sabato 27 luglio 2013

Come don Bosco e don Orione





Pubblichiamo stralci dal libro Con Papa Francesco. Le chiavi del suo pensiero (Milano, Ares, 2013, pagine 112, euro 9,90) scritto dal vicario dell’Opus Dei per l’Argentina, già rettore della Pontificia Università della Santa Croce. Le critiche all’arcivescovo Bergoglio che guardava alle periferie di Buenos Aires.
(Mariano Fazio) I progetti pastorali del cardinal Bergoglio nella sua diocesi furono molteplici. I più noti sono quelli relativi all’evangelizzazione delle zone più degradate della città di Buenos Aires, le cosiddette villas miserias, versione locale delle più famose favelas brasiliane. L’attrazione che Buenos Aires esercita sulle persone di scarse risorse, provenienti dalle province più povere e soprattutto dai Paesi limitrofi — Paraguay e Bolivia — sono andate creando zone di sovraffollamento disumano in diversi luoghi della capitale. Il cardinale promosse la creazione di parrocchie, guidate dai curas villeros (preti delle villas miserias), che hanno svolto un lavoro apostolico fecondo e che darà ancora molti frutti.
Negli anni Settanta, quando la situazione socio-politica e ideologica nel Paese era in ebollizione, alcune esperienze pastorali caddero nella confusione di certe forme della teologia della liberazione, che confondeva il messaggio evangelico con una proposta politica di partito. Molte volte, guidati da buone intenzioni e con grande spirito di sacrificio, relegarono il contenuto religioso dando priorità al politico e al sociale. In contrasto con questa visione, Bergoglio spiega: «Dal punto di vista storico, i preti delle baraccopoli sono un fenomeno relativamente recente in Argentina. Sarà cominciato quarant’anni fa e ha fatto fatica ad affermarsi perché per la struttura gerarchica della Chiesa era una novità. Inoltre è stato necessario depurare l’aspetto religioso da quello politico, perché a volte erano uniti in maniera non adeguata, e ciò generava diffidenza. Nella misura in cui i preti che svolgevano quest’attività ebbero modo di elaborare meglio la loro appartenenza alla Chiesa, grazie alla devozione popolare, suscitarono un atteggiamento di maggiore vicinanza e comprensione da parte della gerarchia. In ogni caso, in questo momento l’arcivescovo di Buenos Aires viene accusato di nutrire preferenze per i sacerdoti delle baraccopoli. Non è un fenomeno nuovo: nell’Italia del nord, nel regno di Sardegna, don Bosco lavorava con gli umili e suscitava sospetto nei vescovi. Per non parlare di don Cafasso e don Orione. Erano tipi d’avanguardia nel lavoro con i bisognosi e in qualche modo costrinsero le autorità ad accettare dei cambiamenti. Anche qui i preti delle baraccopoli hanno determinato un cambiamento nella mentalità e nei comportamenti delle comunità ecclesiali». I curas villeros di Bergoglio sono in primo luogo sacerdoti. Vestono come tali e hanno sviluppato un lavoro parrocchiale di predicazione della Parola, di catechesi dei sacramenti, di rafforzamento della pietà popolare ecc., che hanno portato frutti abbondanti. In questo contesto evangelico hanno promosso progetti educativi che tendono a dare agli emarginati strumenti atti a emanciparsi, a superare le limitazioni materiali e a fuggire la tentazione della droga e della delinquenza. Si è aperto anche, per desiderio del cardinale, un centro per la formazione di seminaristi provenienti dalle villas miseria.
Tra gli esclusi, Bergoglio ha prestato speciale attenzione ai bambini. Nell’omelia pronunciata nel pellegrinaggio dei giovani al santuario di Luján nel 2004, commentò il motto che quell’anno era: «Madre, aiutaci a prenderci cura della vita». Sono impressionanti le sue descrizioni dell’infanzia povera nella città di Buenos Aires: bambini e giovani che dormono per strada, costretti alla mendicità, a frugare nei rifiuti, a lavorare da irregolari, a drogarsi. E tutto sostenuto da una cultura mediatica che propone modelli nei quali regna «il degrado e la frivolezza della sessualità, la svalutazione della famiglia, la promozione di antivalori truccati artificialmente come valori e l’esaltazione della violenza». Il cardinale così concludeva l’omelia: «Dobbiamo inoltrarci nel cuore di Dio e incominciare ad ascoltare la voce dei più deboli, questi bambini e adolescenti, e ricordare le parole del Signore: “Chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me” (Matteo, 18, 5); e “Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli” (Matteo, 18, 10). Sia quelle voci sia la parola del Signore dovrebbero scuoterci nel nostro impegno e nella nostra azione... Gli Erodi di oggi hanno molti volti, ma la realtà è la stessa: si uccidono i bambini, si uccide il loro sorriso, si uccide la loro speranza... sono carne da cannone. Guardiamo con occhi rinnovati questi bambini della nostra città e incoraggiamoci a piangere. Guardiamo la Madonna e diciamole dal pianto del nostro cuore: “Madre, aiutaci a prenderci cura della vita”».
L'Osservatore Romano