lunedì 29 luglio 2013

Papa Francesco a ruota libera...

Francesco con i giornalisti in aereo

Nuovo tweet del Papa: Sono di ritorno a casa, e vi assicuro che la mia gioia è molto più grande della mia stanchezza!" (29 luglio 2013)


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Giovanni Maria Vian: Un viaggio programmatico   
[Text: Italiano, English, Français, Português]  
 È stato un viaggio programmatico quello che Papa Francesco ha appena compiuto in Brasile per partecipare alla giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro. Non pianificato dal primo Pontefice americano e latinoamericano ma già da tempo fissato dal suo predecessore, il lungo itinerario ha permesso tuttavia al vescovo di Roma preso «quasi alla fine del mondo» non solo di tornare nella sua America latina, ma anche di presentarsi con un insieme di gesti e parole così nitido e coerente da poter essere considerato appunto come programmatico.
Di norma è la prima enciclica di un Papa a delinearne le principali preoccupazioni e intenzioni, e certo la Lumen fidei si può leggere anche in questo modo. Ma il documento rappresenta soprattutto la risposta inedita a una situazione senza precedenti come la rinuncia di Benedetto XVI. Il suo successore ha infatti deciso di far proprio, con una autentica scelta di umiltà e insieme di governo, un testo pressoché concluso e che ha completato personalmente. Ne è venuto così un fortissimo segnale di continuità che conferma, nell’ovvia diversità delle persone, una sintonia e una complementarietà di per sé già evidenti.
Il primo viaggio internazionale di Papa Francesco è stato preceduto non a caso dall’urgenza di quello a Lampedusa, così eloquente nella vicinanza alle vittime di una delle tragedie più dolorose del nostro tempo. L’itinerario poi non si è esaurito nella partecipazione a questa pur riuscita «settimana della gioventù», che ha coinvolto tre milioni di persone di ben 178 Paesi, ma per decisione del Pontefice ha compreso altri momenti fortemente espressivi.
Tra questi, innanzi tutto la preghiera davanti alla Vergine nel santuario di Aparecida e di nuovo, al rientro, quella a Santa Maria Maggiore dove il vescovo di Roma aveva pregato prima della partenza. Poi, racchiuse tra questi pellegrinaggi mariani, le visite all’ospedale di San Francesco e alla favela di Varginha; quindi due riunioni con i vescovi del Brasile e dell’America latina, e infine l’intervista a una televisione brasiliana e la lunghissima conferenza stampa con i giornalisti sul volo di ritorno da Rio.
Proprio gli incontri con i vescovi e i dialoghi con i giornalisti, concentrati alla fine del viaggio, sono apparsi di particolare rilievo. Confermando, su piani diversi, due fondamentali scelte strategiche del papato nella seconda metà del Novecento, che ora il vescovo di Roma ha intenzione di sviluppare con accentuazioni personali molto efficaci: la comunicazione mediatica e il metodo sinodale. Sotto il segno del Vaticano II, intuito e aperto da Giovanni XXIII, entrambe le scelte devono moltissimo alle decisioni rivoluzionarie di Paolo VI, di cui Papa Francesco usa il pastorale e del quale in Brasile ha indossato una semplice stola rossa con le immagini degli apostoli Pietro e Paolo.
Incontrando i giornalisti, il Pontefice ha affrontato con semplicità questioni dibattute, senza schivare alcuna difficoltà e soprattutto evitando quella autoreferenzialità che più volte ha denunciato come uno dei mali più dannosi nella Chiesa. Ma soprattutto le riflessioni presentate ai vescovi sono indicazioni programmatiche che il vescovo di Roma affida a tutta la Chiesa. Perché esca da se stessa e annunci il Vangelo.
L'Osservatore Romano 30 luglio 2013


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Il Papa a tutto campo. All’inizio del volo verso Roma il Pontefice incontra i giornalisti e risponde alle loro domande

(Gianluca Biccini) Le impressioni sul Brasile e sulla gmg, i progetti di viaggi futuri, il rapporto con Benedetto XVI e con gli altri predecessori, soprattutto un bilancio dei primi quattro mesi di pontificato e l’agenda delle riforme che, richieste durante la sede vacante nelle congregazioni generali del collegio cardinalizio, ha in mente: di tutto questo e molto altro ha parlato Papa Francesco domenica sera, un’ora dopo il decollo dell’aereo che da Rio de Janeiro lo ha ricondotto a Roma.Il primo viaggio internazionale del pontificato si è dunque chiuso con una conferenza stampa fiume, durata un’ora e venti minuti, nel corso della quale il Pontefice ha risposto a una ventina di domande su svariati temi di attualità. Un’esperienza nuova l’ha definita il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, introducendo il lungo incontro, rivelatasi una buona scelta anche dal punto di vista mediatico, per l’interesse dei temi trattati e per la fecondità degli spunti offerti dal Papa.
Inizialmente il Santo Padre ha tracciato un bilancio della settimana trascorsa in Brasile, che gli ha fatto spiritualmente bene nonostante la stanchezza, perché incontrare la gente arricchisce sempre. Ha lodato la bontà e il cuore del popolo carioca, capace di un’allegria contagiosa anche nella sofferenza, e il lavoro degli organizzatori vaticani e locali: mi hanno fatto sentire davanti a un «computer incarnato» — ha detto con una battuta alludendo al responsabile organizzativo dei viaggi, Alberto Gasbarri — perché tutto era cronometrato. E si è complimentato anche con la sicurezza, spiegando che non c’è stato nessun incidente in tutta Rio e che invece c’è stata tanta spontaneità; e questo anche senza auto blindate, perché non si deve blindare il rapporto tra un vescovo e il popolo, bisogna fidarsi del popolo e la vicinanza fa bene a tutti.
Il grazie del Pontefice è andato poi agli organizzatori della gmg per la parte artistica, religiosa e catechetica, perché i brasiliani sanno esprimersi bene nell’arte. Il ricordo dell’esperienza spirituale forte vissuta ad Aparecida ha quindi preceduto la riconoscenza espressa ai media, nella consapevolezza che è stato fatto un buon lavoro, pur non avendo avuto tempo di leggere i giornali o di vedere la televisione. Infine ha confidato il suo stupore quando gli hanno comunicato che alla messa finale della gmg hanno partecipato tre milioni di persone, giunte da 178 Paesi, anche se dal palco vedeva bene la spiaggia di Copacabana piena di giovani per i quattro chilometri della sua lunghezza.
È poi seguita una lunga serie di domande, rivoltegli da rappresentanti delle varie realtà mediatiche internazionali che hanno assicurato la copertura degli avvenimenti. Nelle sue risposte Papa Francesco ha trattato il tema della riforma della Curia legato a quello degli scandali e ha poi accennato a importanti questioni di carattere antropologico, etico, teologico ed ecumenico. Tra questi, la necessità urgente di valorizzare davvero la presenza femminile nella Chiesa e di seguire con attenzione pastorale la situazione dei divorziati risposati. Il Pontefice ha osservato che non bisogna mai prescindere dalla misericordia perché la Chiesa è soprattutto madre. Quanto al primato romano e alla dimensione sinodale Papa Francesco ha detto che bisogna studiare ulteriori sviluppi, ma che il vescovo di Roma non è certo primus inter pares.
Dalle risposte del Papa è emersa anche un’agenda a medio termine dei prossimi impegni. Mercoledì 31 luglio farà visita ai confratelli gesuiti nella chiesa del Gesù di Roma per la festa di sant’Ignazio di Loyola. Sono poi previste le visite a Cagliari, il 22 settembre, e ad Assisi, il 4 ottobre. Più avanti è possibile una visita di un giorno in Piemonte per incontrare i familiari. Papa Francesco ha quindi accennato alla possibilità di due viaggi internazionali: il primo a Gerusalemme anche per incontrare il patriarca Bartolomeo cinquant’anni dopo lo storico incontro tra Atenagora e Paolo VI; il secondo in Asia, forse nello Sri Lanka e nelle Filippine. Non sono invece ancora prevedibili viaggi in Argentina o in altri Paesi latinoamericani.
Infine la canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII nel corso di un’unica cerimonia, la cui data è ancora da stabilire ma potrebbe coincidere con la domenica della Divina Misericordia del prossimo anno, cioè il 27 aprile 2014.
Il Papa si è poi soffermato lungamente su diverse questioni: a proposito dell’Istituto per le Opere di Religione ha detto di non avere ancora preso decisioni ma di sapere bene quali sono le caratteristiche che dovrà avere l’istituto: trasparenza e onestà. Ha rivelato che, pur avendo conosciuto e incontrato cardinali, vescovi, sacerdoti, suore e laici santi in Vaticano, il livello della Curia gli sembra effettivamente un po’ calato rispetto a quello di un tempo, caratterizzato dalla figura del «vecchio curiale». Si è detto convinto di non incontrare resistenze nello svolgimento della sua missione al servizio della Chiesa e anzi di aver trovato collaboratori disponibili e leali.
Ma è soprattutto quando ha parlato di sé stesso che il Papa ha suscitato simpatia. Senza riserve ha rivelato cosa c’è nella sua borsa di pelle nera, che ritiene normale portare a mano personalmente. Certo «non contiene — ha detto con ironia — la chiave per la bomba atomica, ma più semplicemente un rasoio, il breviario, l’agenda e qualche libro». In particolare per questo viaggio un libro su santa Teresa di Lisieux, di cui è devoto. Ha poi detto che Dostoevskij è un autore da leggere e rileggere, perché «porta a noi occidentali l’aria fresca e la luce dell’oriente».
Papa Francesco ha anche confermato di aver scelto di risiedere a Santa Marta perché non vuole sentirsi isolato e che gli piace la gente capace di dirgli «non sono d’accordo». Ritiene che un vescovo debba servire il popolo e non pensarsi superiore o sentirsi un principe, e che lui personalmente si è sempre considerato un sacerdote, un vescovo e un Papa felice. Ha detto che ama camminare per le strade — prete callejero, dicono in Argentina — e che a volte si sente un po’ in gabbia; si è professato più gesuita che francescano soprattutto per la spiritualità. E infine ha confidato di aver pianto durante la visita a Lampedusa e anche di aver sofferto per una dolorosissima sciatica nel primo mese di pontificato.
Un fiume in piena: un uomo che ama conversare, scherzare, ridere, con un grande senso dell’ironia e una immensa semplicità; che si china per cercare di raccogliere le cuffie cadute a uno degli intervistatori, che si preoccupa di non dilungarsi troppo e chiede ai giornalisti se preferiscono interrompere la conferenza per cenare; che bacia affettuosamente alcuni di loro. E che al mattino seguente, pochi minuti prima dell’atterraggio, torna a sorpresa, per dare il buongiorno e ringraziare di nuovo per il lavoro fatto, tra lo stupore ammirato dei giornalisti del seguito, che lo applaudono ripetutamente.
Un cenno a parte merita infine il rapporto di Papa Francesco con i predecessori. Dopo aver ricordato come le ultime volte che ci sono stati due o tre Papi insieme non si parlassero certo ma piuttosto lottassero tra loro per vedere chi fosse il vero Papa, di Benedetto XVI ha evidenziato l’umiltà, la bontà e la memoria ferrea; non lo ritiene una figura ingombrante, anzi lo considera un padre a cui vuole molto bene o meglio l’anziano saggio della casa, ascoltato e venerato. Di Karol Wojtyła ha sottolineato l’attività evangelizzatrice, definendolo il grande missionario della Chiesa, un san Paolo; di Roncalli la mitezza, la bonarietà da prete di campagna, la preoccupazione costante per i poveri e la docilità alla voce dello Spirito che lo ha portato a indire il concilio. E quando ha annunciato che i due Pontefici saranno canonizzati insieme, il Santo Padre ha anche ricordato che sono in corso le cause per la beatificazione di Giovanni Paolo I e di Paolo VI.
Poche ore prima, nel pomeriggio, il Pontefice aveva avuto ancora il tempo per diversi incontri: nel primo al centro studi della residenza di Sumaré aveva partecipato alla riunione del Comitato di coordinamento del Celam. Con i 45 vescovi latinoamericani membri di quest’importante organismo ecclesiale del quale, in passato, il cardinale Bergoglio faceva parte in rappresentanza dell’episcopato argentino, ha parlato della Chiesa in America latina e delle sue principali sfide pastorali.
Quindi si è trasferito alla Cidade da Fé per ringraziare i volontari della XXVIII gmg. In almeno sessantamila hanno lavorato sul campo per la riuscita e quindicimila (un quarto del totale) erano presenti all’incontro di domenica. Poco meno di cinquemila appartengono a 15 nazioni diverse dal Brasile: argentini e italiani i più numerosi. Proprio come lo sono stati i pellegrini di questa edizione carioca della gmg.
All’aeroporto internazionale di Rio de Janeiro infine il congedo di Papa Francesco con l’ultimo discorso alle autorità civili ed ecclesiastiche e al popolo brasiliano. Più volte ha ripetuto la parola saudade, per esprimere la caratteristica nostalgia che colpisce chiunque lasci questo straordinario Paese.
L'Osservatore Romano

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Francesco sul volo da Rio a Roma risponde a decine di domande, da quelle personali a quelle sui casi più delicate e scottanti

ANDREA TORNIELLIIN VOLO DA RIO DE JANEIRO A ROMA
Un'ora e venti minuti, sottoposto a un fuoco di domande libere, non preparate. Una conferenza stampa vera e propria, alla quale ha voluto sottoporsi subito dopo il decollo, nonostante la stanchezza per la settimana trascorsa in Brasile. Papa Francesco ha sorpreso i giornalisti al seguito e non ha mancato di rispondere a tutte le richieste, anche le più delicate e spinose, dalla riforma dello Ior al caso Ricca, dalla lobby gay a Vatileaks fino al contenuto della borsa di cuoio nera che ha portato personalmente come bagaglio a mano imbarcandosi sull'aereo. Ecco gli appunti sulla conversazione che dimostra come Bergoglio si trovi assolutamente a suo agio con i giornalisti. È evidente che aveva deciso fin dall'inizio di fare la conferenza stampa non sul volo di andata ma su quello di ritorno. Per evitare che notizie e titoli centrati sulle parole dell'intervista potessero in qualche modo oscurare il viaggio in Brasile per la Giornata Mondiale della Gioventù. L'ennesima riprova del fatto che il nuovo Papa comunica benissimo e non ha certo bisogno di spin doctor.

Lo IOR deve cambiare

«Tutto quello che dovevo fare veniva dalle congregazioni generali dei cardinali prima del conclave. La commissione di otto cardinali - è importante che vengano da fuori - va nella linea di una maturazione del rapporto tra sinodalità e primato. Ci sono molte proposte di riforma, ad esempio della segreteria del Sinodo. Poi c'è lo IOR. Io pensavo di trattare la questione l'anno prossimo, ma l'agenda è cambiata per i problemi da affrontare a voi ben noti. Come riformarlo e sanare ciò che c'è da sanare? Ho nominato una commissione «referente». Non so come finirà lo IOR: alcuni dicono che sia meglio avere una banca, altri che servirebbe un fondo di aiuto, altri ancora dicono di chiuderlo. Mi fido del lavoro delle persone dello IOR e della commissione che stanno lavorando per questo. Non saprei dire come finirà: si prova, si cerca. Ma di certo qualsiasi cosa diventerà lo Ior, ci vuole trasparenza e onestà».


Il contenuto della borsa di cuoio nera

«Sono salito sull'aereo portando la mia borsa perché sempre faccio così. Che cosa c'è dentro? Il rasoio, il breviario, l'agenda e un libro da leggere: ho portato un libro su Santa Teresina, della quale sono molto devoto. È normale portarsi la borsa, dobbiamo essere normali, dobbiamo abituarci a essere normali e sono un po' sorpreso del fatto che l'immagine della borsa abbia fatto il giro del mondo. Comunque non era la valigetta con la chiave per la bomba nucleare...».


Perché chiede sempre «Prega per me»

«"Prega per me", sempre l'ho chiesto. Quando ero prete lo chiedevo di meno, non così tanto. Ho cominciato a chiederlo di più da vescovo. Mi sento con tanti limiti e con tanti problemi, sono anche peccatore. Questa richiesta è qualcosa che mi viene da dentro. Anche alla Madonna chiedo che Lei preghi per me. È un'abitudine che mi viene dal cuore, sento che devo chiedere».


I cambiamenti e le resistenze nella Curia

«I cambiamenti sono stati chiesti dai cardinali prima del conclave, e poi c'è ciò che viene dalla mia personalità. Ad esempio non potrei vivere da solo nel palazzo. L'appartamento papale è grande ma non è lussuoso. Ma io non posso vivere da solo con un piccolo gruppetto di persone. Ho bisogno di vivere con gente, di trovare gente. Per questo ho detto che sono motivi "psichiatrici": psicologicamente non potevo e ognuno deve partire dal suo modo di essere. Comunque anche gli appartamenti dei cardinali sono austeri, quelli che conosco. Ognuno deve vivere come il Signore chiede di vivere. Ma un'austerità generale è necessaria per tutti quelli che lavorano al servizio della Chiesa. Ci sono santi in Curia, vescovi, preti e laici, gente che lavora. Tanti che vanno dai poveri di nascosto o che nel tempo libero vanno in qualche chiesa e esercitare il ministero. Poi c'è anche qualcuno che non è tanto santo e questi casi fanno rumore perché, come sapete, fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. A me provoca dolore quando accadono queste cose. Abbiamo questo monsignore (il riferimento è a Nunzio Scarano, contabile dell'Apsa, ndr) che è in galera. Non è andato in galera perché assomigliava alla beata Imelda! (espressione che si usa molto in Argentina per dire che uno non è uno stinco di santo, ndr) Credo che la Curia è un po' calata rispetto al livello che aveva un tempo, quando c'erano alcuni vecchi curiali fedeli che facevano il loro lavoro. Abbiamo bisogno del profilo dei vecchi curiali. Se c'è resistenza, ancora non l'ho vista. È vero che non ho fatto tante cose, ma ho trovato aiuto, gente leale. A me piace la gente che mi dice: "Io non sono d'accordo". Questi sono i collaboratori leali. Poi ci sono quelli che davanti a te dicono su tutto "che bello", e poi magari quando escono dicono il contrario. Ma di questi non ne ho ancora trovati».

Perché in Brasile non si è pronunciato su aborto e nozze gay

«La Chiesa si è già espressa su questi argomenti, la Chiesa ha già una posizione chiara. E durante il viaggio in Brasile era necessario parlare positivamente».


Perché definirsi vescovo di Roma non significa essere un «primus inter pares»

«Non si deve leggere al di là delle parole. Il Papa è vescovo, è vescovo di Roma e da lì viene tutto. È il primo titolo, poi vengono gli altri titoli. Ma pensare che questo voglia dire che il successore di Pietro è un "primus inter pares" significa andare oltre. Sottolineare il primo titolo, quello di vescovo di Roma, può favorire un po' l'ecumenismo».

Il lavoro di vescovo e di Papa

«Fare il lavoro di vescovo è una cosa bella. Il problema è quando qualcuno cerca quel lavoro, questo non è tanto bello. C'è sempre il pericolo di pensarsi un po' superiori agli altri, di sentirsi un po' principe. Ma il lavoro di vescovo è bello: deve stare davanti ai fedeli, in mezzo ai fedeli e dietro ai fedeli. Facendo il vescovo a Buenos Aires sono stato felice. Ero tanto felice. E come Papa? Anche. Quando il Signore ti mette lì, se tu accetti di fare quello che il Signore ti chiede, sei felice».

Sui prossimi viaggi

«Di definito non c'è niente. In Italia spero di poter andare un giorno a trovare i miei parenti in Piemonte, mi piacerebbe andare con l'aereo, un giorno soltanto. Il patriarca Bartolomeo mi ha invitato a Gerusalemme in occasione dei cinquant'anni del viaggio di Paolo VI e dell'incontro con Atenagora che avvenne lì. C'è un invito del governo israeliano e dell'Autorità Palestinese. Non andrò per ora in America Latina: un Papa latinoamericano che ha già fatto il primo viaggio in America Latina... Arrivederci! In questo momento l'Argentina può aspettare. Si deve andare in Asia, dove Benedetto XVI non ha avuto il tempo di recarsi. Il 30 novembre volevo andare a Costantinopoli, per la festa di Sant'Andrea, ma non mi è possibile per motivi d'agenda. C'è anche un invito a Fatima...».


Il Papa che si sente «ingabbiato»

«Sapeste quante volte ho avuto voglia di andare per le strade di Roma! Mi piaceva tanto. Era una mia abitudine di camminare, ero un «prete callejero». Ma questi della Gendarmeria sono buoni, tanto buoni, e adesso mi lasciano fare qualcosa di più».


Il problema della sicurezza in Brasile

«A proposito di tutte le ipotesi fatte sulla sicurezza: non c'è stato un incidente in tutta Rio de Janeiro in questi giorni. E tutto è stato spontaneo. Con meno sicurezza ho potuto abbracciare la gente. Ho voluto fidarmi di un popolo. È vero che c'era il rischio che ci fosse qualche pazzo, ma c'è anche il Signore. Non ho voluto la macchina blindata perché non si può blindare un vescovo dal suo popolo. Preferisco la pazzia di questa vicinanza che fa bene a tutti».


Sul movimento del rinnovamento carismatico

«Alla fine degli anni Settanta e nei primi Ottanta io non li potevo vedere. Una volta avevo detto che questi confondono una celebrazione liturgica con una scuola di samba! Poi li ho conosciuti meglio, mi sono convertito ho visto in modo in cui lavorano e a Buenos Aires ogni anno dicevo messa per loro. Credo che i movimenti siano necessari, sono una grazia dello Spirito. La Chiesa è libera, lo Spirito Santo fa quello ch vuole».

Sull'allestimento dell'aereo papale

«Questo aereo non ha allestimenti speciali, non c'è il letto. Ho fatto fare una richiesta con una lettera o con una telefonata per dire che non volevo allestimenti speciali sul volo» 
Le donne nella Chiesa

«Una Chiesa senza le donne è come il collegio apostolico senza Maria. Il ruolo delle donne è l'icona della Vergine, della Madonna. E la Madonna è più importante degli apostoli. La Chiesa è femminile perché è sposa e madre. Si deve andare più avanti, non si può capire una Chiesa senza le donne attive in essa. Faccio in esempio che non c'entra con la Chiesa: per me la donna del Paraguay è una donna gloriosa. Dopo la guerra (il riferimento è alla sanguinosa guerra del Paraguay contro il Brasile avvenuta tra il 1864 e il 1870, ndr) c'era rimasto un uomo per ogni otto donne. E hanno fatto la scelta di avere figli, salvare la patria, la cultura, la fede. Nella Chiesa si deve pensare alla donna in questa prospettiva. Non abbiamo ancora fatto una teologia della donna. Bisogna farlo. Per quanto riguarda l'ordinazione delle donne, la Chiesa ha parlato e ha detto no. Giovanni Paolo II si è pronunciato con una formulazione definitiva, quella porta è chiusa. Ma ricordiamo che Maria è più importante degli apostoli vescovi, e così la donna nella Chiesa è più importante dei vescovi e dei preti».

Il rapporto con «nonno» Benedetto XVI

«L'ultima volta che ci sono stati due o tre Papi insieme non si parlavano ma lottavano per vedere chi era il vero Papa. Io a Benedetto XVI voglio tanto bene, è un uomo di Dio, un uomo umile, un uomo che prega. Sono stato tanto felice quando è stato eletto Papa, e poi abbiamo visto il suo gesto delle dimissioni... per me è un grande. Adesso abita in Vaticano e c'è chi chiede: ma non ti ingombra? Non ti rema contro? No, per me è come avere il nonno saggio in casa. Quando in famiglia c'è il nonno, è venerato ed è ascoltato. Benedetto XVI non si immischia. Per me è come avere il nonno a casa, è il mio papà. Se ho una difficoltà posso andare a parlargli, come ho fatto per quel problema grosso di Vatileaks... Quando ha ricevuto i cardinali il 28 febbraio per accomiatarsi, ha detto: tra di voi c'è il nuovo Papa al quale io prometto fin d'ora la mia obbedienza. È un grande!»

Sui sacramenti ai divorziati risposati

«È un tema che torna sempre. Credo che questo sia il tempo della misericordia, questo cambio d'epoca in cui ci sono tanti problemi anche nella Chiesa, anche per le testimonianze non buone di alcuni preti. Il clericalismo ha lasciato tanti feriti e bisogna andare a curare questi feriti con la misericordia. La Chiesa è mamma, e nella Chiesa si deve trovare misericordia per tutti. E i feriti non solo bisogna aspettarli, ma bisogna andarli a trovare. Credo sia il tempo della misericordia, come aveva intuito Giovanni Paolo II che ha istituito la festa della Divina Misericordia. I divorziati possono fare la comunione, sono i divorziati in seconda unione che non possono. Bisogna guardare al tema nella totalità della pastorale matrimoniale. Apro una parentesi: gli ortodossi ad esempio seguono la teologia dell'economia e permettono una seconda unione. Quando si riunirà il gruppo degli otto cardinali, nei primi tre giorni di ottobre, tratteremo come andare avanti nella pastorale matrimoniale. Siamo in un cammino per una pastorale matrimoniale più profonda. Il mio predecessore a Buenos Aires, il cardinale Quarracino diceva sempre: "Per me la metà dei matrimoni sono nulli, perché si sposano senza sapere che è per sempre, perché lo fanno per convenienza sociale, etc...". Anche il tema della nullità si deve studiare».

Mi sento ancora gesuita

«I gesuiti devono obbedire al Papa ma se il Papa è gesuita a chi obbedisce? Forse al superiore generale? Mi sento gesuita come spiritualità, mi penso come gesuita e penso come gesuita, ma non ipocritamente».


Cose belle e brutte di questi mesi

«Tra le cose belle penso all'incontro con i vescovi italiani. Tra quelle dolorose che mi sono entrate nel cuore c'è stata la visita a Lampedusa, che mi ha fatto bene. Ho pensato con dolore a quelle persone morte in mare prima di sbarcare, che sono vittime di un sistema socio-economico mondiale. Ma la cosa peggiore che mi è capitata è una sciatica, che ho avuto nel primo mese, a causa della poltrona dove mi sedevo per ricevere. È stata dolorosissima e non la auguro a nessuno! Ciò che mi ha sorpreso sono state le tante persone buone che ho trovato in Vaticano».

Il caso Vatileaks

«Quando sono andato a trovare Benedetto XVI a Castel Gandolfo, ho visto che sul tavolino c'era una cassa e una busta. Benedetto XVI mi ha detto che nella cassa c'erano tutte le testimonianze delle persone ascoltate dalla commissione dei tre cardinali sul caso Vatileaks, mentre nella busta c'erano le conclusioni, il riassunto finale. Benedetto XVI sapeva tutto a memoria. È un problema grosso, ma non mi sono spaventato!»

Gli ortodossi

«Le Chiese ortodosse hanno conservato la liturgia che è tanto bella. Noi abbiamo perso un po' il senso dell'adorazione. Loro adorano Dio e lo cantano, non contano il tempo. Una volta parlando dell'Europa occidentale e della sua Chiesa mi hanno detto che "ex Oriente lux", "ex Occidente luxus", cioè dall'Oriente la luce, dall'Occidente il consumismo e il benessere che hanno fatto tanto male. Invece gli ortodossi conservano questa bellezza di Dio al centro. Quando si legge Dostoevsky si percepisce qual è l'anima russa e orientale. Abbiamo tanto bisogno di questa aria fresca dell'Oriente, di questa luce».

Giovanni XXIII e Wojtyla santi

«Giovanni XXIII è un po' la figura del prete di campagna, che ama ognuno dei suoi fedeli e questo l'ha fatto anche come vescovo e come nunzio: pensate ai tanti certificati di battesimo falsi che ha fatto per salvare gli ebrei quando era in Turchia. Aveva un grande senso dell'umorismo. Da nunzio c'era chi in Vaticano non gli voleva molto bene e quando veniva a Roma lo facevano aspettare a lungo. Non si è mai lamentato, recitava il rosario, pregava il breviario. Era un mite. Venti giorni prima che Giovanni XXIII morisse, monsignor Agostino Casaroli era andato da lui per spiegargli  com'era andata una sua missione in un Paese dell'Est, la Cecoslovacchia o l'Ungheria, non ricordo bene. E prima che se ne andasse, il Papa gli ha chiesto: "Lei continua ad andare a trovare i giovani carcerati?". Casaroli rispose di sì. "Non li abbandoni mai!". E questo lo diceva a un diplomatico che era andato a riferirgli la sua missione. Giovanni XXIII è un grande, è stato un grande. Poi ha indetto il Concilio. Pio XII pensava di farlo, ma le circostanze non erano mature. Giovanni non ha pensato alle circostanze ma ha seguito lo Spirito Santo. Giovanni Paolo II è stato un grande missionario della Chiesa. Andava, sentiva questo fuoco, è stato un San Paolo. Per questo per me è grande. Canonizzarli insieme è un messaggio alla Chiesa: sono bravi, sono bravi... Per quanto riguarda la data della canonizzazione, si pensava all'8 dicembre, ma i poveri che non possono prendere l'aereo, dalla Polonia vengono in bus e a dicembre le strade sono ghiacciate. Allora si deve ripensare la data. O la festa di Cristo Re di quest'anno, ma è un po' difficile perché è troppo presto dato che il concistoro per le canonizzazioni è fissato per il 30 settembre, oppure la Domenica della Divina Misericordia del prossimo anno».


Le accuse a Ricca, prelato dello IOR

«Nel caso di monsignor Ricca (il prelato dello IOR accusato subito dopo la nomina di «condotta scandalosa» per fatti risalenti a tredici anni fa, quando prestava servizio nella nunziatura in Uruguay, ndr) ho fatto quello che il Diritto canonico indica di fare: una investigazione previa. Non è stato trovato nulla di ciò di cui veniva accusato. Non abbiamo trovato niente! Tante volte nella Chiesa si vanno a cercare i peccati di gioventù e poi si pubblicano. Non stiamo parlando di delitti, di reati, come gli abusi sui minori che sono tutt'altra cosa, ma di peccati. Ma se una persona laica, o prete o suora ha commesso un peccato e poi si è convertita e si è confessata, il Signore perdona, dimentica. E noi non abbiamo il diritto di non dimenticare, perché altrimenti rischiamo che il Signore non si dimentichi dei nostri peccati. Tante volte penso a San Pietro che ha commesso il peccato più grave, ha rinnegato Cristo. Eppure lo hanno fatto Papa. Però ripeto, su monsignor Ricca non abbiamo trovato niente».

La lobby gay

«Si scrive tanto della lobby gay. Io finora non ho trovato in Vaticano chi ha scritto "gay" sulla carta d'identità. Bisogna distinguere tra l'essere gay, avere questa tendenza, e fare lobby. Le lobby, tutte le lobby, non sono buone. Se una persona è gay e cerca il Signore con buona volontà, chi sono io per giudicarlo? Il Catechismo della Chiesa cattolica insegna che le persone gay non si devono discriminare, ma si devono accogliere. Il problema non è avere questa tendenza, il problema è fare lobby e questo vale per questo come per le lobby d'affari, le lobby politiche, le lobby massoniche».