, ma soprattutto la loro comunione di fede profonda. Questa unità, in un mondo segnato dal conflitto, è il miracolo della grazia, l’essenza del cristianesimo.
E va sottolineato anche perché i giornali tendono a parlare della Chiesa secondo i criteri di giudizio mondani. Senza vederne il miracolo.
Non  a caso, proprio ieri mattina, su “Repubblica”, un articoletto pretendeva di proclamare invece la radicale “discontinuità” fra Benedetto XVI e papa Francesco. Un’idea clamorosamente smentita dagli stessi eventi del giorno.
Del resto sempre ieri il papa ha pure firmato i decreti di canonizzazione di altri due papi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. E ha voluto datare la sua enciclica così: “29 giugno, solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo”.
Dunque, con una straordinaria serie di gesti, in una stessa giornata, ha potentemente sottolineato la continuità e la grandezza del papato da san Pietro ai giorni nostri.
E ha offerto a noi l’occasione di abbracciare, con un solo sguardo, la “creatività” di Dio nel nostro tempo.
Egli infatti ha parlato al mondo di oggi attraverso la testimonianza potente e affascinante di papa Wojtyla, profeta di fede e di libertà; poi attraverso la sapienza profonda e l’umiltà di Benedetto XVI, che ha fatto brillare la ragionevolezza della fede davanti allo smarrimento dei moderni; infine alla nostra generazione Dio parla attraverso la paternità tenera e accorata di papa Francesco, grande abbraccio di misericordia su tutte le miserie e le ferite umane (la visita del Papa a Lampedusa, fra i disperati della terra – lunedì prossimo – ce lo mostra in modo commovente).
L’enciclica “Lumen fidei”, dicevo, è profondamente segnata da questa continuità del giudizio della Chiesa sul mondo moderno e dalla variegata ricchezza della sua testimonianza.
Costituisce del resto un evento memorabile: non è cosa di tutti i giorni che un’enciclica sia scritta a quattro mani, concordemente, da due papi.
Ma, portando la firma dell’unico pontefice in carica che umilmente riconosce nel corpo stesso dell’enciclica la paternità del predecessore per buona parte del documento (“nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi”), con buona pace di “Repubblica”, mostra senza alcun dubbio possibile, che papa Francesco abbraccia e fa suo il magistero del predecessore.
Ovviamente lo fa donando alla vita della Chiesa di questi giorni e al mondo in rapida mutazione, ulteriori spunti di riflessione che tutti – quelli antichi di Benedetto e quelli nuovi – convergono sul volto di Gesù Cristo e la fede in Lui.
Alcuni rapidi flash. La fede è luce, mentre il mondo sprofonda sempre più nelle tenebre. E’ un giudizio sul momento presente. Il Papa contesta apertamente l’idea che lo spazio della fede si apra “lì dove la ragione non può illuminare”.
No. I secoli moderni – dai totalitarismi del Novecento alla confusione del presente – hanno dimostrato che le pretese assolute della ragione producono infelicità.
E la luce della fede non è un sentimento soggettivo, ma verità oggettiva: “quando la sua fiamma si spegne anche tutte le altre luci finiscono per perdere il loro vigore”. Essa dunque sa “illuminare tutta l’esistenza dell’uomo”.
E’ la prima contestazione della “dittatura del relativismo”.
Un secondo flash. Cosa è la fede? Una credenza? Una dottrina? Una morale? No. Sta tutta in questa frase: “riconosciamo che un grande Amore ci è stato offerto”.
Per questo l’enciclica usa l’espressione giussaniana “incontro che accade nella storia” e sottolinea che il Salvatore ci ha raggiunto attraverso una “catena umana” che ha attraversato i millenni, cioè la Chiesa, la tradizione.
Un altro prezioso spunto. Nella mentalità dominante si oppone di solito alla fede l’agnosticismo o l’ateismo. Invece la “Lumen fidei”, in base alla lezione biblica, oppone alla fede “l’idolatria”.
In effetti l’ateismo non esiste. Nessun uomo può vivere, anche un solo istante, senza affermare qualcosa o qualcuno. E’ ciò che la Sacra Scrittura chiama “idolo”.
Dunque l’unica grande opzione della vita sta in questo: fidarsi di Gesù Cristo o di qualche idolo. Non è possibile per nessuno sottrarsi a questa scelta. Chi è più affidabile? Chi merita veramente fiducia? Gesù di Nazaret, colui che è morto per me e per te, o un qualunque idolo?
Questa enciclica ci libera da tanti luoghi comuni. Per esempio la cultura dominante pensa Dio come qualcuno che “si trovi solo al di là”, quindi “incapace di agire nel mondo”, perciò “il suo amore non sarebbe veramente potente, capace di compiere la felicità che promette”. Così “credere o non credere in Lui sarebbe del tutto indifferente”.
Invece è vero il contrario. E sono i fatti – i concretissimi fatti – a gridarlo. E’ tutta una storia ricchissima di fatti a provarlo.
Del resto “quando l’uomo pensa che allontanandosi da Dio troverà se stesso, la sua esistenza fallisce”.
Ma come inizia la fede? Incontrando Gesù, oggi come duemila anni fa. In un incontro con i cristiani che sono una cosa sola con Lui. Chi non vorrebbe vedere gli occhi di Gesù?
Ebbene, citando Guardini, l’enciclica spiega che la Chiesa è la portatrice storica dello sguardo di Cristo sul mondo. In essa si sperimenta una vita comune. Così noi scopriamo che non siamo più soli.
Si aderisce a quello sguardo, fino a farlo nostro, dando credito a alla compagnia di Gesù e cominciando a seguirlo concretamente: “se non crederete non comprenderete”. Perciò “la fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un’opinione soggettiva”.
Questa è la profonda ragionevolezza della fede. Chi ritiene invece che essa sia “una bella fiaba” o “un bel sentimento”, indichi qualcuno che sia più credibile di Cristo da seguire.
La prova sperimentale – dice l’enciclica – mostra a ciascuno che l’amicizia di Cristo illumina la vita come nessuna cosa al mondo e apre il cuore umano all’amore che tutti desideriamo.
Per questo possiamo riconoscere che Egli è la verità: “richiamare la connessione della fede con la verità” dice l’enciclica “è oggi più che mai necessario proprio per la crisi di verità in cui viviamo” perché “nella cultura contemporanea si tende spesso ad accettare come verità solo quella della tecnologia” o “della scienza”.
Il cristiano non pretende con arroganza di essere il padrone della verità. Anzi “la verità lo fa umile” perché non è lui a esserne padrone, ma è la verità a possederlo. Infatti è compagno di cammino di tutti.
L’enciclica ha molti spunti antirelativisti. Per esempio sulla teologia (che è “al servizio della fede dei cristiani” e alla sequela del magistero). Sulla fede “fai-da-te” (la fede è una, non si può prendere una cosa e rifiutarne un’altra). Sulla rilevanza pubblica della fede cristiana. Sulla “fraternità” che non è possibile senza riconoscere un Padre di tutti.
La fede proclama il primato dell’uomo nell’universo e al tempo stesso “ci fa rispettare maggiormente la natura”. Con buona pace di “Repubblica” esalta il matrimonio come “unione stabile dell’uomo e della donna… capaci di generare una nuova vita”, riconoscendo “la bontà della differenza sessuale”.
E fa abbracciare tutte le sofferenze del mondo: “all’uomo che soffre Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto”, ma offre la sua presenza che accompagna e che si carica di tutti i dolori umani.
La fede cristiana annuncia la “città di Dio” che ci è preparata per sempre. E si affida a colei che è “la Madre della nostra fede”.
Decisamente queste pagine sono una grande luce nelle tenebre del presente.

Antonio Socci

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- Virtù, ragione e un appello per i credenti. Quell'opera a "quattro mani" che corona il trittico di Benedetto (Vittorio Messori,  Corriere della Sera)

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Lumen Fidei/ Cottier: è un Tu che salva la ragione dal buio   
Il Sussidiario 
(Intervista a Georges Cottier a cura di Federico Ferraù) Lumeni fidei, la luce della fede: così inizia la tanto attesa lettera enciclica scritta «a quattro mani» da Benedetto XVI e Francesco. Il documento, firmato da papa Bergoglio il 29 giugno, nella solennità dei santi Pietro e Paolo, (...)