domenica 21 luglio 2013

Entrare nei misteri di Cristo

Corriere della sera, 21 luglio 2013
di PIETRO CITATI
In un libro affascinante, Entrare nei misteri di Cristo(Qiqajon, pp. 652 50), Luigi d'Ayala Valva raccoglie i testi della liturgia eucaristica, come si sviluppò nella letteratura bizantina dal II al XIV secolo, da Ignazio d'Antiochia a Nicola Cabasilas. Seguirà un secondo volume, con i paralleli testi latini.
Nella letteratura bizantina, l'eucaristia è il cuore della religione cristiana: «miracolo dei misteri», «il farmaco d'immortalità», la «messa sacra e tremenda». «Oh tremendo mistero! Oh ineffabile economia di salvezza!», «Oh incomprensibile condiscendenza», «Oh insondabile compassione!», così esclama Teofilo d'Alessandria, verso la fine del quarto secolo. Durante la messa eucaristica e la liturgia che la ricorda, le parole dei fedeli celebrano i cherubini, i serafini, e tutte le potenze angeliche. In quello stesso momento, le innumerevoli schiere, che stanno attorno al trono di Dio, cantano l'inno di gloria, interrompendo e variando la voce del sacerdote. A piena voce, dall'alto, echeggiano le parole: «Santo, Santo, Santo, il Signore Sabaoth». Questo doppio inno umano ed angelico ha una funzione apocalittica, perché rivela che la liturgia della Chiesa trascende non solo ogni realtà mondana ma anche sé stessa come liturgia, trovando compimento nella realtà celeste e anticipando l'inno glorioso della fine dei tempi.
Se i cristiani hanno l'ardire di servirsi delle stesse parole dei cherubini e dei serafini, lo fanno perché sono coscienti che Cristo ci ha permesso di diventare immortali come gli angeli. In quei canti che dal basso salgono in alto e dall'alto scendono in basso, regna il timore, la reverenza, la cautela: le parole che arditamente volano in alto, nell'alta camera occupata da Gesù, non interrompono mai la più profonda misura. Ma questo timore è pieno di un immenso fuoco. «Ohi magari — scriveva Origene — si infiammasse anche il nostro cuore dentro di noi mentre spieghiamo le Scritture, e divampasse un fuoco nella nostra meditazione. Così Geremia accendeva gli ascoltatori: niente di tiepido e di freddo rimaneva dentro di loro; ma come il fuoco distrugge ogni materia, e non accoglie in sé nulla di contaminato, così anche coloro il cui cuore è stato toccato dalla fiamma della parola divina, non sopportano più di essere contenuti nelle apparenze materiali e mondane, ma le loro lampade resteranno sempre accese e le loro lucerne ardenti, come quelle dei servi che aspettano il padrone di ritorno dalle nozze». Questo fuoco non deve bruciare chiuso sotto il moggio: ma illuminare liberamente le lontananze, restando acceso sopra il candelabro. Tutta la meditazione sull'eucaristia viene improntata dalla doppia forza del timore e del fuoco. L'antica, originaria alleanza tra Dio ed Israele era avvenuta nell'Esodo. Mosé costruì un altare ai piedi della montagna, con dodici steli per le dodici tribù d'Israele; i giovani ebrei sacrificarono i tori al Signore; Mosé lesse ad Israele il libro dell'alleanza, asperse il popolo con il sangue dei tori, e disse: «Ecco il sangue dell'alleanza, che il Signore ha stabilito per voi, sulla base di tutte queste parole». Non era il solo legame tra Dio ed Israele.

Prima della fuga dall'Egitto, ogni famiglia prese un agnello, maschio, puro e senza difetti, e lo sgozzò al crepuscolo, macchiando di sangue i due montanti e l'architrave di ogni porta. Poi tutti gli ebrei, quella notte, arrostirono la carne degli agnelli sul fuoco, e la mangiarono con pane senza lievito e con erbe amare: niente di crudo o di cotto nell'acqua, ma tutto arrostito sul fuoco, con la testa, le zampe e le frattaglie. Quello che restò il mattino, venne bruciato. Anche il Nuovo Testamento conosce una alleanza tra Dio e il suo popolo: la nuova alleanza, che avrebbe insieme confermato e cancellato l'antica. Durante l'ultima cena, come raccontano i tre vangeli sinottici, Gesù disse ai discepoli: «Ho desiderato ardentemente mangiare questa pasqua con voi prima della mia passione. Vi dico infatti che non la mangerò fino a quando sia compiuta nel regno di Dio». E preso un calice, dopo aver reso grazie, disse: «Prendetelo e distribuitelo tra voi. Vi dico infatti che da questo momento non berrò del frutto della vigna finché sia venuto il regno di Dio». Poi, preso un pane e reso grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi. Fate questo in memoria di me». E allo stesso modo con il calice, dopo aver cenato, dicendo: «Questa è la nuova alleanza nel mio sangue che è versato per noi».
I sacrifici degli agnelli nell'antica alleanza avvenivano molte volte: giacché erano molteplici, dicono i padri greci, erano anche vani. Il sacrificio della nuova alleanza avviene invece una volta sola, per volontà di Dio e di Cristo, quando Gesù sale sulla croce e muore in croce anticipando il suo gesto ai discepoli durante l'ultima cena: per questo carattere di assoluta unicità, la cerimonia della nuova alleanza è fondata ed eterna. È vero che anch'essa si ripete, ogni volta che i fedeli accostano allabocca il pane ed il vino: ma il fondamento dell'alleanza sta indietro, all'origine, quando Gesù si immola sulla croce per perdonare i nostri peccati. Il gesto di Cristo durante l'ultima cena è, in primo luogo, un ricordo: quel pane spezzato in pezzi più o meno minuti ci racconta di scorcio l'episodio della crocefissione, quando, allo stesso modo, le membra di Gesù erano state colpite, ferite, vilipese, spezzate. Ma, nella sua essenza, il gesto di Gesù è molto più di un ricordo. È una conversione: una metamorfosi. Mentre Gesù offre il pezzo di pane e il sorso di vino ai discepoli, egli trasforma quelle semplici specie naturali nel suo stesso corpo, nel suo stesso sangue, e solo in questo modo il suo gesto diventa il segno fisico della nuova alleanza.

Ora, le membra e il sangue di Cristo sono lì, sulla tavola, nelle mani di Gesù, o nel calice, che egli tiene in mano: sono state trasformate in pane ed in vino; e Gesù raccomanda ai discepoli di mangiare e di bere, come fanno ogni giorno quando mangiano e bevono il pane e il vino della loro esistenza. Questo è il doppio scandalo, il doppio, grandioso paradosso dell'Eucaristia: la conversione del pane e vino in corpo e sangue di Cristo; il cannibalismo mistico, per cui i fedeli gustano il corpo del loro Signore. Per quanto possa sembrare assurdo e incomprensibile, i fedeli devono accettare questo mistero: senza l'eucaristia, intesa non in senso simbolico ma in senso fisico, non esiste nessun cristianesimo, il quale ha bisogno di questo doppio scandalo e ne fa la sua essenza. Guardando ed ascoltando ciò che accade con occhi e orecchie mistiche, i fedeli comprendono che le parole del sacerdote, le quali ripetono alla lettera quelle del Cristo, operano la grande metamorfosi: la stessa che le parole e i gesti di Gesù avevano operato durante l'ultima cena. Tutto avviene per intervento miracoloso dello Spirito Santo, sebbene questo intervento venga ricordato nei testi dei padri greci e non ancora nei vangeli sinottici.
Mentre Gesù offre il suo corpo ai discepoli durante l'ultima cena, egli è già morto: sembra vivo, parla con perfetta ragionevolezza, come fanno i viventi e non i morti; eppure il corpo della vittima, se fosse ancora vivo, non sarebbe adatto alla manducazione da parte dei discepoli. Questa interpretazione non viene data dai vangeli sinottici, ma dai padri greci, i quali pensano che il corpo di Cristo sia già stato segretamente immolato, forse dallo Spirito Santo. Tutto ciò che racconta la liturgia bizantina dell'eucaristia è egualmente ineffabile e inconcepibile. I fedeli sanno che ognuno di loro assorbe soltanto un pezzo di pane e un sorso di vino: dunque una parte minima del corpo di Cristo; eppure i padri greci ci assicurano che, nell'eucaristia, i fedeli possiedono e gustano l'intero corpo di Cristo. Origene assicura che ognuno di essi lo gusta secondo la propria necessità e la propria natura: tocco non meno misterioso di quelli di cui abbiamo parlato finora.
* * *
Alla fine, avviene la metamorfosi definitiva. Pur restando in apparenza esseri umani, i fedeli si
trasformano nel corpo vivente di Cristo: tutto viene divinizzato, secondo il profondo desiderio del pensiero bizantino. Non ci sono più corpi isolati e divisi, non c'è più nulla di terreno e di mondano; ma c'è soltanto l'unico, immenso corpo divino della Chiesa, che si identifica totalmente e assolutamente con quello del Cristo. L'aveva già detto Ignazio di Antiochia, pochi decenni dopo la morte di Gesù. «Cercate dunque di avere un'unica eucaristia. Una sola infatti è la carne del Signor nostro Gesù Cristo e uno solo il calice che ci unisce nel suo sangue, uno solo è l'altare, come uno solo il vescovo, insieme al presbiterio e ai diaconi, miei compagni di servizio. Tutto ciò che farete, lo farete secondo Dio».