lunedì 17 gennaio 2011

Il comandamento della promessa




Nel pomeriggio di lunedì 17, in occasione della Giornata per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei promossa dalla Chiesa in Italia, si terrà presso la Pontificia Università Lateranense un incontro al quale è prevista la partecipazione del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni. Al centro della riflessione il comandamento "Onora tuo padre e tua madre" (
Esodo, 20, 12). Di seguito ampi stralci dell'intervento del vescovo rettore della Lateranense.


"Un tale" - si tratta in verità di "un giovane che possedeva molte ricchezze", come viene precisato nella conclusione dell'episodio evangelico - "si avvicinò a Gesù e gli disse: "Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?"". "Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti", risponde Gesù. Poi, nell'elenco riassuntivo dei comandamenti, gli raccomanda fra l'altro: "Onora il padre e la madre" (cfr. Matteo, 19, 16-22).
In un contesto precedente, quello di una disputa con i farisei, Gesù aveva già affermato: "Dio ha detto: Onora il padre e la madre; e inoltre" - e qui il Maestro citava Esodo, 21, 17 - "chi maledice il padre o la madre sia messo a morte" (Matteo, 15, 4).
Come si può vedere, a proposito della "Quinta Parola" del Decalogo esiste una sostanziale continuità tra l'Antico e il Nuovo Testamento. Ben a ragione i commentatori osservano che - insieme alla norma sul sabato - solo questo precetto del Decalogo è espresso in forma positiva, mentre tutti gli altri si presentano come divieti. Di fatto, il comando di onorare il padre e la madre occupa nel Decalogo un posto speciale. Da una parte, è il primo dei comandamenti che riguarda le relazioni con gli altri; dall'altra, esso si collega implicitamente con i primi tre comandamenti, che riguardano le relazioni tra Dio e l'uomo. In ogni caso "il cuore" del comando è ripreso in maniera pressoché identica nella predicazione di Gesù. Si tratta addirittura di un "onore" analogo a quello dovuto a Dio, come risulta chiaramente dalla parola di Isaia - "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me" - citata da Gesù nel capitolo 15 di Matteo. Così esiste una sicura analogia tra l'onore dovuto a Dio e l'onore che i figli devono riservare ai genitori.
La famosa parabola del "figlio prodigo" - o meglio del "padre misericordioso" - valorizza in massimo grado tale analogia. Ora, il figlio prodigo è consapevole di aver disonorato suo padre vivendo in modo dissoluto, e confessa umilmente: "Ho peccato contro il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio". In definitiva, l'onore dovuto a Dio - che è il "padre misericordioso" della parabola - rimane strettamente analogo all'onore che i figli devono attribuire ai loro genitori.
L'esempio è offerto da Gesù stesso. Nella conclusione del cosiddetto "Vangelo dell'infanzia", dopo la disputa con il dottori del Tempio, Luca racconta che Gesù ritornò a Nazaret, "e stava sottomesso (subditus)" a Maria e a Giuseppe.
Approdiamo finalmente a Paolo. Nella parenesi agli Efesini, l'apostolo si dedica alla "morale domestica", e scrive fra l'altro: "Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. Onora tuo padre e tua madre. Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa: perché tu sia felice e goda di una lunga vita sopra la terra" (Efesini, 6, 1-3). E nella parenesi ai cristiani di Colossi Paolo ribadisce, in maniera più sintetica: "Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore" (Colossesi, 3, 20).
Ma in alcune parole di Gesù è possibile cogliere anche una certa relativizzazione del precetto. Tuttavia, tali parole di Gesù non intendono per nulla sminuire la portata del comandamento fissato dal Decalogo. Piuttosto, esse richiamano la coscienza del discepolo alla giusta scala dei valori. Leggiamo nel cosiddetto "Discorso" di Gesù "sulla missione": "Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare" - e qui Gesù cita Michea 7, 6 -; "sono venuto a separare l'uomo da suo padre e la figlia da sua madre". Infatti, "chi ama padre o madre più di me, non è degno di me" (Matteo, 10, 34-37). Più avanti, in altro contesto, proprio a conclusione dell'episodio del giovane ricco, Gesù promette ai suoi discepoli: "Chiunque avrà lasciato... padre o madre... per il mio nome, riceverà cento volte tanto, e avrà in eredità la vita eterna" (Matteo, 19, 29). Con queste parole Gesù intende ribadire l'assoluto primato dell'ubbidienza a Dio rispetto a ogni altra ubbidienza. L'esempio viene - ancora una volta - da Gesù Cristo stesso. Dopo la disputa con i dottori e il ritrovamento nel Tempio, egli risponde alle affettuose rimostranze di Maria con un velato rimprovero: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?". Poi, continua Luca, Gesù tornò a Nazaret con i suoi genitori, et erat subditus illis (cfr. Luca, 2, 49-51).
Devo fare almeno un cenno alla "grande tradizione cristiana", cioè ai Padri della Chiesa. E per non disperdermi nel mare magnum delle testimonianze, mi riferisco anzitutto a quel Padre, che più di ogni altro ha illustrato la "morale domestica". Si tratta - come è noto - di san Giovanni Crisostomo, morto nel 407, alfiere della cosiddetta "scuola antiochena". Fedele al "realismo asiatico", egli declina il comandamento del Signore in una maniera singolare, e cioè molto di più sul versante dell'educazione dei figli, che non su quello dell'onore dovuto ai genitori. In pratica, è come se il Crisostomo ammonisse i genitori così: "Se volete essere onorati dai figli, educateli bene!". Il capovolgimento è istruttivo, soprattutto in questi nostri tempi, segnati da una straordinaria "emergenza educativa". La priorità dell'educazione dei figli su ogni altro impegno dei genitori rappresenta un vero e proprio leitmotiv della predicazione crisostomiana. "Si posponga tutto all'interessamento dei figli e alla loro educazione nella disciplina e nell'insegnamento del Signore!", raccomanda l'omileta, commentando la Lettera agli Efesini (Omelia, 21, 2). Subito prima egli aveva apostrofato i genitori con una domanda di perenne attualità: "Non è assurdo inviare i figli all'apprendimento delle arti e alla scuola delle lettere, e in vista di questo non risparmiare nulla, e non educarli invece nella disciplina e nell'insegnamento del Signore?" (ibidem, 21, 1). Dunque, "educhiamo saggiamente i figli!", non si stanca di ripetere l'omileta. "Il resto verrà da sé. Infatti, se l'animo non è buono, le ricchezze materiali non gioveranno a nulla. Se invece l'animo è retto, la povertà non potrà recare alcun danno" (Commento alla prima Lettera a Timoteo, 9, 2). Del resto, già i Padri più antichi - tra il primo e il secondo secolo - avevano posto l'accento, con decisione, sul "timore di Dio", e su di esso fondavano ogni educazione morale. Tra le virtù maggiormente raccomandate ai giovani, essi elencavano soprattutto l'amore, l'obbedienza e il rispetto filiali, nonché il dovere dell'assistenza e del sostentamento nei confronti dei genitori.
Si può affermare che non c'è alcuna soluzione di continuità fra la "grande tradizione" della Chiesa e il suo magistero, fino ai nostri giorni. Cito solo, come esempio un passaggio della Lettera agli Anziani di Giovanni Paolo II. "Per i popoli dell'area raggiunta dall'influsso biblico" - scriveva il Papa nel 1999: "Anziano anch'io", confessava - il punto di riferimento del rispetto dovuto all'anziano "è stato, nei secoli, il comandamento del Decalogo: "Onora il padre e la madre"; un dovere, peraltro, universalmente riconosciuto. Dalla sua piena e coerente applicazione non è scaturito soltanto l'amore per i genitori da parte dei figli, ma è stato anche evidenziato il forte legame che esiste fra le generazioni. Il comandamento insegna, inoltre, a tributare rispetto a coloro che ci hanno preceduto, e a quanto hanno operato di bene: "il padre e la madre" indicano il passato, il legame tra una generazione e l'altra, la condizione che rende possibile l'esistenza stessa di un popolo". E, osserva Giovanni Paolo II in maniera conclusiva, "è questo l'unico comandamento a cui è legata una promessa: "Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio"".